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Dovresti sederti prima di leggere. Dovresti stenderti come chi, spossato dal compimento dei molti lavori della giornata e finalmente libero da ogni peso sulla coscienza, si lascia cadere, con l’unico fardello rimasto, quello del corpo, sulla poltrona che predilige tra quelle di casa: la più originaria, la più intelligente ed esperta nel proporgli, anche oggi, angoli morbidi inesplorati e posizioni alternative su cui distendersi. Rilassa gli occhi, che languono per la stanchezza, e anche il rigido collo; sospira su tutti quegli anni che anche oggi ha portato sulle spalle. Finalmente! Ora si può riposare e leggere un libro, o guardare una pellicola, oppure conversare dolcemente con chi si ama. Insomma, il lettore dovrebbe rilassarsi e sedersi esattamente com’ero io in quella temperata sera di maggio, con un dolce alito che entrava dalla finestra, quando riposavo sul mio giallo e sgualcito sofà, che sta sopra e dirimpetto al giardino dall’erba flessuosa di casa mia, da cui si scorge una parte del nostro cielo. Cercavo di rinvigorire lo spirito in una conversazione, ma, proprio mentre chiedevo a Maddalena se fosse vero che gli ignoranti di cuore stanno nella società come l’acqua in un recipiente, e cioè prendono la forma e i difetti di ciò che li contiene, caddi sbalordito dalla poltrona, notando che, accanto alla Luna, ve n’era un’altra. Non capita mai di guardare in alto: chissà da quanto tempo era lì. Esattamente, un’altra Luna! Lo giurerei su Milisso! Se ne intravedeva solo uno spicchio, come un oggetto che, in una stanza molto buia, stando vicino al debole riverbero di una candela, lascia intravedere soltanto una piccola parte del proprio corpo. Caddi a terra sentendomi malato, in un incubo terribile, come perso in un sogno lucido; piangendo, solo e forte, mi strofinai gli occhi dieci volte, ma per dieci volte, riaprendoli, la trovai ancora lì, immobile e scarsamente emersa dall’oscurità, come la piccola punta di un grigio iceberg in mezzo a un oceano nero. Non spariva, né era frutto della mia immaginazione. L’altra Luna rimaneva lì, ed io, in un tempo non troppo lungo, mi calmai, quasi vergognandomi di come mi ero comportato poco prima: d’essermi gettato a terra a piangere per qualcosa che, adesso, mi pareva così semplice. C’è un’altra Luna in cielo, e allora? Qualcuno m'illumino. Capii che, in fondo, ogni evento, abbia esso caratteristiche che riteniamo possibili o impossibili, reali o fantastiche, comuni o straordinarie, richiede un tempo, più o meno lungo, prima d’essere considerato reale da chi lo osserva; e che tale tempo varia secondo la sensibilità di ciascuno. Io sono un sognatore, e all’altra Luna credetti quasi subito. Per comprendere meglio questo concetto, si pensi a un esempio molto semplice: l’Amore. L’Amore, sebbene sia vasto e onnipresente nella vita di ciascuno - tanto da essere un’ipostasi dell’esistenza umana, poiché tutti l’hanno sperimentato almeno una volta, l’hanno visto nei quadri, nei film o letto nei romanzi - richiede a moltissimi anni prima d’essere considerato reale. Invece, alcune cose più rare, come i virus, gli attentati o, nel caso specifico, un’altra Luna, vengono subito dichiarate vere dal momento che qualcuno o qualcosa ce le mostra davanti. Riprendendo il filo, quell’altra Luna era scura come ossidiana; si distingueva chiaramente dal bianco familiare, cosparso di macchie argentee, della nostra Luna. Stando lì ad osservarle, con un’emozione taumaturgica che mi cresceva nel cuore e si mischiava a una rabbia inattesa, che altro non era se non paura, stupore e un poco di stizza, non riuscii a fare a meno d’infilarmi i jeans e, una volta uscito di casa, iniziare a interrogare i due astri dandogli del tu, come una volta fece quel poeta russo col Sole: «Ohhh! Te, Luna solita! Bighellona! Perché non vieni qua e mi spieghi che diamine è quella lì che ti sta accanto!? Sì, quella lì! Ed avvertire, no!? Ti sei forse scordata le buone maniere? Vuoi che a qualcuno venga un infarto a vederla!?» Rispose la Luna solita: «Calma, poeta, calma! Da tempo lunghissimo tu sei l’uomo a cui ribolle il sangue troppo in fretta per le novità. Rischi la violenza! Non fai progressi, perché nemmeno t’accorgi d’essere così bestiale! Stai buonino e ragiona!» Aggiunse l’altra Luna: «Sciocco filosofo! E ti credi tanto scaltro? Credi d’avere tante virtù? Non credo proprio! Altrimenti avresti riconosciuto il senso di tutto questo, la ragione per cui son giunta. È così semplice! Ricordati che la Luna ce l’hai sempre, tutte le notti, eppure non la guardi! Ed ora vattene!» Tornai stordito sul sofà. Ragionai tutta la notte su ciò che l’altra Luna m’aveva detto, e associai a quell’esperienza un ricordo lontano: la prima volta che pensai alla Morte. Altro non provai, quel giorno, se non lo stupore e la meraviglia di essere in vita, di rivedere la Luna come se fosse la prima volta. Infine, dell’origine dell’altra Luna non m’importò più granché: sapevo che, l’indomani, qualche scienziato avrebbe spiegato con quale tecnica o ragione fosse giunta vicino a noi. A poco a poco sparirono entrambe le Lune, insieme alla notte e a quelLo spavento notturno. Sparirono come l’oggetto prima citato nel buio della stanza, quando la candela si spegne; come una vita svanirono in moltissimo tempo, eppure in un solo istante.
Al lettore volevo dire che questo piccolo testo funge da appello a ricordarci quanto l’essere in vita, oltre che un dono, sia una possibilità: la possibilità di stupirsi, di guardare le cose con meraviglia e (a differenza del poeta) di non vivere le novità e le differenze con rabbia, ma solo con stupore e meraviglia. Le parole e gli avvenimenti che ho scelto di raccontarti sulla Morte non sono stati scritti per piegare quel flessuoso cuore che ti batte in petto, né per romperti la testa con ragionamenti ostici, ma per offrirti un breve racconto dal senso semplice. Lo raccomando agli amici di rileggerlo una volta giunta la sera, per riuscire a calarsi nella vicenda: in assenza d’oscurità, potrà bastare una stanza buia.
Autore
Alessandro Mainolfi