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È nel 2011 con il trattato internazionale denominato “Convenzione di Istanbul” che il Consiglio d’Europa definisce la violenza contro le donne come una violazione dei diritti umani. All’art.3 del documento si legge: “con l’espressione ‘violenza nei confronti delle donne’ si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata.”
In Italia questa convenzione è stata approvata nel 2013 ed è entrata in vigore nell’agosto del 2014. Sono passati undici anni, ma questa violazione continua ad essere perpetuata e non accenna a diminuire.
L’ISTAT ha pubblicato il 21 novembre 2025 i primi risultati de “La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia”. Attraverso un campione di donne italiane (17.500) di età compresa tra i 16 e i 75 anni i principali risultati sono i seguenti: sono circa 6 milioni e 400 mila (31.9%) le donne che hanno subito almeno una violenza fisica o sessuale a partire dai 16 anni d’età: circa 3 milioni e 764 mila (18.8%) ha subito violenze fisiche e il 23.4% violenze sessuali. I dati sottolineano che il 26.5% delle donne ha subito violenza fisica o sessuale da parenti, amici, colleghi, conoscenti o sconosciuti. Nell’ambito di coppia, sono 12,6% le donne vittime di violenza fisica o sessuale. Inoltre, si specifica che dai partner si subisce anche violenza psicologica (17.6%) ed economica (6.6%). I partner, attuali ed ex sono infatti responsabili della quota più elevata di tutte le forme di violenza fisica rilevate, con quote superiori al 50% e di alcuni tipi di violenza sessuale: stupro, rapporti sessuali non desiderati, ma subiti per paura delle conseguenze. Nonostante la ricerca evidenzi una maggiore consapevolezza da parte delle donne dei rischi e una maggiore richiesta di aiuto presso i centri antiviolenza e i servizi specializzati, non aumenta la propensione alla denuncia.
Confrontando i dati del 2025 con quelli del 2014, emerge un aumento significativo delle violenze subite dalle giovanissime (donne di 16-24 anni), che passano dal 28,4% al 37,6%. L’incremento riguarda, in particolare, le violenze di natura sessuale che crescono dal 17.7% al 30.8%. L’aumento risulta più marcato per le violenze perpetrate dagli ex partner che passano dal 5.7% nel 2014 al 12.5% nel 2025 e per quelle commesse da uomini non partner, che salgono dal 15.3% al 28.6%. Nella maggior parte dei casi, a seguito delle ripetute violenze fisiche subite dai partner (attuali o precedenti) più della metà delle vittime soffre di perdita di fiducia e autostima. Tra le conseguenze sono molto frequenti ansia, fobia e attacchi di panico; disperazione e sensazione d’impotenza, disturbi del sonno e dell’alimentazione, depressione, nonché difficoltà a concentrarsi e perdita di memoria, dolori ricorrenti nel corpo, autolesionismo o idee di suicidio e infine difficoltà nel gestire i figli. Il 35.4% delle vittime di violenza nella coppia hanno figli, per lo più minorenni ed è ancora elevata la quota di figli che assistono e subiscono violenza. A conseguenza delle violenze viste o subite le madri hanno notato cambiamenti nei propri figli quali: il 40% segnala ansie e paure eccessive, il 28% nota maggiore irrequietezza, il 18,6% difficoltà ad addormentarsi o frequenti risvegli notturni, il 12,5% comportamenti aggressivi (a casa, a scuola, ecc.) e circa l’11% riporta sia disturbi dell’alimentazione, sia problemi scolastici; infine, il 6,2% delle donne riferisce di enuresi notturna dei figli. Le conseguenze di una violenza fisica, psicologica, economica, sessuale nell’ambito di coppia non riguardano quindi solo la donna, ma anche chi con lei è vittima della violenza o ne è testimone; in molti casi questi sono i figli.
La forma di violenza più estrema che ancora si perpetua contro le donne è il femminicidio, termine con il quale s’indicano tutte le forme di violenza contro la donna in quanto tale, praticate attraverso maltrattamenti, abusi sessuali, violenza fisica o psicologica, che possono culminare nell’omicidio. È un tipo di violenza che affonda le sue radici nel maschilismo e in una cultura patriarcale di discriminazione e sottomissione femminile.
Stando ai dati ISTAT del 2023, in Italia i femminicidi rappresentano l’82% degli omicidi di genere, circa 96 femminicidi su 117 omicidi di donne. Parliamo di 1 femminicidio ogni 3 giorni e mezzo. Anche per il 2024 le cifre registrate dall’Osservatorio Nazionale femminicidio lesbicidi e trans*cidi del movimento femminista e transfemminista “Non una di meno” sono simili.
Solo nell’ottobre del 2025 si è introdotto nel Codice penale italiano il reato di femminicidio, punito con l’ergastolo. La nuova legge si propone di riconoscere la peculiarità di questo tipo di violenza, configurando un reato autonomo e un sistema punitivo più severo. La riforma non si limita all’aspetto punitivo, ma sono previste misure di sostegno per le vittime e gli orfani, nonché programmi di formazione e prevenzione della violenza di genere, destinati a scuole, operatori sanitari, forze dell’ordine e magistrati. Attraverso questa riforma di legge si è cercato di creare un approccio integrato: repressione più severa, ma anche educazione e cultura della prevenzione. La vera efficacia della riforma, relativamente al contesto normativo e giudiziario, non dipenderà solo dalla durezza delle pene, ma dalla capacità del sistema giudiziario stesso di garantire tempi rapidi, risorse adeguate, formazione degli operatori e sostegno concreto alle vittime.
Nonostante sia una svolta di rilievo, non è sufficiente. Oltre a ciò che la giustizia può fare, è necessario riflettere collettivamente non solo sulla questione dei femminicidi, ma soprattutto sulla loro narrazione, sul modo in cui vengono comunicati dalla stampa nazionale. Infatti, quello che leggiamo e ascoltiamo oggi sui media è ancora il frutto di una visione non equilibrata, in cui alla mera comunicazione dei fatti di cronaca si sovrappongono altre questioni: una certa visione della società e della donna e la necessità, a volte, di incrementare le visualizzazioni sulla propria pagina. Spesso, la narrazione dei femminicidi sui quotidiani italiani è trattata al singolare maschile: lui è la Bestia, è ossessionato, annebbiato dal sentimento, geloso. Una narrazione che sembra rappresentare un’eccezione, una storia anomala, di un mostro, quando in realtà non si tratta di un mostro, ma di un uomo, di un assassino.
Il rifiuto di riconoscere la causa del problema nel sistema patriarcale porta la stampa a favorire una narrazione spettacolarizzante di queste tragedie, a limitare l’informazione e la cronaca al racconto emotivo e ai dettagli più morbosi e macabri. È necessario e compito di tutti, non solo donne, non solo uomini, non solo giornalisti, soffermarsi a riflettere su quanto i mezzi di comunicazione di massa ci propongono, come ci raccontano la violenza di genere, per valutare, ognuno con il proprio cervello, se è davvero ciò che vogliamo, anzi, che ci serve sentire, o se piano piano possiamo modificare il mercato stesso delle informazioni chiedendo una comunicazione più sobria. Evitando di banalizzare la parola stessa “femminicidio” perché scegliere le parole giuste è già di per sé un atto politico e un atto di resistenza.
Per concludere, se ogni anno centinaia di donne vengono uccise in quanto donne, è necessaria un’opera di educazione e di rieducazione culturale profonda che riguardi non solo la sensibilizzazione alla violenza, al consenso, alla sessualità e all’emotività di bambini, bambine, ragazzi, ragazze, donne e uomini, ma anche la consapevolezza che l’amore vero, l’amore sano, in una relazione, non è quello che stringe e che lascia lividi e ferite sulla pelle; non è quello che nutre timori o alimenta ansie, che incatena la libertà e non permette di realizzarsi e di essere autenticamente ciò che si è. L’amore non dovrebbe mai portare alle tenebre scure della morte, ma illuminare la vita di luce.
Autore
Erica Zambrelli
