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Possiamo dirlo definitivamente: il post-Guerra Fredda è finito e siamo in un nuovo mondo. Siamo in un nuovo periodo storico. Probabilmente, nei libri di storia, prenderanno o l’11 Settembre o il 2020 come date rappresentanti di un passaggio di consegna tra epoche storiche. Tuttavia, le date sono simboli, semplificazioni per aiutarci a scandire la storia, a darle un ritmo; non sono esse a fare la storia. A fare la storia, sono convinto, sarà un discorso di Putin pronunciato a Monaco di Baviera durante la Conferenza sulla Politica di Sicurezza, che inseriamo a fine pagina e che in questo articolo citerò più volte:
Io considero che nel mondo d’oggi il modello unipolare non solo sia inaccettabile, ma che sia anche impossibile. E questo non solo perché se ci fosse una singola leadership nel mondo d’oggi - e particolarmente in quello d’oggi - le sue risorse militari, politiche ed economiche non basterebbero. […]Con ciò, quello che sta accadendo nel mondo di oggi […] è un tentativo di introdurre negli affari internazionali precisamente questo concetto, il concetto di un mondo unipolare. E con quali risultati? Azioni unilaterali, spesso illegittime, non hanno risolto alcun problema. Hanno invece provocato nuove tragedie umane e creato nuovi centri di tensione. Giudicate voi stessi: le guerre così come i conflitti locali e regionali non sono diminuiti.
Quando questo discorso fu pronunciato - nel 2007 - il mondo viveva alcune storie cruciali:
gli USA stavano combattendo in Iraq e nell’infinito Afghanistan, il conflitto tra Hamas e Fatah (la concorrente per il predominio terroristico) nella striscia di Gaza stava per scoppiare, la guerra in Cecenia si stava portando al termine e innumerevoli conflitti nel Terzo Mondo evolvevano; a tal proposito, ricordiamo Somalia, Sudan e Congo che rimangono, da allora, alcuni dei conflitti più tragici dal punto di vista umanitario (di cui i media non parlano, ma noi sì, in questo articolo).
Sono due le differenze che distinguono il mondo di allora dal mondo di oggi: gli USA risolvevano ancora le loro questioni di sicurezza nazionale a centinaia di migliaia di chilometri dai loro confini; la Russia era in guerra, ma non con l’Europa confinante con l’UE. Queste differenze si possono tradurre con un allentamento della presa di quel sistema unipolare, a cui Putin faceva riferimento nel 2007 e un rafforzamento della posizione della Russia. E quanto appena scritto tralascia migliaia di dettagli che cercherò di analizzare accuratamente rispetto ai rapporti che hanno e hanno avuto nel creare il periodo storico in cui viviamo: il Periodo delle Isole.
Vladimir Putin, Monaco, 11 Febbraio 2007
Si sa bene che la sicurezza internazionale va molto più in là delle questioni relative alla stabilità militare e politica. Comprende la stabilità dell'economia globale, il superamento della povertà, la sicurezza economica e lo sviluppo di un dialogo tra civiltà. Questo indivisibile carattere della sicurezza, universale, è espresso con il fondamentale principio secondo il quale la sicurezza di uno è la sicurezza per tutti. Come disse Franklin Roosevelt pochi giorni dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale: “Quando la pace viene rotta da qualche parte, la pace di tutti i Paesi è minacciata.” […]
Il multipolarismo di cui faceva richiesta Putin nel 2007, con necessità di stabilità, è arrivato. Ma ci sarebbe stato il modo di controllare anche il caos che sta generando con una corretta istituzione del diritto internazionale e il suo rigoroso rispetto. Il quadro che si presenta oggi è un mondo composto da isole in un arcipelago fortemente interconnesso che lascia i porti aperti a tutti, ma che si scompone continuamente per le rivendicazioni di porzioni di mare classificate in base a trattati di un’epoca storica che non ci appartiene più; e questa non è solo una metafora. Il commercio internazionale si basa sulle rotte marittime: se oggi si chiudessero quattro vie marittime (che corrispondono ai quattro snodi commerciali più importanti del mondo), ovvero il Canale di Suez, il Canale di Panama, lo Stretto di Malacca e lo Stretto di Hormuz, l’economia globale collasserebbe. L’ex Epoca Contemporanea ci ha conferito come lascito la globalizzazione e l’interconnessione delle nostre società: ciò che si consuma in Europa funziona perché viene prodotto in Cina, che ha bisogno degli Stati Uniti per sostenere il proprio sbalzo commerciale, ma che a sua volta necessita dell’Europa in un rapporto simbiontico tra materie prime e servizi del settore terziario. Togliendo una variante da tutto ciò, lo schema collassa. E le linee che permettono ai tre soggetti di rimanere ancorati e interconnessi, sono proprio le vie marittime. Facendo un ultimo esempio, Taiwan ha una duplice valenza nelle rinvendicazioni cinesi: un’unità politica che rievochi la coesione cinese durante l’epoca imperiale e un aumento significativo della produzione di materiali altamente tecnologici con la possibilità di rivendicare le acque che circondano l’isola, attualmente difese dalla marina statunitense come un gallo-orefice farebbe con la propria gallina dalle uova d’oro. Tutto questo non è da vedersi come un limite o come un possibile punto debole: è un modo di affrontare le complesse sfide attuali. Facendo un esempio, analizzato dettagliatamente dal CeSPI, durante la pandemia, mentre l'UE ha offerto un pacchetto di aiuti limitato di 70 milioni di euro per i vaccini nei Balcani occidentali, la Cina ha adottato un approccio più diretto, fornendo alla Serbia circa 3,5 milioni di dosi di vaccino cinese, diventando uno dei Paesieuropei con il più alto tasso di vaccinazione (21% con prima dose, 14,9% completamente vaccinati a marzo 2021). La Serbia ha poi esteso questo vantaggio agli altri Paesi della regione, permettendo ai residenti dei Paesi vicini di vaccinarsi a Belgrado e donando dosi ai Paesi limitrofi. Questo ha portato ad un maggiore legame tra Serbia e Cina e sta all’osservatore decidere se intrapendere i rapporti con la Serbia in modo da posizionarla come mediatore e interlocutore oppure come nuovo possibile rivale.
Quindi, il mondo è troppo connesso per farsi la guerra, ma se la sta facendo. Questo cosa significa?
Come accennato precedentemente, questo è il frutto di un passaggio di consegna fra l’ex detentore del potere, gli USA, al nuovo detentore del potere, il quale, attualmente, non è rappresentato da una figura o da un’istituzione singola, ma è diviso in tante piccole parti. Ecco, se questo passaggio fosse stato pacifico, ma soprattutto quantomeno organizzato, il nuovo detentore del potere sarebbe stato l’ONU. Non è una revisione e tanto meno una visione pacifista della storia, ma piuttosto un’evoluzione del processo di globalizzazione. Quando le polis greche realizzarono l’Anfizionia di Delfi, non vi era visione di un mondo diverso, ma consapevolezza della necessità di dialogo per evitare diatribe che avrebbero portato a conflitti interni che a loro volta avrebbero scatenato alleanze e inasprito ancora di più i conflitti. Questo effettivamente è quello che successe: le polis greche finirono per separarsi e farsi la guerra a vicenda; ma, nonostante io sia lontano dal positivismo, confido che negli ultimi 2.900 anni l’essere umano abbia compiuto passi in avanti nella conoscenza e nella consapevolezza degli scenari geopolitici. Una concretizzazione dell’ONU sulla possibilità di intervento e determinazione dei conflitti globali sarebbe stato l’atto finale di passaggio di consegna dagli USA ad un sistema globale di controllo e, soprattutto, democratico. Questo è fondamentale comprenderlo, perché l’ONU si basa proprio sul modello dei vincitori della Seconda Guerra Mondiale, riportando nel suo scheletro il concetto di spartizione del potere in maniera eguale e paritaria fra i membri. Inoltre vi è un altro tema fondamentale che si sarebbe dovuto trattare: l’autodeterminazione dei popoli e i limiti di intervento della comunità internazionale. Quanto segue potranno sembrare tecnicismi, ma allo stesso tempo bisogna ricordarsi che da questi tecnicismi si determinano la vita e la morte di migliaia di persone (sono i casi delle Guerre Balcaniche e delle Guerre del Golfo per esempio). Questo principio cardine della ex Società delle Nazioni e dell’attuale ONU, fu introdotto nel ‘18, al termine della Prima Guerra Mondiale, dal Presidente statunitense Wilson. Il concetto è spiegato dai termini stessi: i popoli devono avere la possibilità di autodeterminarsi (immergetevi in un contesto storico dove vi furono maestosi imperi con una vasta plurità etnico-culturale) e di conseguenza, qualora ai popoli fosse rinnegato questo loro diritto, allora la comunità internazionale sarebbe dovuta intervenire. Il principio teorico si sviluppa con una moralità impeccabile che mette al centro la volontà delle persone e delle culture, ma lascia aperta un’interpretazione fantasiosa della volontà dei popoli e del diritto della comunità internazionale ad intervenire, permettendo (o non permettendo) agli Stati di intervenire secondo regole di convenienza, non morali. Facciamo tre esempi, due generali e uno specifico, per comprendere meglio i rischi e i danni che caratterizzano l’ambivalenza di questi principi:
- Se il Paese X possiede il 95% della popolazione sostenitrice di una forma di governo democratica e in questo Paese vige una forma di governo teocratica che soggioga il 95% della popolazione, allora dovrebbe entrare in gioco il principio di autodeterminazione dei popoli e un eventuale intervento internazionale per permettere alla popolazione di avere la legittima rappresentanza nel Paese X;
- se il Paese Z possiede il 10% di una popolazione che condivide principi culturali e caratteri etnici diammetralmente opposti alla restante popolazione, qualora quel 10% richiedesse l’indipendenza dal Paese Z per formare un nuovo Stato che rappresenti i loro valori e ideali, allora dovrebbe entrare in gioco il principio di autodeterminazione dei popoli e un eventuale intervento internazionale per permettere alla popolazione di costituire un nuovo Paese Y;
- giungendo al caso specifico, se il Donbass, come potrebbe essere o Taiwan o la regione palestinese, dovessero richiedere un intervento internazionale per essere, nel primo caso annessi alla Russia, nel secondo per richiedere l’indipendenza dalla Cina e nel terzo per richiedere l’indipendenza da Israele, allora dovrebbe entrare in gioco il principio di autodeterminazione dei popoli e un eventuale intervento internazionale per permettere alla popolazione di costituire un nuovo Paese Y. E se possiamo essere d’accordo - e anche di questo dovremmo discuterne, ma non è in questo articolo che si farà - che per Taiwan e la Palestina la comunità internazionale dovrebbe effettivamente intervenire sul campo per proteggere e garantire la costituzione di questi Stati, possiamo affermare lo stesso per il Donbass? Perché in quel caso, vorrebbe dire che l’ONU dovrebbe intervenire a discapito dell’Ucraina per garantire l’annessione della regione alla Federazione Russa.
Una discussione pragmatica sui limiti e sui doveri della comunità internazionale in ambito di intervento militare (e quindi di rispetto del diritto internazionale, perché la legge italiana si rispetta grazie all’utilizzo della forza da parte delle forze dell’ordine e, quindi, dello Stato) e una transizione graduale da egemonia unipolare ad un sistema cooperativo centralizzato sarebbero state la basi per la costruzione pacifica di un mondo multipolare ordinato.
Tuttavia questo non è avvenuto. La dottrina del Destino Manifesto degli USA, che come una religione pervade gli edifici politici statunitensi convincendoli che la loro esistenza è legata ad una missione civilizzatrice del mondo e dell’umanità, ha tragicamente fermato questo passaggio. E in parte è dovuto anche al fatto che nessun imperatore, all’alba del tracollo del suo impero, ha deciso di abdicare in nome della costruzione di un mondo migliore. Tuttavia, convinti che la loro egemonia non avrebbe incontrato ostacoli dopo la dipartita del Patto di Varsavia, gli Stati Uniti non hanno considerato che quando un impero crolla - e gli imperi crollano ciclicamente - oltre ai lunghi periodi di crisi e di miseria che la civiltà è chiamata ad affrontare, la figura che fa la fine peggiore è sempre e comunque l’ultimo imperatore.
Oggi noi stiamo assistendo ad un uso quasi illimitato di eccesso di forza, forza militare, nelle relazioni internazionali; forza che sta sommergendo il mondo in un abisso di conflitti permanenti. Di conseguenza noi non abbiamo l’energia sufficiente per trovare una vera soluzione per nessuno di questi conflitti. Anche trovare un accomodamento politico diviene impossibile. Stiamo assistendo ad un disprezzo sempre più grande per i principi fondamentali della legge internazionale. È un dato di fatto che norme legali indipendenti stiano diventando in modo crescente più legate al sistema legale di uno Stato. Primo fra tutti, gli Stati Uniti, che hanno oltrepassato i loro confini nazionali in ogni modo. Questo è visibile nelle politiche economiche, governative, culturali e dell’istruzione che impongono alle altre nazioni. Bene, a chi piace questo? Chi è felice di questo?
Questo comportamento degli USA ha portato ad una completa e invalidante paralisi del sistema internazionale. Sia chiaro: le colpe non sono solo statunitensi, ma nell’ex Epoca Contemporanea avevano i mezzi e la posizione di potere per permettere un sempre maggiore rispetto delle leggi internazionali. Invece hanno scelto di utilizzarle in base alla convenienza, decretando che le guerre in Medio Oriente erano guerre di liberazione. Il vero problema è che come l’Iraq poteva dover essere liberato, lo sarebbe stato ogni Paese. Quando Putin nella conferenza affermò che l’utilizzo per fini nazionali del diritto internazionale “è estremamente pericoloso. Come si vede dal fatto che nessuno si sente sicuro. Io voglio enfatizzare questo - nessuno si sente sicuro! Perché nessuno può percepire la legge internazionale come un solido muro che lo proteggerà. Tale politica incentiva ovviamente una corsa alle armi. Il dominio della forza incoraggia inevitabilmente diversi Paesi ad acquisire armi di distruzione di massa” aveva semplicemente predetto ciò che oggi sto descrivendo.
In questo scenario, in cui gli USA erano l’imperatore e la Russia il grande sconfitto, ci sono altri due soggetti che vanno presi in causa per diammetrali responsabilità nella costruzione sana di un sistema multipolare: l’UE e la Cina. L’Unione Europea avrebbe dovuto imporre la propria dottrina umanitaria (bisogna sempre tenere in considerazione che l’Unione Europea è il più grande partner globale per la crescita, sia dal punto di vista economico, che sociale, fornendo infrastrutture, mezzi e risorse per lo svolgimento di piani di modernizzazione in Paesi arretrati), ma ciò sarebbe stato possibile se si fossero verificati due eventi, connessi fra di loro: un’unificazione quanto meno confederale e una diminuzione significativa della dipendenza da Washington; e nel 2025 ne vediamo le conseguenze. L’altro attore invece, la Repubblica Popolare Cinese, è stato il miglior benefattore del sistema internazionale multipolare. Dai BRICS al Partenariato Economico Globale Regionale (meglio come conosciuto come Paternariato Economico di Shanghai che costituisce l’area di libero scambio più grande al mondo) la politica cinese ha promosso in maniera incessante una politica di cooperazione economica finalizzata alla crescita. Difatti la Repubblica Popolare Cinese ha avuto sempre meno ruoli attivi in conflitti globali, quanto più invece ha promosso soluzioni diplomatiche e internazionali con ruoli di mediazione (basti pensare anche al rapporto con la Palestina e il ruolo nel promuovere la soluzione a due Stati). Questo è avvenuto non perché la Cina sia la rappresentazione del bene in un mondo dominato dal male degli Stati Uniti, ma perché - come gli Stati Uniti stesssi ci hanno insegnato! - da una maggiore cooperazione economica ne consegue una maggiore cooperazione politica e di conseguenza una drastica diminuzione dei conflitti armati. Ed è la stessa missione che attua, dalla nascita, l’Unione Europea, ma con mezzi drasticamente inferiori, non in termini quantitativi, ma qualitativi tenendo conto delle limitazioni insite nella sua attuale natura che necessita di un’evoluzione. E, a confermalo nuovamente, è l’attuale politica sostenuta dagli Stati Uniti: con un inasprimento dei rapporti economico-commerciali degli Stati Uniti con i suoi storici partner, ne deriva un peggioramento delle relazioni politiche e un aumento considerevole dell’aumento di instabilità geopolitica e il rischio di nuovi conflitti e drammatici eventi.
L’Unione Europea, nel nuovo mondo in cui siamo, ha un ruolo molto più importante di quello che è in grado di sopportare con il suo attuale sistema decisionale. Da una parte dev’essere in grado di riformare sé stessa in maniera da poter costituire un ente stabile, sicuro e affidabile agli occhi dei Paesi stranieri e per farlo deve centralizzare il processo decisionale, come richiesto più volte dall’ex Presidente del Consiglio Mario Draghi. Dall’altra, è chiamata ad interiorizzare la necessità di cooperazione con Pechino, che da rivale strategico deve trasformarsi in partner economico. Questo mentre, nei suoi confini orientali, l’uomo che predicava bene nel 2007, ha creato una situazione di instabilità insopportabile portando la Germania a spostare l’esercito fuori dai suoi confini, evento che non succedeva dal crollo del Reich nazista.
Autore
Daniele Mainolfi