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Colui che il mondo conobbe come Marc Chagall nacque in realtà come Moishe Segal, nel luglio del 1887, in una famiglia ebraica molto numerosa e modesta che abitava a Lëzna, lungo le rive del fiume Mošna, nella regione di Vitebsk. Era il maggiore di nove fratelli.
Il padre, Khatskl (Zakhar) Chagall, mercante di aringhe, fu uno di quei cinque milioni di ebrei che, nella Bielorussia zarista, furono confinati in specifiche regioni dell’Impero, dando vita a quelli che, nell’Europa orientale, venivano chiamati shtetl (insediamenti con un’elevata percentuale di popolazione ebraica). L’artista raccontò che, il giorno della sua nascita, la città subì un attacco da parte dei cosacchi, dal quale fortunatamente la sua famiglia riuscì a salvarsi.
Conclusa la prima educazione nelle scuole ebraiche, riuscì a convincere la famiglia a lasciarlo intraprendere la carriera artistica, nonostante questa professione fosse proibita dalla Torah, il testo sacro ebraico. Iniziò a lavorare molto giovane come ritoccatore per due fotografi. Poco dopo riuscì ad accedere alla bottega dell’unico pittore presente nella sua città, Yehuda (Yudl) Pen, ma dopo pochi mesi la lasciò per trasferirsi in quella città che, a distanza di poco tempo, sarebbe stata rinominata Pietrogrado.
S’iscrisse all’Accademia di Belle Arti (1906-1910), vivendo anni molto duri nella miseria del ghetto ebraico, dove abitò fino al 1910, dividendo stanza e letto con un compagno. Per mantenersi gli studi lavorava come artigiano, dipingendo insegne di negozi, oltre a realizzare le prime opere originali. Fu un periodo difficile per la povertà, ma anche perché gli ebrei potevano vivere a San Pietroburgo solo con un permesso apposito e sottoposti a molte restrizioni e leggi razziali. Infatti venne imprigionato per essere rimasto fuori dal ghetto oltre l’orario consentito.
Di tanto in tanto tornava nel paese natale, presso Vitebsk, e proprio in uno di questi ritorni conobbe Bella, la donna che avrebbe sposato e che sarebbe diventata la musa di tutta la sua vita.

Una volta divenuto noto come artista, nel 1910 Chagall lasciò San Pietroburgo. Dopo quattro giorni di viaggio, all’orizzonte spuntò la cuspide della Torre Eiffel: era finalmente arrivato a Parigi. Da qui la sua cultura si espanse rapidamente in tutta Europa: entrò in contatto con gli artisti più innovativi dell’epoca, scoprì le avanguardie e assimilò la libertà della capitale.
Fu davanti a un suo quadro che Guillaume Apollinaire coniò il termine surnaturel (soprannaturale) e gli dedicò la poesia Rodsoge au peintre Chagall:
Au peintre Chagall
Ton visage écarlate Ton biplan transformable en hydroplan Tes cheveux en flammes Tes yeux où nagent les poissons du ciel Et ces fiancés suspendus à des étoiles Qui s’aiment dans un bouquet de lumière…
Sebbene immerso in quell’ambiente febbrile, Chagall non aderì mai a un movimento preciso: seguì sempre la propria voce interiore.
Fece nuovamente ritorno in Russia nel 1914, dopo una tappa a Berlino, dove organizzò la sua prima mostra personale grazie al sostegno del mercante d’arte Herwarth Walden, ottenendo un notevole successo. Rientrato in patria, fu costretto a rimanervi fino al 1923 a causa dello scoppio della Prima guerra mondiale.
In quegli anni sposò Bella Rosenfeld, giovane donna che divenne la protagonista di molti suoi dipinti, e con lei ebbe una figlia.

Durante la Rivoluzione russa del 1917 fu impiegato presso il Ministero della Guerra, incarico che gli permise di evitare l’arruolamento al fronte. Questa esperienza lo mise in contatto con importanti poeti e artisti, tra cui Vladimir Majakovskij, e gli offrì l’opportunità di collaborare come illustratore per libri e giornali, oltre a partecipare a numerose mostre collettive. Venne inoltre nominato Commissario dell’Arte per la regione di Vitebsk dal ministro sovietico della Cultura. In tale ruolo fondò un’accademia d’arte e un museo d’arte moderna. Tuttavia, i contrasti con le autorità sovietiche non tardarono a emergere: Chagall si oppose con forza all’imposizione del suprematismo russo come stile ufficiale, scontrandosi più volte con Kazimir Malevič, che insegnava nella sua stessa accademia.
Nel 1920, al ritorno da un soggiorno nella sua città natale, Chagall trovò la propria accademia trasformata in un istituto suprematista. Deluso, si dimise e si trasferì con la famiglia a Mosca, dove ottenne un incarico come insegnante d’arte presso un orfanotrofio per bambini di guerra. Non soddisfatto del nuovo ruolo, riuscì poco dopo, grazie a un contatto, a lasciare nuovamente la Russia per tornare a Parigi nel 1923.
Nel 1937 ottenne la cittadinanza francese, ma pochi anni più tardi dovette abbandonare Parigi a causa della Seconda guerra mondiale e della persecuzione contro gli ebrei. Si rifugiò con la famiglia a Marsiglia, poi fuggì in Spagna e in Portogallo, fino alla partenza per gli Stati Uniti nel giugno del 1941. A New York entrò in contatto con numerosi artisti europei esuli e, grazie al gallerista Pierre Matisse, figlio del celebre Henri Matisse, partecipò a diverse mostre collettive. Tuttavia si rifiutò di imparare l’inglese, continuando a esprimersi soltanto in francese e in yiddish, la lingua del popolo ebraico.
Nel 1944 la morte di Bella lo colpì profondamente, al punto da spingerlo a interrompere la sua attività artistica per diversi mesi. Solo grazie al sostegno della figlia Ida riuscì a riprendersi; fu lei, inoltre, a presentargli una donna con cui Chagall condivise sette anni della sua vita e dalla quale ebbe un figlio maschio.
Terminato il conflitto, nel 1948 tornò a Parigi per la terza volta e successivamente si stabilì definitivamente in Provenza. In quello stesso anno ricevette importanti riconoscimenti: una grande mostra al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris e il Gran Premio per l’incisione alla Biennale di Venezia.
Nel 1973 fu invitato dal governo sovietico a tornare in Russia, dove venne accolto trionfalmente a Mosca e a Leningrado, ma si rifiutò di recarsi nella sua città natale, Vitebsk. Marc Chagall morì a 97 anni a Saint-Paul-de-Vence, in Provenza, il 28 marzo 1985.
È importante conoscere la sua vita, poiché è attraverso essa che possiamo suddividere i suoi periodi creativi come capitoli di un romanzo: Parigi (1910-1914), gli anni dell’esplorazione e della scoperta; Russia (1914-1922), dove la guerra lo costrinse a restare e dove rifiutò gli ideali rivoluzionari; Berlino (1922-1923), tappa di passaggio verso il ritorno a Parigi (1923-1941), che lo consacrò a livello internazionale; Stati Uniti (1941-1948), rifugio durante la Seconda guerra mondiale; e infine il ritorno in Francia, a Vence, accanto a Picasso e Matisse, dove realizzò le sue grandi opere monumentali.
È proprio da questa consapevolezza di non adesione a uno stile preciso che si sviluppa la mostra a cui ho partecipato liberamente e di cui vi voglio parlare in questo pezzo, si trova a Palazzo dei Diamanti di Ferrara, Chagall. Testimone del suo tempo, ed offre una panoramica completa e maestosa della produzione del Nostro. Dai dipinti lirici e musicali agli imponenti affreschi del teatro di Parigi, dalle illustrazioni delle favole alle opere ad acquerello, tutto è restituito in questa mostra, eppure tutto sfugge: vedendo l’intero Chagall, emerge chiaramente come egli sia stato un artista alla costante ricerca di un nuovo sé, di un mondo diverso, sempre diviso tra le innumerevoli visioni della propria persona e della realtà che lo circondava. Un bagno di colore nel relativismo novecentesco, dove ogni norma classica, ogni tecnica, ogni figura vengono rivoluzionate in maniera straordinaria, visionaria e onirica.
Non a caso, l’opera protagonista di questa mostra è La sposa dai due volti, che racchiude molto dello stile del Maestro: lo sdoppiamento dei corpi, il volo, il colore.
Ferrara ha saputo cogliere in Chagall un interlocutore contemporaneo che, nella confusione filosofica del Novecento e nell’orrore della guerra, raffigura nei suoi quadri un simbolismo potente, capace di guidarci verso il sogno e la speranza.
Il percorso a Ferrara si divide in dieci sezioni:
Eterna memoria. Rivela come le radici russe di Chagall rimangano vive e pulsanti in tutta la sua opera. Nato in una comunità ebraica rurale e tradizionale, l’artista trasforma gli elementi di quel mondo in un linguaggio visivo che lo accompagnerà per sempre. “Il paese che ho nell’anima” -così Chagall definiva Vitebsk, sottolineando un legame che supera la semplice nostalgia. Anche dopo il distacco dalla Russia nel 1922 ribadiva: “Non mi sono mai separato dalla mia terra, la mia arte non può vivere senza di essa.”
Le Favole di La Fontaine. Racconta della commissione che consacrò ufficialmente l’artista russo sulla scena parigina, segnando la sua piena affermazione nel panorama dell’arte europea.
Quando la Storia Biblica incontra la cronaca contemporanea siamo nel 1948, al ritorno dall’esilio americano. Con opere come Exodus o La nave dell’Esodo, Chagall intreccia racconto sacro e realtà storica, sovrapponendo l’Esodo dall’Egitto alla fuga degli ebrei europei dalle persecuzioni naziste.
Parigi dopo l’esilio. Mostra come, per Chagall, la capitale francese rappresenti una città interiore: spazio della libertà, della scoperta e del ritorno.
Volti e riflessi che indaga la rappresentazione del volto umano, mai univoco in Chagall: esso si sdoppia, si moltiplica, diventa specchio di un’identità complessa e mutevole.
In dialogo con la materia mette in luce il ruolo del supporto artistico come parte integrante del racconto visivo.
Mediterraneo. Racconta il trasferimento di Chagall nel Sud della Francia, dove luce e colore danno vita a un nuovo vocabolario visivo. (con la terza mi sono commosso)
Un linguaggio luminoso. Dedicata alle sue vetrate, in cui Chagall raggiunge una sintesi radicale tra colore e forma narrativa.
Il giardino che non esiste che celebra la natura come spazio poetico in cui la realtà si dissolve nel sogno.
La Pace, infine, si concentra sull’omonimo dipinto del 1949, in cui una colomba bianca racchiude il messaggio di speranza dell’artista dopo gli orrori della guerra.
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