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La gente dello Sperone cammina per le strade con la testa china, schiva con lo sguardo gli occhi degli altri. La fama del rione palermitano lo precede: chi lo vive ogni giorno ha imparato senza sapersi opporre a lasciarsi raccontare dalle penne dei giornalisti, dai colpi di pistola, dai silenzi omertosi e dai fiumi di droga che ogni anno riempiono le tasche della mafia con un milione e mezzo di euro. Chi ci nasce ha l’orgoglio della periferia, il rancore dell’abbandono, la fame di rivalsa e la diffidenza di chi è stato tradito e lasciato indietro. Perché lo Sperone è così: o ci nasci, o lo scegli per sempre.
Antonella Di Bartolo, nel 2013, per il primo sopralluogo dell’istituto Sperone-Pertini nelle vesti di dirigente scolastica, si vestì “come la preside perfetta”: tubino scuro, elegante, scarpa col tacco. Dopo tredici anni, mi parla del senso di inadeguatezza e del battesimo di vita ricevuto dal quartiere che oggi, in qualche modo, è anche casa sua. «Le strutture parlano e raccontano storie. Quella della nostra scuola era una storia d’abbandono, di rabbia, di sfiducia. Forse, una storia non la era nemmeno: eravamo invisibili». Ai bagni mancano le porte, alle finestre le imposte. I muri che dividono le aule sono un insieme di buchi e di crepe. A terra, vetri e cocci rotti. Prima ancora, nell’ufficio scolastico regionale, un funzionario all’atto della firma del contratto le aveva porso le sue ironiche e testuali “condoglianze”: il destino di quella scuola era l’abbattimento. Del resto, in quell’istituto abbandonato dallo Stato, gli studenti non c’erano. Nel 2013, anno d’insediamento di Di Bartolo, la dispersione scolastica era al 27,3%: più di un alunno su quattro, regolarmente, non si presentava in classe.
Anche se alla sua prima esperienza come preside, Antonella tutto questo lo sa. E quello che non sa, lo imparerà sulla sua pelle. Perché quel quartiere, nell’area sud-orientale del capoluogo siciliano, lei lo ha scelto per vocazione, intuito, ammirazione. «Mi ci ha condotto la mia storia, il fatto di essere stata ventenne a Palermo in quel 1992 devastato dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio. E anche il 15 settembre 1993, giorno del martirio di padre Puglisi a Brancaccio» scrive nel suo libro “Domani c’è scuola” (Mondadori, 2025). L’Istituto comprensivo Sperone-Pertini si trovava proprio lì, dove a Pino Puglisi, sacerdote e martire che combatté la mafia a partire dalla scuola, Cosa Nostra aveva strappato la vita prima che Di Bartolo potesse conoscerlo di persona. «Andavo finalmente a riprendermi quell’incontro mancato» mi disse la prima volta che ci parlammo.
Comincia così la storia della Preside Coraggio: «una storia che non parla di successo, ma di persone e di realtà. Di cose che non andavano e che non vanno, ma per cui ogni giorno della nostra vita scegliamo di esserci insieme» dice Di Bartolo, che quel titolo di “Preside Coraggio” se lo merita tutto.
Antonella nel 2013 si pone come primo obiettivo il contrasto alla dispersione, perché come dice lei «la scuola, senza studenti, perde il diritto di esserci». Comincia dai genitori, ingaggia un’azione di convincimento porta a porta, in cartoleria, dal panettiere, bussando ai portoni delle case popolari, trovandoli a volte avversi allo Stato, ma ancor più spesso semplicemente ignari dei diritti dei loro figli. Lo fa lei stessa, senza delegare: per la prima volta, qualcuno non abdica al proprio ruolo e agisce capillarmente per ricucire il rapporto con le famiglie dei quartieri Sperone e Brancaccio. Per la prima volta, qualcuno li vede. Il rione risponde: la scuola nel tempo si ripopola, i bambini e i ragazzi tornano in classe, i corridoi dell’istituto comprensivo si colorano di voci, di parole, di idee. L’emergenza oggi è rientrata, perchè Di Bartolo, insieme agli insegnanti e ai collaboratori che non dimentica mai di menzionare, è riuscita a riportarli tra i banchi tutti, dal primo all’ultimo. Lo ha fatto a partire da una scommessa, da una visione condivisa: rifondare la scuola secondaria di primo grado a partire da quella dell’infanzia.
«I bambini non sono soltanto il nostro futuro. Sono il nostro presente. Bisogna agire qui e ora e ascoltarli e prestare loro attenzione e dare peso e valore alle loro idee, che molto spesso sanno illuminarci e tradursi in realtà e spazi concreti in cui la consapevolezza si trasforma in autodeterminazione. Abbiamo il dovere di accompagnare la loro crescita. Possiamo farlo soltanto posizionandoci, senza lasciarci andare alla rassegnazione. E’ questo il pericolo più grande: rinunciare alla lotta per i nostri diritti» dice Di Bartolo. Poi riprende le parole di Peppino Impastato: “Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante nel davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione, ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”.
Antonella di tutto questo, ne ha fatto una missione: «La nostra è una battaglia alla ricerca della coerenza tra il mondo della scuola e quello al di fuori delle classi. In un quartiere come lo Sperone, in cui manca tutto quello che rende civile un paese, il nostro obiettivo dev’essere accendere gli sguardi dei bambini affinché possano imparare a prendere posizione, a tradurre nella loro realtà gli insegnamenti della scuola. L’educazione alla legalità dev’essere concreta, tangibile». Questi tredici anni di lavoro hanno visto sinergie, collaborazioni e dialogo costante per un’operazione di osmosi tra quello che accade dentro e fuori dalle aule. Ne è stato un esempio, uno solo tra tanti, la festa di Santa Rosalia, patrona di Palermo. Lo scorso 23 ottobre, tremila persone, più di mille bambini del quartiere, più di duecento insegnanti, insieme alle famiglie e alla gente del rione hanno sfilato per le strade opponendosi al degrado, alla mafia, alla droga, alle piaghe sociali che rovinano la periferia palermitana. «Le nostre Rosalie Ribelli sono state un ritorno al mare - racconta Antonella -. A rappresentarci tutti la nostra piccola immensa Rosalia: una bambina che al fianco della Santa ci guarda fissi negli occhi, non abbassa lo sguardo e si tura il naso con la mano di fronte alle cose che non vanno. Non si piega, reagisce. La ribellione deve avvenire con la mente, non con le mani né tanto meno con le armi. L’avanzare a testa alta del nostro corteo ha dimostrato un atteggiamento di resilienza, di coraggio, di forza e di riscatto rispetto alle problematiche che tutti conosciamo».
Le difficoltà non spariscono allo Sperone, che per Di Bartolo diventa un epicentro totalizzante, la stella attorno alla quale, pianeta, la sua vita gravita senza fermarsi mai. La porta del suo ufficio è sempre aperta, il cellulare acceso per qualsiasi bisogno. L’istituto comprensivo Sperone-Pertini emana una luce che commuove e insieme acceca, ma Antonella a spegnerla non ci pensa nemmeno. La luce della scuola è una metafora ed è realtà, perché nel 2021, durante la pandemia, il quartiere resta al buio per tre mesi. «Un furto di rame in due centraline dell’illuminazione pubblica» spiega la preside nel suo libro. Ecco, per quei tre lunghissimi mesi, alla sera, tutti i sette plessi della scuola sono rimasti accesi. All’interno e all’esterno, per fare più luce possibile, illuminare i passaggi pedonali, le strade limitrofe, i percorsi quotidiani che la gente dello Sperone, rimasta al buio, per continuare a vivere, non ha mai smesso di fare. La luce si è spenta, ma il rione palermitano non è sparito. Mentre lo racconta Antonella si emoziona, noi ci emozioniamo: «I bambini, affacciandosi alle finestre, vedevano la scuola illuminare il quartiere, riconoscendola come punto di riferimento e orientamento, come fonte di rassicurazione. Lo Sperone-Pertini è rimasto acceso per imprimere nei loro cuori e nelle loro menti un messaggio: la scuola è luce, noi dello Sperone non lo dimenticheremo mai».
I bambini del rione, le loro famiglie, la comunità scolastica tutta, sotto la guida coraggiosamente umana di Antonella Di Bartolo, oggi, finalmente, alzano la testa e crescono con orgoglio. Non è una storia di successo, è una storia esemplare che parla di educazione, di apprendimento, di riscatto sociale. Di ultimi che diventano primi perché qualcuno a credere in loro, finalmente, c’è. Lo Sperone sorride: fuori è primavera.