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Mio cuore, non avrei mai pensato di avere il coraggio necessario per scriverti questa mia, ma ho pensato che se non l’avessi fatto me ne sarei pentita per il resto della vita. Se tu fossi qui ora, non sarebbe germogliata in me la volontà di dedicarti queste parole e non so ancora raccapezzarmi se sia un bene o un male. Se tu fossi stata qui, ora, ti avrei accolta dolcemente tra le braccia e ti avrei fatto sentire il battito del mio cuore per placare i tuoi pianti e lenire le mie preoccupazioni. Oggi ti ho portato dei fiori. Hai notato quanto sono belli? Sono fiori di lillà, i miei preferiti, il loro profumo è confortevole come una carezza e ogni piccolo petalo assomiglia a un delicato cuore. Mossi dalla brezza, sembrano vibrare di vita, come volessero ricordare al mondo di riuscire a battere per davvero. Te ne ho voluti portare cento, perché in questo modo cento sono i cuori che battono per te, non solo il mio e quello di tuo padre. Te ne vorrei portare cento ogni giorno, mille, poi ancora cento così tanti da ricoprire tutta la terra. In ogni caso non sarebbero abbastanza, perché nonostante ti abbia regalato così tanti fiori, così tanti piccoli cuori, il tuo, di cuore, da quel giorno, non l’abbiamo più sentito battere. Se per anni ti ho desiderata, per pochi mesi ho avuto l’onore di accoglierti dentro di me; ho sentito crescermi dentro un amore istintivo, totalizzante, incondizionato, per quello che alle prime radiografie era solo un minuscolo cuore. Un amore piccolo come un bocciolo di fiore. Il seme di un amore destinato a durare per l’eternità. Le settimane passavano ed ero traboccante di felicità;un senso di completezza mi aveva raggiunta. Ti avrei concesso tutte le mie cure, tutte le mie attenzioni, la mia vita. Sentivo il tuo peso, minimo, ancora insignificante nel mio ventre e percepivo, all’altezza dell’utero, una piccola pressione, un legame sottile, ma forte come una radice. Posando i palmi sul petto percepivo il battito del mio cuore e sorridevo perché sapevo che il tuo battesse allo stesso ritmo. Ogni tuo battito era un passo verso una mia rinascita. Quella mattina il mio respiro era affannoso e un dolore lancinante al ventre non mi permetteva di sentire il tuo battito. Sul letto d’ospedale, mentre i medici si accertavano di percepire un minimo movimento, le lacrime mi bagnavano le guance. Decretata la data della tua morte, le radici del nostro legame sono state estirpate. Con uno strappo secco, troppo veloce per permettermi di comprenderlo. Da un momento all’altro il tuo cuore e il mio non battevano più allo stesso ritmo. Il tuo ritmo si era fermato, così la tua vita. Io che ti avrei offerto la mia, ho fatto i conti con la colpa di non averla persa per preservare la tua. Ma il male più grave è stato che nemmeno io avevo colpa, non è così? Ogni notte per diversi mesi mi svegliavo di soprassalto, le lacrime agli occhi, la tachicardia. Mi piace pensare che, forse, in quei momenti d’inconscio ti intromettevi fra i battiti del mio cuore, mi volevi far sentire la tua presenza, in qualche modo. Almeno, in quel primo periodo mi sembrava una buona scusa per superare la tua perdita. Il mio cuore ci ha messo davvero molto tempo a ritrovare un suo battito, un suo ritmo. La mia vita ci ha messo davvero molto tempo a ritrovare un equilibrio. Se non avessi avuto tuo padre al mio fianco, tutto sarebbe andato diversamente e quando scrivo diversamente, mi riferisco al peggio. È stato incredibilmente coraggioso, ha sostenuto le mie fragilità nonostante il lutto gli abbia scavato le guance e gli abbia spento il sorriso. Si è reso disponibile a curarsi di me quando anche lui avrebbe avuto bisogno di attenzioni da parte mia. Per questo non finirò mai di essergli grata. Ho ripreso a lavorare dopo qualche mese, perché il pensiero di stare sola in casa mi opprimeva. Così ogni mattina mi alzavo, facevo colazione, mi vestivo, mettevo un filo di trucco e andavo in ufficio. Riprendere ad avere contatti con amici e colleghi è stato difficile. I primi tempi volevo che nessuno mi chiedesse cosa fosse successo, che nessuno mi dimostrasse la propria vicinanza… Volevo solo restare accoccolata tra le braccia di mio marito, per cercare il conforto del calore di una persona cara, una persona che con me avesse convissuto il lutto, che avesse condiviso le mie stesse fragilità. Solo più tardi ho compreso che volevano starmi vicino perché così avrebbero potuto concedermi lo stesso calore che cercavo di ricavare ossessivamente dalle braccia di tuo padre. Non mi chiedevano spiegazioni, non le pretendevano nemmeno e non gliele avrei date, se non dopo alcuni mesi. Quell’insostenibile senso di colpa stava lentamente affievolendosi e tornavo a sentire un senso di vita fluirmi dentro, fino al ventre. Quello stesso ventre che ho demonizzato per mesi, percependolo secco, vuoto, inospitale, crudele, quasi all’improvviso è tornato ad essere un antro d’amore, di speranza, di gioia, di vita. Nonostante il terrore del primo trimestre, la tua sorellina è nata il giorno della tua morte. Me ne sono accorta solo quando vostro padre l’ha accennato al dottore. Quando l’ho stretta al petto e ho sentito il suo pianto e il battito del suo piccolo cuore non ho potuto fare altro che emozionarmi, ho pianto tutte le lacrime serbate fino a quel momento: gioia, tristezza, paura, senso di colpa. Abbiamo deciso di chiamarla Stella. Ricordo ancora le congetture sul tuo nome; non riuscivamo a sceglierne uno, ci sembravano tutti meravigliosi. Solo dopo due anni posso dirti con certezza come ti avrei voluta chiamare: Viola. Come il colore dei lillà, i miei fiori preferiti. Aspetterò con ansia il giorno in cui Stella mi domanderà il motivo di quei fiori di lillà sul tavolo della sala e io le racconterò di te. Del tuo piccolo cuore che non è riuscito a battere a ritmo col mio, ma di come il tuo cuore sia quei piccoli fiori di lillà. È un modo per me per parlare di te, del momento più buio della mia vita e di come mi abbia portato la luce. Sei in ogni mio gesto, in ogni mia parola, in ogni mio pensiero. Ti sento in ogni mio battito. Tua per sempre, mamma.