Una cosa è chiara a tutti: se in Russia ancora non si sono trovati i presupposti, e forse nemmeno l’attenzione mediatica necessaria da parte dell’opinione pubblica per un cessate il fuoco, a Gaza, invece, la guerra deve finire. Deve finire perché, nella baraonda di missili, attentati, della stampa confusissima, dei civili che sfuggono all’ordine dei governi e salpano, il Medio Oriente non è solo una terra insanguinata: è diventato una domanda che tocca il cuore di tutti. Abbiamo il coraggio e l'amore di dire basta? Al di là di ogni attentato e di ogni evento e di ogni odio; per rispondere a una domanda del genere servono tempo, silenzio, cura, diplomazia e pace. Dalla Russia, infatti, non arrivano immagini dirette del conflitto sui social. I media ci riportano solo le dichiarazioni dei governi, le manovre tecniche delle due parti, e le stime delle perdite, che parlano di più di un milione di morti tra soldati e civili, eppure noi non li abbiamo visti. In Palestina, invece, l'arma più potente a disposizione della pace è stata proprio questa: il flusso costante di immagini. Ogni video, ogni foto di macerie e di bambini feriti ha avuto un impatto viscerale sulle nostre anime, tanto che nessun comunicato o notizia ufficiale ha potuto eguagliare quella carica emotiva. Anche il governo israeliano lo sa. Nessuno riesce più a guardare questa guerra senza un profondo sgomento, senza essere terremotato, e infatti Israele ha confermato questa mattina la propria adesione all'ultima iniziativa di pace avanzata dal presidente degli USA Donald Trump. «Desideriamo porre fine alla guerra a Gaza sulla base della proposta del presidente Trump e in conformità ai principi stabiliti dal gabinetto di sicurezza», ha dichiarato il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar, come riportato da fonti diplomatiche. Secondo quanto riferito da Channel 12, la bozza americana, frutto di una complessa mediazione, prevede il rilascio di tutti gli ostaggi e una clausola specifica sul ritiro dell'esercito israeliano dalla Striscia. Il disimpegno completo, incluse le aree perimetrali, avverrà solo se il futuro governo di Gaza sarà in grado di garantire le condizioni di sicurezza necessarie. A Gerusalemme, questo punto viene considerato positivo, poiché non comporta un ritiro automatico e senza garanzie. Una prudenza che, dopo la distruzione inflitta in quelle terre, molti giudicherebbero insufficiente o, addirittura, un pretesto per mantenere il controllo. Hamas, come è successo in precedenza, non approva e definisce la clausola una «trappola», interpretandola come un modo per consentire a Israele di mantenere un diritto di veto sui tempi del ritiro e sulla definizione del nuovo assetto politico nella Striscia. Questa negazione al trattato ha provocato una rabbia grandissima nel mio spirito, allora non volete la pace: perché continuare? Perché vedere il popolo morire? Perché continuare a nascondersi e far rimettere la vita ad altri? Per l'ideologia o per il potere? Per denaro è impossibile, in medio oriente non ce n'è più, se lo sono preso tutto gli americani e i cinesi. Durante i negoziati, la guerra è comunque continuata senza sosta. Oggi, l’IDF ha ordinato l’evacuazione di tutta Gaza City. «L’esercito è determinato a sconfiggere Hamas e opererà nella città di Gaza con grande determinazione. Per la vostra sicurezza, evacuate immediatamente utilizzando la strada Al-Rashid verso la zona umanitaria di Al-Mawasi», ha scritto su X il portavoce militare in arabo. Si tratta del primo ordine di sgombero esteso all’intera città, dove secondo le stime delle Nazioni Unite si trovano ancora circa 900.000 persone. Per facilitare l’evacuazione, l’IDF ha diffuso un numero telefonico dedicato alle segnalazioni di blocchi o impedimenti da parte di Hamas. Tuttavia, il trasferimento verso sud non è alla portata di tutti: in alcuni casi vengono richieste somme fino a mille dollari per un passaggio in auto o furgone, un costo insostenibile per la maggior parte delle famiglie, già stremate da mesi di conflitto. Nelle ultime 72 ore, secondo i dati diffusi dall’agenzia di Protezione Civile della Striscia, almeno cinque edifici alti tra i 10 e i 15 piani sono stati rasi al suolo dai bombardamenti israeliani. Gli immobili ospitavano oltre 4.000 persone in 209 appartamenti e si trovavano accanto a circa 350 tende in cui vivevano altre 3.500 persone. Le cifre riportate da fonti palestinesi, tuttavia, risultano inferiori a quelle diffuse nei giorni scorsi dal primo ministro Benyamin Netanyahu e dal ministro della Difesa Israel Katz. L’IDF giustifica le operazioni spiegando che tali palazzi sarebbero stati utilizzati da Hamas come basi operative e postazioni di sorveglianza, e sostiene che i civili fossero stati avvertiti prima degli attacchi tramite volantini e messaggi.

Autore
Alessandro Mainolfi