Dopo l’assoluzione di Matteo Salvini per il caso Open Arms (in data 19 giugno 2025) e il proscioglimento dell’indagine riguardante Matteo Renzi e i finanziamenti ricevuti dalla Fondazione Open (in data 19 dicembre 2024), all’interno della politica italiana, molti si sono fatti portavoce di istanze impunitarie e, soprattutto, di vendetta contro la magistratura. L’idea più clamorosa è quella del leghista Claudio Borghi, nostalgico delle guarentigie da Prima Repubblica: “L’immunità parlamentare garantiva la separazione tra i poteri dello Stato ed era molto giusta. Nel momento in cui abbiamo fatto cadere questa barriera, a una piccolissima parte della magistratura abbiamo dato uno strumento di lotta politica. Io sarei favorevolissimo a riproporre l’immunità parlamentare”. L’altro Borghi, Enrico, facente parte di Italia Viva, argomenta al Fatto Quotidiano: “La mia opinione personale è che si sia creata una situazione di squilibrio. Si è passati da una esagerazione all’altra: prima c’era una totale impunità per i parlamentari, ora non ci sono elementi di riequilibrio se non a valle del processo o delle indagini. Il tema meriterebbe una riflessione, purché inserito nel contesto di una riforma più ampia”. Di immunità parla anche Osvaldo Napoli di Azione: “Il Parlamento ha deciso di eliminare l’immunità in un momento di grandi viltà politiche”. Un asse trasversale c’è, insomma. E ancor più corposo è l’intergruppo che oggi chiede provvedimenti nei confronti dei magistrati. Andrea Crippa, vicesegretario leghista, conferma la linea leghista: “Diventa sempre più necessario e urgente una riforma della giustizia che preveda separazione delle carriere, senza dimenticare la responsabilità civile e penale delle toghe”. Pure penale, dunque. Enrico Costa, deputato di Forza Italia, parte dall’idea di Borghi e arriva ai magistrati: “Non so se il ritorno all’immunità parlamentare servirebbe, è soggetta alle maggioranze, per Salvini è stato così. Piuttosto, bisogna responsabilizzare la magistratura. Si pensa che l’errore giudiziario sia solo l’ingiusta detenzione o quando c’è una revisione del processo, ma ci sono errori enormi anche solo nel mandare a giudizio persone in processi morti in partenza. Se sbagli prognosi dieci volte di fila, c’è qualcosa che non va. Per lo meno sarebbe opportuno che ne risentisse la carriera di quel magistrato”. Così anche un altro forzista, Pietro Pittalis: “Oggi l’immunità ce l’hanno i magistrati che sbagliano”. Ovviamente questi signori non sanno di cosa parlano, soprattutto quando parlano di separare le carriere di magistrati e giudici per evitare l’appiattimento dei secondi sui primi.
Oltre agli esempi concreti, sono anche i numeri a dimostrare quanto spesso ci sia difformità tra le decisioni dei PM e quelle dei giudici. Secondo i dati statistici, riportati in un articolo di giustiziainsieme.it, nei tribunali le assoluzioni nel merito sono passate dal 23% nel 2012 e 2013 al 39% nel 2019. Andando a dati più recenti, secondo le cifre fornite dal primo presidente della Cassazione, Pietro Curzio, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2022, quasi il 64% dei procedimenti che escono dalle Procure, dopo la fine delle indagini preliminari, viene archiviato: si tratta di quasi 430 mila fascicoli. E ancora: se guardiamo alle sentenze di primo grado definite dal primo luglio 2020 al 30 giugno 2021, nei giudizi ordinari ci sono state il 54,8% di assoluzioni, con l’immediato si scende al 27,2%, con il giudizio direttissimo si risale al 40,4% (percentuali pubblicate dal Sole24ore, citando dati del ministero della Giustizia). Questi dati dimostrano come non ci sia alcun appiattimento del giudice sul Pubblico Ministero, in quanto capita molto spesso che le richieste dei PM vengano respinte dai giudici.
Ovviamente i veri problemi della giustizia sono altri, ed emergono da questo intervento di Piercamillo Davigo, risalente al 29 maggio 2012:” Nel marzo 2002, la stampa ha dato conto dell’arrivo del delegato ONU incaricato di monitorare la giustizia italiana, il malese Dato Param Cumaraswamy, il quale, dopo avere incontrato a Roma il vicepresidente del Csm, il Procuratore generale della Cassazione, parlamentari e rappresentanti dell’Associazione nazionale magistrati, è venuto a Milano, dove si è incontrato col ministro di Grazia e Giustizia Castelli ed alcuni di noi magistrati locali. Era l’epoca in cui era in lavorazione il disegno di legge sulla riforma dell’ordinamento giudiziario, il cui punto considerato fondamentale era la separazione delle funzioni (non delle carriere: unico concorso e unico tirocinio) tra magistrati giudicanti e requirenti. Particolare interessante: è emerso che il delegato malese ha riferito, tra l’altro, di essere rimasto sorpreso nel rilevare che il principio “la legge è uguale per tutti”, evidenziato nelle nostre aule giudiziarie, risultava disatteso da molti casi in cui alcuni risultavano “più eguali degli altri”. Il ministro della Giustizia Castelli, nella circostanza, si limitava a commentare che o l’interprete non aveva trasferito correttamente le parole del delegato o l’interlocutore diretto del delegato malese… era comunista.” Tralasciando la nota di folklore tipicamente italiana, il giudice malese colse bene il punto della situazione riguardo al sistema di giustizia italiano.
Al delegato ONU non piacque affatto il ricorso all'articolo 205 della nostra procedura penale (l’articolo 205 del codice di procedura penale italiano disciplina l'assunzione della testimonianza del Presidente della Repubblica e di altri grandi ufficiali dello Stato. In particolare, l'articolo stabilisce che la testimonianza del Presidente della Repubblica viene assunta nella sede in cui esercita le sue funzioni, mentre per altri grandi ufficiali dello Stato, se necessaria la loro comparizione per atti come ricognizioni o confronti, questa può avvenire nelle forme ordinarie) da parte di Silvio Berlusconi, all’epoca Presidente del Consiglio, e disse: «Considero questa norma, particolarmente in questo tempo e frangente, insostenibile. Essa offende il principio di uguaglianza di fronte alla legge che è previsto come uno dei principi fondamentali nell'articolo 3 della Costituzione italiana. Inoltre, offende gli articoli 14 e 26 della Convenzione Internazionale sui diritti civili e politici. L'articolo 14 stabilisce che tutte le persone sono eguali di fronte alla corte. Il principio dell'eguaglianza di fronte alla legge è il valore essenziale del precetto di legge». In particolare, il primo ministro non dovrebbe comportarsi in modo da dare l'impressione di «essere sopra la legge e di violare il valore essenziale del precetto di legge». L'insistenza del relatore speciale si spiega proprio ricordando la rigidità con cui, nei sistemi anglosassoni, si evita qualsiasi condiscendenza verso i poteri al momento delle testimonianze. Basti ripercorrere le immagini di Bill Clinton davanti al Gran Jury, nel caso Monica Lewinsky, e alla tenacia con cui gli vennero poste domande sulla sua credibilità nelle dichiarazioni precedenti. Nel suo appello al Governo italiano, si lesse nella nota dell’Onu, l’incaricato speciale richiamò l’attenzione sui ‘Principi basilari dell’indipendenza dei giudici’ dell’Onu, che prevedono, tra le altre cose, che” l’indipendenza del sistema giudiziario sia garantita dallo Stato e sancita dalla Costituzione o dalla legge del paese. è compito di tutti i governi – affermano ancora i ‘Principi’ – e delle altre istituzioni rispettare e osservare l’indipendenza della giustizia”. Il delegato ONU citò un altro passaggio dei ‘Principi’, nel suo appello all’Italia:” Non ci deve essere alcuna interferenza inappropriata o ingiustificata con il sistema giudiziario”. Più di venti anni dopo, ci ritroviamo, più o meno, nella stessa situazione.
Autore
Riccardo Maradini