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I conflitti in Ucraina e in Israele - quest’ultimo in continua estensione - hanno riscontrato un’importante attenzione mediatica per due motivi: il primo è il fatto che sono conflitti in Europa - se utilizziamo la concezione di Fernand Braudel del termine Europa, ovvero estendendo i confini classici a tutti i Paesi confinanti col Mediterraneo. Il secondo, è il fatto che questi due conflitti vedono coinvolte potenze regionali o superpotenze (come Israele, Russia e Iran). Tuttavia, non bisogna dimenticarsi che il peso mediatico non rispecchia sempre - anzi, quasi mai - il peso morale delle guerre.
Il 15 Febbraio 2022 Israele colpì la Striscia di Gaza con una serie di attacchi missilistici, notizia che fu assolutamente sovrastata dall’invasione russa in Ucraina. Due anni dopo, la situazione è degenerata in un conflitto regionale che ha generato un’enorme emergenza umanitaria e possibili ritorsioni nucleari.
Se vi è una lezione da trarre nell'affrontare tematiche così atroci, è quella che un'equa attenzione mediatica ai conflitti potrebbe prevenire le drammatiche escalation di cui oggi siamo tutti testimoni.
I cinque conflitti esaminati in questo testo rappresentano una situazione ancora più grave: non solo ricevono scarsa copertura mediatica, ma hanno già raggiunto livelli allarmanti di escalation.
Burkina Faso
Il Burkina Faso sta affrontando gravi conflitti interni e un’instabilità politica alimentata principalmente dall'espansione di gruppi jihadisti come Al-Qaeda e lo Stato Islamico. La situazione è drasticamente peggiorata dal 2015, con un'escalation di violenza che ha portato a significativi cambiamenti politici e sociali nel Paese. Secondo l'Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED), tra il 2015 e il 2023, ci sono stati oltre 7.000 casi di violenza legati al terrorismo con risultato più di 10.000 vittime. Questa crescente minaccia ha messo a dura prova le capacità - già fragili - del governo di mantenere la sicurezza e la stabilità. L'incapacità percepita del governo di fronteggiare efficacemente l'insurrezione jihadista ha portato a due colpi di Stato nel 2022: il primo, a Gennaio, ha deposto il presidente Roch Kaboré, democraticamente eletto; il secondo, a Settembre, ha portato al potere Ibrahim Traoré, il presidente più giovane nella storia del Paese, nato nel 1988.
Militari dell’esercito del Burkina Faso, 2023
Traoré, un ufficiale dell'esercito, ha giustificato la sua presa di potere con la necessità di rafforzare la sicurezza e combattere l'espansione del terrorismo islamista, ma il conflitto con i gruppi terroristici non sembra cessare. Quest’anno, la città di Manni ha subito un pesante e organizzato attacco terroristico: i gruppi armati hanno tagliato le comunicazioni, attaccato il mercato locale e appiccato fuoco agli edifici, causando oltre 150 vittime. L'attacco è proseguito nei giorni seguenti, prendendo di mira anche feriti e personale medico. Ad Agosto un episodio simile a Barsalogho ha causato almeno 400 morti. Questi eventi hanno reso il Burkina Faso uno dei principali punti caldi per il terrorismo nel Sahel, contribuendo al deterioramento della sicurezza a livello regionale. In risposta a questa crisi, il governo di Traoré ha adottato una serie di misure, che si allontanano sempre di più dalla sfera di influenza occidentale, fancendo parte dell'Alliance of Sahel States (AES), un blocco che si definisce anti-imperialista. Sul fronte economico, il 5 Ottobre 2024, Traoré ha annunciato la revoca delle licenze minerarie straniere, concentrandosi sull'estrazione e la raffinazione dell'oro a livello nazionale. Diverse miniere d'oro sono state nazionalizzate, tra cui Boungou e Wahgnion. Il Paese ha gettato le basi per la sua prima raffineria d'oro, con una capacità produttiva prevista di 150 tonnellate all'anno, e ha aperto un impianto di trattamento dei rifiuti minerari.
Nonostante queste iniziative economiche, la situazione di sicurezza rimane critica. Secondo l'UNHCR, a Settembre 2023, il Burkina Faso contava oltre 2 milioni di sfollati interni, pari a circa il 10% della popolazione totale. Questo dato evidenzia la gravità della crisi umanitaria causata dal conflitto in corso. La comunità internazionale continua a monitorare da vicino la situazione, mentre il governo di Traoré cerca di bilanciare la lotta al terrorismo con le riforme economiche necessarie per stabilizzare il Paese.
Repubblica Democratica del Congo
La situazione di sicurezza nell'Est della Repubblica Democratica del Congo (RDC) è una delle crisi più gravi dell’intero contintente africano. Negli ultimi anni, il conflitto ha visto il riemergere della ribellione del gruppo M23, che ha intensificato le ostilità contro il governo congolese arrivando a conquistare importanti città come Nyanzale e ha continuato la sua avanzata verso Butembo, la seconda città più grande della regione orientale della RDC. Contestualmente, sempre nella regione orientale, le Forze Democratiche Alleate (ADF), un gruppo ribelle islamista, hanno intensificato gli attacchi a Nord e a Sud provocando gravi perdite civili. Nonostante l'intensificazione delle operazioni militari e i numerosi sforzi internazionali per mediare tregue, le violenze non si sono placate. Nel 2024, la comunità internazionale, tra cui l'ONU, ha cercato di stabilire cessate il fuoco, ma l'efficacia di questi accordi è stata limitata. In particolare, l'attività dell'M23, supportato dal Rwanda, ha continuato a violare questi accordi, estendendo il conflitto oltre i confini della RDC e coinvolgendo Paesi limitrofi come l'Uganda e il Burundi. Dal lato del governo congolese, la cooperazione con le milizie locali, come i wazalendo (patrioti), ha creato alleanze difficili da gestire, con un aumento delle violenze anche da parte di questi gruppi. Le forze armate congolesi, a causa della corruzione diffusa e della limitata capacità di intelligence, si trovano in difficoltà ad affrontare il conflitto.
Il conflitto ha provocato un numero crescente di rifugiati e sfollati, mettendo sotto pressione le risorse dei Paesi vicini. In particolare, il coinvolgimento del Rwanda aumenta il rischio di un'escalation del conflitto, con possibili conseguenze per la sicurezza regionale, data anche la storica rivalità etnica tra i Tutsi e i Hutu, che rischia di riemergere in modo violento. Nel contesto dei rapporti diplomatici, i colloqui tra il Presidente congolese Tshisekedi e il Presidente ruandese Kagame sono diventati cruciali per cercare una soluzione, ma la mancanza di fiducia reciproca e le difficoltà sul terreno continuano a rendere incerti gli sviluppi. La comunità internazionale capitanata dall'Angola sta cercando di mantenere vivi i colloqui, ma le divergenze tra la RDC e il Rwanda rendono difficile trovare un accordo duraturo. Il conflitto si intreccia anche con la lotta per il controllo delle risorse naturali nella regione, in particolare i minerali preziosi, che alimentano ulteriormente la violenza.
Donna combattente nel gruppo dei ribelli congolesi, 2013
In definitiva, l'est della RDC rimane una delle aree più pericolose e instabili del continente africano, dove le tensioni etniche, i gruppi armati e l'intervento internazionale contribuiscono a una situazione di incertezza che ha portato a 150.000 morti e milioni di profughi e sfollati.
Libia
Dalla morte di Gheddafi nel 2011, la Libia è entrata in una spirale di caos, con due governi rivali (uno a Tripoli, sostenuto da una coalizione islamista, e l'altro a Tobruk, supportato da forze laiche) che competono per il controllo del Paese. Le milizie armate, alcune delle quali con legami con gruppi estremisti, giocano un ruolo significativo nella lotta per il potere. Nonostante gli sforzi delle Nazioni Unite per mediare un cessate il fuoco e promuovere elezioni democratiche, le tensioni continuano a crescere. Il generale Khalifa Haftar, sostenuto da vari attori internazionali, ha tentato di assumere il controllo del paese, contribuendo all'instabilità.
Gli scontri per il controllo delle risorse petrolifere, la corruzione e l'interferenza esterna, con interessi in competizione tra Russia, Turchia, Emirati Arabi Uniti e potenze occidentali, rendono la situazione ancora più complessdaa. Inoltre, la crisi umanitaria e la gestione dei flussi migratori continuano a peggiorare le condizioni di vita della popolazione libica. Determinare un numero preciso di vittime totali è complicato a causa della complessità del conflitto, della mancanza di dati affidabili sul campo e della comunicazione incoerente tra le varie fazioni: alcune fonti suggeriscono decine di migliaia di morti dal 2011, mentre altre si concentrano su eventi specifici, come l'aumento del 131% delle morti civili nel solo 2020 causato principalmente dai conflitti militari all’interno del Paese tra le due fazioni. Amnesty International e altre organizzazioni hanno accusato le forze di Haftar di innumerevoli crimini di guerra.
Myanmar
Dal 27 Ottobre 2023, la guerra civile in Myanmar ha visto un'escalation significativa con l'Operation 1027, lanciata da tre gruppi armati etnici (MNDAA, TNLA, AA) nello Stato di Shan. Questi gruppi, alleati del Governo di Unità Nazionale (NUG) in esilio, hanno conquistato circa 100 avamposti militari e interrotto il traffico commerciale con la Cina. All’'Operazione 1027 contro la giunta militare in Myanmar segue una seconda operazione, lanciata il 7 Marzo, che ha ulteriormente aggravato i problemi economici della Cina. Queste operazioni hanno provocato una reazione dell'Esercito Popolare di Liberazione cinese, che ha condotto esercitazioni militari al confine. Le azioni dell'Alleanza dei Tre Fratelli - la coalzione dei gruppi armati etnici - ha portato la Cina ad assumere un ruolo di mediazione, organizzando quattro round di colloqui tra l’Alleanza e l'esercito del Myanmar tra Dicembre 2023 e Marzo 2024. Questi sforzi hanno portato all'Accordo di Haigeng l'11 Gennaio, che ha congelato il conflitto nella regione settentrionale, ma la pace non è durata: una nuova operazione dell’Alleanza ha ulteriormente indebolito l'esercito del Myanmar e le faide interne alla coalizione dei gruppi armati etnici porta ad una ancora maggiore instabilità. La Cina è emersa come l'attore più attivamente coinvolto nel tentativo di plasmare la traiettoria del conflitto in Myanmar, principalmente attraverso la mediazione coercitiva. Difatti, la mancanza di coinvolgimento di altri Stati sta dando alla Cina lo spazio per concentrarsi sui propri interessi piuttosto che lavorare per una pace a lungo termine.
Sul piano umanitario, la guerra ha causato lo sfollamento di circa 1,8 milioni di persone e 5,8 milioni di bambini bisognosi di assistenza. Prendendo sempre come riferimento i dati forniti dall'ACLED, il conflitto in Myanmar ha causato oltre 50.000 vittime, di cui almeno 8.000 sono civili.
Sudan
La guerra civile in Sudan è un conflitto molto complesso iniziato nel 2023, frutto di tensioni tra l'esercito regolare, guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhan, e le Forze di Supporto Rapido (RSF) di Hemedti. La seguente spiegaizone sarà una semplificazione, che potrebbe essere approfondita successivamente in un separato articolo, considerando la vastità dello scenario.
L'instabilità del Paese ha portato a tre colpi di Stato, l'ultimo dei quali avvenuto nel 2023. Le cause sono sia economiche, legate al controllo delle risorse minerarie, sia politiche, derivanti dalla fallita transizione democratica dopo la deposizione di Omar al-Bashir nel 2019. Le violenze hanno provocato oltre 9.000 morti e milioni di sfollati, creando una grave crisi umanitaria. La popolazione affronta insicurezza alimentare, con milioni di persone in difficoltà. La situazione è aggravata dalla frammentazione del territorio e dal dominio di forze paramilitari, che rendono difficile l'assistenza umanitaria. L'interesse di potenze esterne come Russia e Iran ha complicato ulteriormente il panorama. Mosca, attraverso la famigerata Wagner - di cui la fama in ambiti militari deriva molto più dall’intervento in Sudan e in Africa piuttosto che al fallimento in territorio ucraino, dove ha acquisito però notorietà mediatica -, ha fornito supporto militare a Hemedti in cambio di accesso alle ricchezze minerarie, mentre l'Iran si è avvicinato all'esercito regolare. Queste dinamiche internazionali influiscono sulla stabilità della regione e rendono difficile il raggiungimento di un cessate il fuoco.
Nonostante gli appelli della comunità internazionale e i fondi umanitari stanziati, gli sforzi per fermare il conflitto sono stati inefficaci. La mancanza di sicurezza e la chiusura di valichi di frontiera ostacolano la distribuzione degli aiuti, contribuendo a un clima di anarchia e impunità, in cui i civili sono le principali vittime.
Rifugiati da un conflitto nel Sud del Sudan, Joao Silva per il New York Times, 2024
Autore
Daniele Mainolfi