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A Parma, nei bar come nei circolini, perfino in Comune, capita sovente che persone d’ogni estrazione sociale ed elettorale ripetano un refrain che, seppure declinato in molteplici forme, esprime un’unica convinzione: «In Italia, la Sinistra non esiste più».
Ma quanto c’è di vero in quest’affermazione?
A mio parere, molti di coloro che intonano questo ritornello lo fanno con la stessa ambigua convinzione con cui un cristiano scettico, in compagnia di amici altrettanto scettici ma non cristiani, in un contesto radicalmente socialista, pronuncia ad alta voce il celebre verso dello Zarathustra: Dio è morto. Con tono fermo, sì, per farsi accettare dalla massa, ma senza riuscire a crederci fino in fondo. Un giovane schivo venuto dalla campagna, certamente, lo ha fatto — e qui lo riporto, perché ne conosco il dubbio...
Riprendo il filo. Potrei unirmi anch’io a questo coro — se per “Sinistra” intendessimo soltanto quella randa radical-chic, addottorata all’estero, lontana dalla gente, che balbetta deboli reprimende contro chiunque non proclami che OnlyFans sia un luogo d’emancipazione femminile; o che infila asterischi persino nelle note a piè di pagina degli autori cinquecenteschi. Una sinistra di plastica, che già nel Novecento George Orwell aveva previsto e smascherato con brutale onestà:
«Non amano veramente i poveri; amano semplicemente odiare i ricchi.»
Da questa citazione si comprende meglio l’allontanamento progressivo di molte figure del Partito Democratico dal mondo dei lavoratori.
La loro silente complicità rispetto allo smantellamento progressivo dello Statuto dei Lavoratori voluto da Brodolini e Donat-Cattin nel 1970 — simbolo autentico di progresso sociale — parla da sola. Sottoscriverei anch’io quel ritornello — se per “Sinistra” si intendesse solo la caricatura bolshevica alla Fusaro, o quella élite post-progressista che Pier Paolo Pasolini definiva con precisione chirurgica:
«Il progressista... questo nuovo chierico, che comincia a diventare egemone nella cultura nazionale [...] non tiene conto dei cambiamenti profondi e totali che sono avvenuti in questi ultimi dieci anni e che sono dovuti a un nuovo tipo di capitalismo.»
Critiche legittime, che fotografano una sinistra post-ideologica, progressivamente distante dai suoi riferimenti storici e popolari. Ma non bastano per dichiararla estinta.
Perché io credo che la Sinistra esista ancora — viva, concreta, radicata — e che non abbia nulla a che vedere con quei fantasmi ideologici.
La Sinistra esiste nelle associazioni che promuovono democrazia e rispetto, nelle lotte studentesche per un’università libera e imparziale — anche quando, come è accaduto a noi di Punto e Virgola, si viene messi a tacere. Esiste nei volti stanchi ma lucidi di chi ricorda i partigiani non per nostalgia, ma per responsabilità.
È in chi distingue ancora, con coraggio, il bene dal male; in chi crede che giustizia sociale non significhi rendere tutti uguali, ma dare a ciascuno gli stessi strumenti per vivere dignitosamente.
Fatte salve le eccezioni (che, come sempre, confermano la regola), questa è la mia definizione finale: Il Popolo che ha una coscienza politica e storica, e suoi temi, sono la Sinistra.
Per dare più sostanza alla mia definizione, aggiungo che la Sinistra è anche quel desiderio viscerale di migliorare la realtà in cui viviamo. Desiderio che ognuno di noi sperimenta e che è l'origine di ogni cambiamento. Quel desiderio che ha portato: Alla Legge Basaglia (1978), che abolì i manicomi e riformò il sistema psichiatrico italiano; Alla legalizzazione dell’obiezione di coscienza e del servizio civile (1972); Alla Legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza (1978), un diritto fondamentale per le donne italiane; Alla Legge sul divorzio (1970), promossa dal PSI di Loris Fortuna, e alla sua difesa nel Referendum del 1974, un successo della Sinistra laica e progressista contro le pressioni clericali.
È questa forza inesorabile che imprime ritmo e direzione a un Paese, e così facendo, ne scrive la sua storia. In particolare, è il desiderio dei suoi milioni di lavoratori di vivere una vita senza umiliazioni e con eguali possibilità di futuro. Nel caso italiano, la Sinistra è figlia della comunità risorgimentale che lottò con le élite per cancellare le diseguaglianze sociali senza mai rinunciare alla libertà dell’individuo.
È voce collettiva che ha combattuto — e continua a combattere — affinché ogni cittadino e ogni cittadina abbia rappresentanza politica, dignità, diritti.
Lo ricordava Sandro Pertini, nel 1950, alla Camera:
«Sono figlio del popolo, e la mia lotta, fin da giovane, è stata per ridare voce ai dimenticati, dignità ai poveri, libertà agli oppressi»
— Ridare voce a quel popolo che oggi, con amarezza, diserta le urne.
Infatti, l’insoddisfazione verso la Sinistra — secondo la mia definizione di Sinistra come Popolo — è in fondo la stessa insoddisfazione che proviamo verso noi stessi, verso una cittadinanza disillusa e disinteressata, che crea un reale pericolo per il futuro democratico.
Lo spiega bene Marco Revelli:
«L’immagine, desolante, di una “democrazia senza popolo” e di quella che, in un futuro non lontano, potrebbe diventare un “popolo senza democrazia”.»
La Sinistra non è un’etichetta. È un moto dell’anima popolare.
È memoria storica e sguardo sul domani; è lotta concreta e tensione morale. È l’insieme dei gesti quotidiani che avvicinano e non escludono.
Non vive nei salotti, ma nei corpi intermedi, nei presìdi sociali, nei lavoratori che non smettono di credere nel futuro.
Esiste ogni volta che qualcuno si oppone all’ingiustizia, non per tornaconto, ma per dignità.
Ed è questo, forse, il segno più vero della sua presenza: la coscienza di sé, anche quando pare sparita. Come scrisse Enrico Berlinguer:
«La questione morale esiste da tempo, ma è oggi diventata la questione politica prima e fondamentale. Perché dalla sua soluzione dipende la rinascita della società italiana.»
Autore
Alessandro Mainolfi