2
Stabat Mater è il titolo del monologo teatrale scritto da Antonio Tarantino e interpretato magistralmente da Fabrizia Sacchi, con la regia teatrale firmata, per la prima volta, da Luca Guadagnino. Un titolo da cui si evince tutta la sofferenza, la rabbia repressa e l’impotenza della protagonista Maria Croce, una donna sola, emigrata del sud a Torino portando con sé il figlio e tutti i suoi problemi.
Stabat Mater è infatti una preghiera di origine medievale, che fa riferimento alla permanenza di Maria di Nazareth ai piedi della croce del Cristo. Una figura che è diventata topos letterario, artistico e sociale.
Infatti, la figura di Maria che piangendo sta ai piedi del figlio morente è parte fondante dell’iconografia e della stessa religione cristiana, ma è anche –in termini laici– simbolo della maternità che vive la innaturale situazione di vedere un figlio morire dinanzi ai propri occhi. Un dolore materno ed esistenziale così profondo che emerge e travolge con prepotenza gli spettatori attraverso il monologo scritto da Antonio Tarantino, continuo, feroce, lirico e commovente, in cui la protagonista «vomita sul pubblico la sua disperazione» e la sua stanchezza con amaro sarcasmo; tra una sigaretta e l’altra.. E’ proprio quel continuo fumare a diventare il simbolo della preoccupazione costante di Maria per la propria situazione e per le brutte vicende in cui il figlio si trova implicato.
Il monologo procede come una cascata fragorosa di parole, pronunciate dai alcuni personaggi in dialetti diversi -principalmente il napoletano, della protagonista- che attraverso malapropismi linguistici, commistioni, proverbi e frasette ripetute, spospensioni e grida, sottolineano la capacità tecnica dell’attrice di dare voce a una moltitudine diversissima di figure.
Come ha voluto sottolineare l’attrice dello spettacolo Fabrizia Sacchi nell’ intervista che ha concesso alla redazione di Punto e Virgola dopo lo spettacolo, tra i vari dialetti, il napoletano è quello con cui è cresciuta, ciò che le è rimasto di più caro della sua terra, della sua casa; poiché la sua lingua è il suo sangue e «le sue parole napoletane sono parole dette con l’anima». il personaggio di Maria Croce narra così la sua delicata e complessa storia, dall’arrivo a Torino, all’amore per Giuvà fino alle sofferenze amare per le azioni del figlio.
Una storia di dolore femminile e materno, che si conosce piano piano, sigaretta dopo sigaretta; un’intima sofferenza che si snoda tra la vicenda personale della protagonista e un’aspra critica, mai esplicitamente dichiarata, alla società e alla corruzione politica L’allestimento scenico è minimo, ma estremamente funzionale a tenere alta l’attenzione sulle parole e la gestualità di Maria: una sedia, una scala, un vecchio telefono, semplici oggetti che trascinano freneticamente gli spettatori, assieme alla protagonista, da una situazione all’altra, lasciandoli col fiato sospeso e un nodo alla gola fino alla fine dello spettacolo.
Autore
Erica Zambrelli
Potrebbero interessarti:
