4
Tommaso e Margherita
«A cosa pensi?» mormora sottilmente la ragazza nella penombra.
Le serrande lasciano trapelare nella stanza un piccolo spicchio di sole e una lieve brezza smuove dolcemente le lunghe tende di seta, poste a schermare il silenzio dai rumori monotoni del traffico mattutino. Un riflesso color miele tinge, a tratti, le pareti spoglie della camera.
Si muove delicata sotto le soffici coperte e cerca il ragazzo, coricato accanto a lei.
I lunghi capelli castani seguono il suo spostamento creando fantasiosi disegni sulla federa del cuscino.
La mano arriva a sforare il fianco del ragazzo: la sua presenza emana un piacevole tepore. Scivola sulla sua pancia e tocca le dita della sua mano, si riconoscono e si stringono vicendevolmente.
La ragazza poggia la sua fronte sulla schiena nuda di lui, sorridendo. Bacia la sua pelle una, due, tre volte, lentamente. Risale fino al suo collo, posa un bacio sull’incavo della sua spalla e avvicina le labbra al suo orecchio:
«A cosa pensi?» sussurra di nuovo, con un briciolo di carisma in più a rendere accese le parole pronunciate. Il ragazzo si volta verso di lei, tenendole la mano.
Nella penombra, solo un fruscio di lenzuola.
La osserva in tutta la sua delicatezza e sensualità: il piccolo viso sorretto dalla mano sinistra, i capelli mossi le ricadono morbidi da un lato del viso, scarmigliati ma in armonia con la sua figura; il suo naso affusolato e leggermente all’insù, le sue labbra soffici, strette e piene, rosse come ciliegie; miriadi di lentiggini le ornano il viso, il petto, gli avambracci… le avrebbe baciate tutte.
Si avvicina alla sua figura, nuda, candida, bellissima, le carezza la guancia, le sfiora le labbra col pollice e la bacia, rafforzando la stretta della mano che, ancora, non le aveva lasciato.
«Non sono sicuro tu lo voglia sapere» le risponde finalmente, continuando a carezzarla.
«E invece io sono sicura di sì» insiste.
Lui sbuffa appena e si sdraia supino, lei gli si accoccola accanto creando lievi cerchi con le dita sul suo petto.
«Stavo…» si stropiccia con vigore gli occhi, inutile tentativo di rimuovere quel pensiero ostinato, stretto alla sua coscienza: «Stavo pensando a un cartone che mi ha fatto vedere mio nipote qualche giorno fa». Confessa una mezza verità, ma la ragazza se ne accorge -riconosce l’arricciarsi del suo naso quando tende a dire una bugia-. Nonostante questo, sta al gioco:
«E che cartone sarebbe?» gli chiede senza celare la sua curiosità.
«Non è molto entusiasmante e nemmeno divertente…» inizia lui. «Non lo ricordo nel dettaglio, ma mi ha fatto riflettere».
«Riguardo a cosa?» la domanda di lei aleggia leggera nella stanza.
Il ragazzo fa vagare i suoi occhi sul soffitto, sfiora il braccio della ragazza, sospira pesantemente e solo qualche tempo dopo le risponde.
Lei è abituata ai suoi larghi silenzi: i primi tempi la spaventavano, credeva potessero essere indice di noia, disinteresse, insoddisfazione. Ora ci si sistema comoda, ci si avvolge, ci si ripara e aspetta paziente che le parole ragionate di lui le solletichino le orecchie. Ora le piace rifugiarsi nei loro silenzi: le preoccupazioni del mondo sono ovattate dalla sicura intimità e dalla dolcezza dei loro gesti, non richiedono nulla in cambio se non la propria presenza.
«Il tempo che passa…» un filo di voce si tende appena: «La memoria…i ricordi… la morte».
I cerchi invisibili delle dita della ragazza si sono fermati, un velo di sottile consapevolezza appesantisce l’aria della camera.
Questo silenzio è più scomodo del solito, le viene da pensare.
«Che succede Tom, c’è qualcosa che vuoi dirmi?» si stringe al corpo di lui.
«No… io…» gli mancano le parole. Le vorrebbe cercare nelle tasche dei jeans, ma sono per terra e non riesce ad alzarsi; le cerca di nuovo sul soffitto, i suoi occhi diventano frenetici, il suo respiro si fa irregolare. Le parole le ha, ma non vogliono uscire. Sono parole profonde, dovrebbe scavare a fondo per riuscire ad afferrarne qualcuna.
Lei si mette a sedere sul letto, lui non capisce perché si copra ancora i seni con la coperta, dopotutto li ha già visti… glielo vorrebbe dire, ma le parole che ha arraffato alla rinfusa gli bloccano la gola, sono diventate un nodo di lettere stretto attorno alle corde vocali.
Si mette a sedere e gli occhi si posano su quelli di lei, che lo squadrano con una leggera preoccupazione.
Meg è brava a calarsi nei suoi silenzi, glielo ha detto qualche volta.
Sa che ha bisogno del suo tempo con le parole. Sa che ha bisogno del suo tempo coi pensieri.
Meg lo fissa, scandaglia in quegli occhi scuri come l’abisso per tentare di trovare le parole per Tom.
Ci sapeva fare, Meg, con le parole. Ci sapeva fare con Tom.
Lo fissa, ma non riesce a trovare nessuna parola familiare, allora si avvicina, lascia cadere la coperta accanto a sé, gli si mette di fronte e lo stringe in un abbraccio. E aspetta.
Meg è brava ad aspettare.
Aspetta e tenta di levare quel velo che ha coperto la brillantezza delle iridi di Tom. Gli carezza gentilmente la schiena e sente i suoi respiri sulla sua, che si fanno via via più lenti, più regolari, le fanno venire i brividi.
Con delicatezza gli scivola accanto e si appoggia alla testiera del letto. Lui le passa un braccio attorno alle spalle e poggia il capo su quello di lei.
Per un po’ rimangono immersi nel silenzio. Non si dicono una sola parola: si rispettano, si aspettano.
Il tono basso di Tom rompe l’attesa: «Ti è mai capitato di sentire una sensazione vorticosa allo stomaco? Come se ti sentissi trasportata al contempo fuori e dentro te stessa? Come se per un piccolo frangente ti sentissi esternata da tutto il resto del mondo e osservassi la Terra da lontano, fluttuando nella galassia, e il momento dopo ti trovassi dentro il tuo stesso corpo?». Lei non risponde, fa un lieve cenno di assenso col capo, ma Tom non lo percepisce e continua: «Ci faccio caso quando penso al tempo. Quello stesso tempo che passa inesorabile, anche se gli chiedi di rallentare. Non si ferma mai. Ci faccio caso quando mi stringi forte mentre dormi, quando sussurri il mio nome mentre facciamo l’amore, quando ti saluto mentre vai via, quando la notte -nelle ore piccole- la mia testa si affolla di futuro e allora mi arrovello su ciò che ho fatto nella mia vita, penso a cosa potrà accadere, alle variabili a cui sarò sottoposto…»
«Tom...» la voce di Meg s’intrufola nelle sue vorticose sensazioni, ma viene travolta.
«… A come le affronterò, insomma, se riuscirò a cavarmela, se…»
«Tom…» le parole di lui continuano a comprimere tutta l’aria della stanza, tutti quei se iniziano ad accumularsi ai piedi del letto, si posano sulle coperte, sui loro capelli, sulle spalle.
E se e se e se, un giorno, un giorno, un giorno…
L’aria vibra dalle vertigini, la mente di Meg trema dalle vertigini.
Si mette a cavalcioni su di lui prendendogli il viso fra le mani: lo costringe a guardarla negli occhi, ma quella cascata di parole non sembra intenzionata a fermarsi:
«…se tu sarai ancora al mio fianco, se…»
«Tom, smettila!» i loro occhi si scontrano: quelli di lui sorpresi, quelli di lei categorici.
Un brusco silenzio cala nella stanza.
«Stai correndo troppo, Tom, i tuoi pensieri corrono troppo… Certo che mi è capitato di sentirmi insignificante, in balia dell’oblio, del pensiero della morte, dell’essere presto o tardi dimenticata ma… ma sono momenti, momenti che passano…» gli accarezza i capelli mori con entrambe le mani, delicatamente: «Passano un po’ come il nostro amico tempo, con l’unica differenza che ci aspettano e a volte percorrono la strada con noi. Non puoi pensare di sbarazzartene, ma quando li senti, quando senti il vortice allo stomaco portarti via, fai un respiro, uno di quelli profondi, di quelli che t’inondano d’aria i polmoni, guardati intorno invece che dentro e sentiti vivo, perché ora sei vivo, Tom. Sei vivo e sei con me.» gli sfiora le labbra con un bacio tenero, a sigillare quel vortice di caos.
Lui le posa le mani sui fianchi e la stringe a sé. La ama, la ama con tutto sé stesso ma le parole sono troppo profonde per tirarle fuori. La ama davvero e allora pensa che Meg non dovrebbe lasciarlo mai:
«Meg…»
«Sì, Tom?»
«Non sparire» le dice mentre la guarda, la guarda come tante volte ha già fatto e Meg arrossisce, arrossisce perché le iridi di Tom hanno ripreso a luccicare. E lo bacia, ancora e ancora e ancora, gli promette di non sparire, di non lasciarlo mai, glielo promette e intanto lo bacia e lui la stringe, per non farsela scappare, per fare in modo che quel piccolo spazio d’intimità diventi infinito, per superare insieme lo scorrere del tempo, almeno per un attimo.
Ci sapeva fare Meg con Tom e Tom ci sapeva fare con Meg.
Si capivano Meg e Tom, come nessun altro.
Autore
Erica Zambrelli