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“Con questi che chiamiamo per quel che sono, dittatori, si deve essere franchi: nell’esprimere la propria diversità di vedute, opinioni, di comportamenti e visioni della società ma anche essere pronti a cooperare per assicurare gli interessi del proprio Paese.”
Prima di tutto, no, l’India non è governata da un dittatore, quindi perché citare questa frase? Quando all’epoca venne detta questa frase dal Presidente del Consiglio Dragi, la parte che, personalmente, mi aveva colpito era la parte finale: essere pronti a cooperare per assicurare gli interessi del proprio Paese. La semplicità di questa frase non dev’essere confusa con banalità, perché, al contrario, questo è un concetto poco compreso. Mentre celebriamo l'inclusività in ambiti diversi (culturali, identitari, lessicali e sessuali), paradossalmente resistiamo all'idea di una inclusività delle relazioni internazionali: una vera cooperazione internazionale che includa sistemi di diversi dal nostro, sia dal punto di vista governativo che culturale.
L’India, che ci sembra un mondo lontano - e spesso più rurale di quanto effettivamente sia -, è cruciale per comprendere gli attuali scenari politico-economici e prevedere i futuri equilibri geopolitici. Pur con le sue imperfezioni - e chi siamo noi italiani per giudicare? - l'evoluzione dell'India ci offre una finestra sul futuro della democrazia globale, per diverse ragioni:
- Per quanto scontato sia, dobbiamo sottolinearlo - la democrazia non è solamente in Europa e in America;
- il modello democratico può assumere varie forme, esattamente come una monarchia può essere costituzionale, assoluta, parlamentare, etc;
- nel 2022 la popolazione globale che viveva all’interno di Paesi democratici era di 4,8 miliardi di persone. Considerando la popolazione del Paese preso in oggetto in questo articolo, la popolazione indiana nel 2022 ammontava 1,4 miliardi di persone. Di conseguenza, il 30% delle persone che vivono sotto una democrazia sono persone che vivono in India, sono indiani. Quindi l’India, oltre a essere la democrazia più popolosa al mondo, conta da sola circa un terzo delle persone che vivono all’interno di una democrazia in tutto il mondo.
Solo quest’ultimo fattore dovrebbe bastare per rivolgere l’adeguata e doverosa attenzione a questo Paese. L'analisi dell'evoluzione socio-politica dell'India è fondamentale per comprendere il futuro della democrazia nel mondo.
La terza economia democratica al mondo
L'India è diventata il Paese più popoloso al mondo, superando la Cina, e vanta una crescita del PIL del 7%, un dato straordinario che la rende una delle economie più in crescita nel mondo. Questo successo è dovuto da una serie di fattori, tra cui lo sviluppo economico, infrastrutturale e una precisa politica estera, che analizzeremo in seguito. Un fattore importante da considerare è che la crescita dell’India è guidata principalmente da un incremento vertiginoso della domanda interna, conferendo all'economia indiana una stabilità economica che molte democrazie, dipendenti dall'export, non possiedono. Detta in parole povere - e qui chiedo scusa ad ogni economista che sta leggendo -, la crescita economica indiana deriva principalmente dal fatto che gli indiani spendono principalmente soldi in India per prodotti indiani, una caratteristica che non si riscontra in Paesi come gli USA, la Cina o i Paesi UE.
Le proiezioni del Fondo Monetario Internazionale indicano che nel 2025 l'India raggiungerà la posizione di quarta economia mondiale, superando il Giappone e posizionandosi dopo Stati Uniti, Cina e Germania. Questo la renderà la terza economia democratica più rilevante a livello globale. Tale ascesa rappresenta non solo un significativo traguardo economico, ma preannuncia anche sostanziali cambiamenti sul piano geopolitico internazionale.
Nonostante le prospettive promettenti, non si possono ignorare le fragilità strutturali dell'India: le grandi disuguaglianze sociali e il persistere di tradizioni arcaiche rappresentano delle criticità che gli investitori devono attentamente valutare. È proprio per questi motivi che operare in un mercato complesso come quello indiano richiede una conoscenza approfondita del contesto locale e delle dinamiche socio-politiche. Questo è dovuto anche dal fatto che l’India, oltre che ad avere sfide etnico-sociali interne, vede anche sfide economiche importanti all’orizzonte. Per esempio lo scontro tra la Reserve Bank of India e il governo rappresenta una delle sfide più delicate per l'economia indiana: con l'arrivo di Sanjay Malhotra alla guida della RBI, ci troviamo di fronte a un momento cruciale: da un lato abbiamo un'economia in rapida crescita che necessita di stimoli, dall'altro un'inflazione che richiede controllo. Questo conflitto istituzionale si è manifestato su più fronti: dalla gestione dei tassi d'interesse all'utilizzo delle riserve valutarie, fino alla regolamentazione delle criptovalute. È particolarmente interessante notare come Malhotra, che prima si trovava "dall'altra parte della barricata" come funzionario governativo, ora debba gestire queste tensioni dalla prospettiva della banca centrale.
Il Gigante Neutrale
L'India, fin dalla sua indipendenza nel 1947, ha mantenuto una posizione di equilibrio strategico nella politica internazionale: durante la Guerra Fredda, il Paese è stato tra i fondatori del Movimento dei Non Allineati, rifiutando nettamente i due blocchi (l’occidentale e il sovietico) e preservando la propria autonomia decisionale. Oggi, questa tradizione di neutralità strategica continua in un contesto globale profondamente mutato: da un lato, l'India gestisce una complessa rivalità con la Cina, suo principale competitor regionale, con cui condivide dispute territoriali e una crescente competizione per l'influenza nell'Indo-Pacifico; dall'altro, mantiene rapporti pragmatici con gli Stati Uniti, cercando di bilanciare gli interessi nazionali con le pressioni internazionali. Questa capacità di mantenere relazioni equilibrate con potenze in competizione tra loro si riflette anche nella gestione delle crisi internazionali recenti. L'India ha saputo preservare la propria autonomia strategica continuando a commerciare con la Russia mentre sviluppa partnership con l'Occidente, dimostrando una notevole abilità diplomatica: è proprio per questa sofisticata capacità di navigare tra interessi contrastanti, mantenendo la propria indipendenza decisionale e perseguendo i propri interessi nazionali, che ho deciso di affibbiare all'India l'appellativo di Grande Neutrale: una neutralità che, qualora cessasse di esistere, cambierà gli equilibri globali del mondo. Se volete approfondire l’argomento, potete farlo qui!
Preso atto di ciò, ora immaginate una partita a scacchi su scala globale, dove l'India si trova al centro di due potenti alleanze: da un lato i BRICS, dall'altro quella che potremmo chiamare la "NATO asiatica", che però è ben lontana dall’essere realizzata. È qui che si gioca una delle partite più affascinanti della geopolitica contemporanea, perché l’india balla tra BRICS e QUAD:
I BRICS
I BRICS nascono come contropeso all'egemonia occidentale e la sua recente espansione oltre i membri originari (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), segnalando una crescente influenza nel panorama globale.
L'India è un membro chiave dei BRICS, ma il Gigante Neutrale deve ora affrontare una nuova sfida: il Pakistan, suo storico rivale, si sta avvicinando al blocco BRICS. Questa situazione mette alla prova i delicati equilibri tra l'India, i BRICS e la sua posizione di neutralità; ma la posizione poco chiara del Pakistan sulla guerra in Ucraina - con voci non verificate di aiuti militari a Kiev - complica i suoi rapporti con Mosca, che mantiene invece ottimi legami con l'India, grazie anche ai rapporti commericali che abbiamo analizzato nell’articolo Il Gigante Neutrale.
Il QUAD
Il Quadrilateral Security Dialogue (QUAD) rappresenta una risposta strategica alle dinamiche geopolitiche dell'Indo-Pacifico. Questa alleanza, che unisce Stati Uniti, India, Giappone e Australia, opera in stretta collaborazione con l'AUKUS (Australia, Regno Unito, Stati Uniti) con l'obiettivo primario di bilanciare l'influenza cinese nella regione.
Il Giappone, attraverso il suo primo ministro Shigeru Ishiba, ha proposto la creazione di una "NATO asiatica" per consolidare la sicurezza nella regione. Tuttavia, sia gli Stati Uniti che l'India hanno espresso scetticismo verso questa iniziativa, preferendo alleanze più flessibili come il QUAD.
Quindi l'India si trova in una posizione unica: è l'unico Paese al mondo che riesce a sedersi contemporaneamente ai tavoli delle potenze occidentali e dei BRICS, mantenendo una danza diplomatica di straordinaria eleganza; ma il vero colpo di scena è che, nella storia diplomatica e strategica dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, i Paesi chiave in termini economici e militari furono costretti a scegliere un campo; ma questo non valse e tuttora non vale per l'India. Questa posizione di Gigante Neutrale non è solo un'etichetta diplomatica: è la chiave per comprendere come l'India stia riscrivendo le regole del gioco geopolitico globale. È come se l'India avesse trovato il modo di trasformare la neutralità da posizione passiva a strumento attivo di potere globale. La posta in gioco è altissima perché, ripetiamolo, stiamo parlando del Paese che da solo rappresenta il 30% della popolazione mondiale che vive in democrazia. Le sue scelte future tra BRICS e alleanze occidentali potrebbero ridisegnare gli equilibri mondiali per i decenni a venire.
Il Gigante quindi, sì, è neutrale, ma non del tutto. Il conflitto con la Cina si articola in tre dimensioni principali: il controllo dell'Indo-Pacifico, una competizione culturale e la sicurezza nazionale. L’Indo-Pacifico è il nuovo campo di battaglia geopolitico dove si gioca l'equilibrio del potere in Asia. L'Nuova Delhi mira a contrastare l'espansione cinese nella regione e Pechino, dal canto suo, persegue la sua Belt and Road Initiative (BRI) e rafforza la propria presenza marittima nel Mar Cinese Meridionale e nell'Oceano Indiano, costruendo basi e stringendo alleanze con Paesi come lo Sri Lanka e il Myanmar. Per Nuova Delhi, l'Indo-Pacifico è vitale: garantisce le rotte commerciali, l'accesso alle risorse e la proiezione del proprio potere economico e militare. Oltre alla dimensione strategica, esiste un confronto ideologico e culturale tra i due giganti asiatici: la Cina ha costruito la sua narrazione attorno all’idea di una leadership asiatica fondata su uno Stato autoritario, efficiente e tecnocratico. L'India, invece, si propone come la più grande democrazia del mondo, promuovendo valori di pluralismo e libertà, seppur con sfide interne legate al nazionalismo indù. Questo scontro di modelli si riflette nella competizione per l’influenza in Paesi come il Nepal e il Bangladesh, dove sia Pechino che Nuova Delhi cercano di espandere il proprio soft power attraverso investimenti, progetti infrastrutturali e cooperazione accademica. Da questi aspetti si comprende come il confronto con la Cina sia anche una questione di sicurezza interna ed esterna per l’India: la Linea di Controllo Effettivo (LAC), teatro di scontri come quello nella valle del Galwan nel 2020, resta un fronte caldo, con migliaia di soldati schierati su entrambi i lati. Inoltre, la crescente collaborazione tra Pechino e Islamabad preoccupa Nuova Delhi: la Cina investe massicciamente nel Corridoio Economico Cina-Pakistan (CPEC), che attraversa il Kashmir conteso, come abbiamo spiegato in L’India balla tra BRICS e QUAD, ma con la Cina non c’è musica che regga.
Come gli equilibri possono essere spostati
L’India è una potenza che osserva, attende, calibra le sue mosse con la pazienza di una civiltà millenaria, ma se decidesse di rompere il proprio equilibrio strategico, il mondo ne avvertirebbe immediatamente il peso. Il suo potere economico cresce a ritmi vertiginosi, eppure è ancora appesantito da sfide interne che ne rallentano la corsa: disparità sociali, incertezze di mercato, una macchina industriale che non ha ancora espresso tutto il suo potenziale. Sul piano militare, dispone di una forza che raramente esibisce ma che esiste, solida e silenziosa: l’India è cosciente della differenza in termini militari con la Cina e, proprio a salvaguardia del suo interesse nell’indopacifico, ha avviato un progetto per la costruzione di moderni sottomarini nucleari; ma il vero strumento di Nuova Delhi non è mai stata la forza bruta. La diplomazia, la capacità di muoversi tra blocchi contrapposti con un’agilità che nessun’altra potenza può permettersi, ha reso possibile al Gigante Neutrale di diventare sempre più influente, come dimostrato nella questione palestinese: calibrando con attenzione le sue dichiarazioni, è riuscita a schierarsi al fianco di Israele, mantenendo vivi i legami di cooperazione tra i due Paesi, nonostante l’India possieda la comunità mussulmana più grande del pianeta. Oggi, Nuova Delhi è un colosso che può ancora permettersi di restare in equilibrio e, soprattutto, a cui ancora conviene. Questo silenzio tuttavia non bisogna confonderlo con incapacità di agire.
Autore
Daniele Mainolfi