La pubblicazione del rapporto speciale della Relatrice speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967 — un nome piuttosto lungo che fa intuire la delicatezza del compito — è stata così temuta nelle precedenti settimane da spingere il presidente Trump a chiedere le dimissioni della relatrice, Francesca Albanese, ancora prima che il rapporto venisse pubblicato. Questo rapporto, il From economy of occupation to economy of genocide, descrive il sistema economico che permette l'attuale occupazione dei territori in Medio Oriente da parte di Israele. Le accuse mosse dal Presidente USA, che l'ha accusata di antisemitismo e di condurre una "guerra economica" contro aziende israeliane e internazionali, sono state inviate tramite una lettera al segretario generale dell'ONU il 20 Giugno 2025, dieci giorni prima che il documento dell’ONU venisse pubblicato.
L’obiettivo di questo articolo è di trattare i contenuti di questo rapporto, cercare di fornire a voi lettori corretti strumenti di analisi e infine mi permetterò di esprimere una piccola considerazione sul ruolo di questi relatori speciali delle Nazioni Unite.
Di cosa parla il documento
Questo rapporto analizza come, storicamente, i settori aziendali abbiano facilitato e promosso sforzi coloniali e genocidi, contribuendo all'espropriazione di popolazioni e terre indigene. Il documento stabilisce un parallelo diretto con la situazione in Palestina, dove la colonizzazione israeliana dei territori palestinesi ha seguito simili dinamiche di espropriazione, culminando nell'istituzione di un regime definito di apartheid coloniale. Secondo il rapporto, dopo decenni di negazione dell'autodeterminazione palestinese, le azioni di Israele stanno ora minacciando l'esistenza stessa del popolo palestinese. È importante notare che la Corte Internazionale di Giustizia ha esaminato la situazione attuale e ha stabilito che ci sono motivi ragionevoli per pensare che Israele stiaperpetrando atti di natura genocidiaria, non arrivando quindi ad un’accusa formale. A Maggio, diversi esperti delle Nazioni Unite hanno sollevato preoccupazioni in merito alla situazione, facendo riferimento alla possibilità che si stia realizzando un genocidio. Francesca Albanese rappresenta, quindi, la prima figura ufficiale delle Nazioni Unite ad ad accusare lo Stato israeliano esplicitamente col termine "genocidio" in un documento formale sottoposto all'istituzione internazionale. L’indagine si concentra specificamente sul ruolo delle entità aziendali nel sostenere l'occupazione israeliana e quella che appunto viene definita come campagna genocida a Gaza. Il documento esamina come diverse categorie di aziende - tra cui produttori di armi, aziende tecnologiche, imprese edili, banche, fondi pensione, università e organizzazioni benefiche - contribuiscano a sostenere un sistema descritto come basato su una duplice logica di sfollamento e sostituzione dei palestinesi.
Prima di procedere nel merito, è importante quindi specificare gli oggetti di studio di questo documento, le entità aziendali, perché questo termine può significare tutto e niente. Francesca Albanese specifica che nello studio sono state comprese imprese commerciali e società multinazionali, indipendentemente dalla loro natura privata, pubblica o statale. La responsabilità aziendale si applica universalmente, senza distinzioni basate su dimensioni, settore, contesto operativo, proprietà o struttura. Il rapporto si fonda su un'ampia documentazione, raccolta grazie ai contributi della società civile, del Gruppo di lavoro ONU su imprese e diritti umani e grazie al database dell'Alto Commissariato ONU per i Diritti Umani (OHCHR) che elenca le imprese coinvolte nella costruzione e crescita degli insediamenti israeliani. La Relatrice speciale ha creato un proprio database di 1000 entità aziendali partendo da oltre 200 segnalazioni, documentando il coinvolgimento di aziende globali nelle violazioni nei territori palestinesi occupati. Delle 45 entità specificamente citate nel rapporto, solo 15 hanno risposto alle accuse formulate. L'indagine ha evidenziato come molte aziende cerchino di nascondere la propria complicità attraverso complesse strutture societarie. Tuttavia, bisogna ricordare che i processi degli industriali dopo l'Olocausto hanno stabilito basi per la responsabilità penale internazionale dei dirigenti aziendali per crimini internazionali. Nei territori palestinesi occupati, in base a decenni di violazioni documentate e recenti sviluppi giudiziari, qualsiasi coinvolgimento aziendale nell'occupazione è collegato a violazioni di norme internazionali e la Corte Internazionale di Giustizia ha affermato l'illegalità della presenza israeliana, inclusi controllo militare, colonie e sfruttamento delle risorse.
Entriamo nel contenuto
Secondo il rapporto, le restrizioni imposte hanno soffocato l'economia palestinese, trasformando i territori in un mercato prigioniero. Gli accordi di Oslo del 1993 avrebbero consolidato questo sfruttamento, istituzionalizzando il monopolio israeliano sul 61% della Cisgiordania, con un costo per l'economia palestinese stimato al 35% del PIL. Il rapporto identifica otto settori che operano sia separatamente che in modo interdipendente, adattandosi alle pratiche che la relatrice definisce genocide dopo l’Ottobre del 2023. Qui vi inseriamo un breve elenco riassuntivo del rapporto tra alcune realtà aziendali con l’attuale conflitto israeliano-palestinese:
- per l’industria militare, le aziende principali citate nel documento per la loro collaborazione all’occupazione dei territori non riconosciuti ad Israele sono:
- Lockheed Martin (USA)
- Elbit Systems (Israele)
- IAI (Israele)
- Boeing (USA)
- BAE Systems (Regno Unito)
- General Dynamics (USA)
- RTX (USA)
- Leonardo (Italia)
- FANUC (Giappone)
- per quanto riguarda il settore tech, le aziende principali citate nel documento per la loro collaborazione all’occupazione dei territori non riconosciuti ad Israele sono:
- Microsoft (USA)
- Alphabet (per chi non la conoscesse, è il colosso che comprende Google, YouTube, etc.) [USA]
- Amazon (USA)
- IBM (USA)
- Palantir (USA)
- nel settore dei macchinari pesanti, vengono menzionate:
- Caterpillar (USA)
- HD Hyundai (Corea del Sud)
- Volvo (Svezia)
- nell’ambito della finanza, le aziende principali citate nel documento per la loro collaborazione all’occupazione dei territori non riconosciuti ad Israele sono:
- BNP Paribas (Francia)
- Barclays (Regno Unito)
- PIMCO (Allianz) [Germania]
- Vanguard (USA)
- BlackRock (USA)
- Government Pension Fund Global (Norvegia) [Norvegia]
- JP Morgan (USA)
- Citigroup (USA)
- nell’ambito agricolo, le aziende principali citate nel documento per la loro collaborazione all’occupazione dei territori non riconosciuti ad Israele sono:
- Drummond (USA)
- Glencor (Svizzera)
- Bright Dairy & Food (Cina)
- Netafim (Israele)
- nel settore del turismo vengono citate AirBnb (USA) e Booking (Paesi Bassi), che offrono alloggi in territori occupati in maniera illegale e non riconosciuta;
- nel settore universitario e della ricerca, vengono citati:
- MIT (USA)
- Technische Universität München (Germania)
- Università di Edimburgo (Regno Unito)
Il ruolo di queste aziende nell’occupazione riguarda la produzione di missili, droni, jet da combattiment e test di sistemi d’arma sulla popolazione;
Queste aziende forniscono software di targeting, di AI militare e sorveglianza in tempo reale;
Questi macchinari vengono utilizzati per la demolizione di case e infrastrutture civili;
Dal punto di vista finanziario, il collegamento con l’occupazione è più astratto, in quanto sottoscrivono bond (titoli di Stato) israeliani, mantenendo un flusso di cassa militare costante;
Queste aziende sono accusate di cooperare nello sviluppo agricolo all’interno di territori occupati con coloni israeliani in maniera illegale e non riconosciuta;
Il ruolo di queste università si concentra sulla ricerca riguardante lo sviluppo di droni, software di sorveglianza e AI militare in collaborazione con l'industria bellica. È doveroso rammentare in questo caso che è impossibile distinguere le competenze che i partner israeliani apportano a queste partnership da quelle acquisite e utilizzate nelle violazioni a cui sono collegati.
Un punto centrale del rapporto è come, dopo Ottobre 2023, le tecnologie militari precedentemente utilizzate per favorire l'espulsione dei palestinesi siano diventate strumenti per uccisioni e distruzioni di massa, rendendo Gaza e parti della Cisgiordania inabitabili. Le tecnologie di sorveglianza si sarebbero evolute in strumenti per colpire indiscriminatamente la popolazione, mentre i macchinari pesanti sarebbero stati impiegati per cancellare il paesaggio urbano di Gaza.
Il dilemma nel dilemma
Alla luce dei collegamenti documentati tra le entità aziendali e le operazioni militari israeliane, emergono questioni significative di natura giuridica e morale. Dina Rovner, consulente legale di UN Watch, ha formulato critiche sostanziali al rapporto, sostenendo che esso presenti un'analisi incompleta. Secondo Rovner, il documento trascura deliberatamente il contesto storico e politico, omettendo riferimenti agli attacchi terroristici contro Israele e al rifiuto di Hamas di aderire a proposte di accordi di pace. Il rapporto, effettivamente, concentra l'attenzione esclusivamente sulle responsabilità israeliane, senza esaminare il ruolo delle organizzazioni terroristiche nelle dinamiche di violenza. Questa impostazione solleva interrogativi sulla portata dell'applicazione del diritto internazionale, particolarmente in relazione al concetto di complicità aziendale, per il quale manca una base giurisprudenziale consolidata. È opportuno precisare che UN Watch è un'organizzazione indipendente il cui mandato dichiarato è monitorare l'operato delle Nazioni Unite rispetto ai principi della propria Carta, e non sussiste alcun legame istituzionale tra le due entità.
In sintesi, l'analisi critica di questo documento evidenzia il rischio di subordinare la valutazione giuridica oggettiva a considerazioni di natura etica e morale. Sebbene tali considerazioni rivestano un'importanza fondamentale, non possono costituire l'esclusivo fondamento del diritto internazionale: la diversità culturale e storica determina differenti prospettive morali, molte delle quali non universalmente condivise, mentre il diritto internazionale dovrebbe aspirare a un'oggettività ed equità che garantisca il rispetto di tutte le parti coinvolte. Oltre a questo, dal punto di vista giuridico, il rapporto rivela ulteriori elementi problematici sul piano metodologico: a categorizzazione delle entità aziendali come "complici" presuppone una relazione causale diretta tra le loro attività commerciali e le violazioni dei diritti umani, senza però stabilire criteri oggettivi per determinare la soglia di coinvolgimento che costituirebbe complicità. Va osservato che il rapporto, pur presentando una documentazione estesa, si basa in parte su informazioni fornite da organizzazioni della società civile con posizioni predefinite sul conflitto. Questa metodologia potrebbe compromettere l'imparzialità necessaria per un'analisi equilibrata.
A prescindere dalle posizioni, è fondamentale difendere i relatori
I Relatori Speciali delle Nazioni Unite rappresentano uno dei meccanismi fondamentali attraverso cui il Consiglio per i Diritti Umani monitora e documenta violazioni in contesti specifici o su tematiche trasversali. Questi esperti indipendenti, nominati per un periodo limitato, svolgono un ruolo cruciale nell'ecosistema dei diritti umani internazionali, operando senza compenso e con piena autonomia rispetto ai governi e alle stesse Nazioni Unite. La loro indipendenza costituisce contemporaneamente la loro forza e vulnerabilità: da un lato garantisce valutazioni non condizionate da interessi politici, dall'altro li espone a pressioni, delegittimazioni e attacchi quando le loro conclusioni contrastano con gli interessi geopolitici di attori influenti. Come evidenziato dal caso di Francesca Albanese, spesso si trovano al centro di controversie politiche che tentano di screditare il loro lavoro. Le richieste di dimissioni avanzate dall'amministrazione Trump rappresentano un esempio emblematico di come il potere politico tenti di neutralizzare voci indipendenti quando queste minacciano narrative consolidate o interessi strategici. Analogamente, il lavoro di Nils Melzer, ex Relatore Speciale sulla sulla tortura e altre punizioni o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, è stato sistematicamente ostacolato quando ha denunciato il trattamento di Julian Assange come tortura psicologica, evidenziando come il fondatore di WikiLeaks fosse vittima di persecuzione politica mascherata da procedimento giudiziario.
Questi casi illustrano un paradosso intrinseco al sistema dei diritti umani internazionali: i meccanismi creati per garantire responsabilità e trasparenza vengono delegittimati proprio da quegli Stati che pubblicamente ne celebrano l'importanza. Il valore dei Relatori Speciali risiede proprio nella loro capacità di parlare verità al potere, documentando violazioni che altrimenti rimarrebbero invisibili nell'arena internazionale. La loro funzione di "campanello d'allarme" risulta particolarmente preziosa in contesti di conflitto prolungato o sistematiche violazioni, dove la comunità internazionale rischia di normalizzare l'inaccettabile. Tuttavia, la crescente polarizzazione del dibattito sui diritti umani e l'erosione del multilateralismo minacciano l'efficacia di questi meccanismi, trasformando questioni di diritto internazionale in dispute ideologiche dove la verità diventa la prima vittima.
In questo scenario complesso, la protezione dell'indipendenza dei Relatori speciali rappresenta una sfida cruciale per preservare l'integrità del sistema internazionale dei diritti umani. Il loro contributo, seppur spesso contestato, rimane essenziale per mantenere viva l'aspirazione a un ordine internazionale basato su regole condivise piuttosto che sul mero esercizio del potere. A prescindere dalle posizioni e dai possibili errori di analisi, questi esperti continuano a svolgere una funzione insostituibile nell'illuminare le zone d'ombra della politica internazionale, anche quando questo significa affrontare la disapprovazione delle maggiori potenze globali, come dimostra il rapporto di Albanese sull'occupazione palestinese.
Autore
Daniele Mainolfi