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Esistono diverse versioni cinematografiche di "Frankenstein", romanzo caposaldo della letteratura gotica scritto da Mary Shelley, ma mai nessuna a mio avviso è stata così forte, chiara e sentita come la versione del regista Guillermo del Toro, uscita da poco su Netflix. Descritto da lui stesso come il "progetto di tutta una vita", del Toro adatta in maniera molto fedele, seppur a tratti con un ritmo un po' lento, gli eventi narrati nel libro apportandovi la sua visione personale e intima della storia. Attraverso tutto il film, del Toro cerca di mettere molta enfasi nel rapporto tra il dott. Victor Frankenstein e la sua Creatura, paragonabile in maniera grottesca a quello tra un padre e un figlio. Il bisogno di Victor di creare la vita nasce difatti da un confronto diretto con suo padre, chirurgo tanto abile con il bisturi quanto freddo e violento con il figlio, che non riesce a salvare la vita dell'unica persona che abbia mai rappresentato un raggio di luce e amore per Victor, sua madre; in seguito a questa grave perdita Victor giura di diventare un medico molto più esperto e famoso di suo padre per riuscire finalmente a sconfiggere la tanto inevitabile Morte che gli ha portato via la madre. Dopo anni di studi e pratica Victor scopre finalmente il segreto per dare la vita a una Creatura composta da frammenti di corpi, ma rimane deluso quando questa non soddisfa le sue aspettative dimostrandosi un essere puro e infantile che si è appena affacciato alla vita e che deve essere accompagnato nel suo percorso di scoperta del mondo. Imprigionandolo nel suo castello e istruendolo con i suoi metodi violenti, Victor dimostra con la Creatura la stessa freddezza e crudeltà alle quali era stato sottoposto dal padre, diventando così una sua immagine riflessa, se non proprio uguale molto simile. Come riflesso invece del rapporto di Victor con sua madre, la Creatura riceve però attenzione e amore da parte di Elizabeth, futura cognata di Victor nel cui sguardo abita la libertà di un'anima che rifiuta la gabbia. Riuscito a scappare dal castello e dall'ombra tirannica del suo creatore, la Creatura entra in contatto con un mondo che lo giudica e lo teme come mostro violento e omicida, rimanendo solo con il desiderio di amore e appartenenza. L'unica persona oltre a Elizabeth che impara a conoscerlo andando oltre il suo aspetto fisico è un anziano cieco che, nonostante non possa vedere la Creatura, lo accoglie in casa sua, gli insegna a leggere e a parlare fluentemente e lo chiama amico. Il loro rapporto evidenzia come talvolta solo in pochi riescono a vedere la vera bellezza nell'animo di chi viene sempre giudicato solo in base alle apparenze; il loro legame tenta pure di spiegare che la diversità non è qualcosa da evitare o condannare ma qualcosa da accogliere come un dono che ci può arricchire dentro e che ci può far cambiare percezione sulle persone che ci stanno attorno. Inoltre, nonostante il suo aspetto grottesco e con le sue manifestazioni sia di bontà che di paura, proprio la Creatura risulta il più umano tra tutti in netta contrapposizione all'arrogante e insensibile Victor, il quale racchiude in sé l'ambizione superba e ossessiva degli uomini (o mostri?) di superare i limiti imposti da Dio per prendere il Suo posto e raggiungere scopi fondamentalmente egoistici. Ad un certo punto la Creatura verrà a perseguitare Victor fino in capo al mondo a seguito di un evento tragico che metterà in luce la vera natura pericolosa e mostruosa di Victor ma alla fine, trovatosi faccia a faccia con la Creatura, lo scienziato ammette i suoi sbagli e si riappacifica con il suo apparente figlio, il quale conosce per la prima volta il significato del perdono concedendolo alla persona che più ha odiato ma a cui fondamentalmente deve la vita. Questa sincera riconciliazione chiude così quel cerchio di odio e conflitto tra padre e figlio che trascinava con sé la famiglia Frankenstein.