3
Chi è davvero Tartufo? Un truffatore travestito da santo o un profeta capace di leggere le debolezze altrui? Un impostore o il semplice specchio delle ipocrisie che lo circondano?
Il 21 novembre, al Teatro al Parco, il regista Michele Sinisi ci ha guidati dentro queste domande con una reinterpretazione contemporanea del Tartuffe ou l’imposteur di Molière. Ne è nato uno spettacolo che non si limita a essere rappresentazione scenica, ma diventa riflessione viva, pungente, a tratti comicamente crudele.
La scena si apre su un quadro quasi grottesco, eppure sorprendentemente realistico: una stanza in disordine, impregnata di spazzatura e oggetti abbandonati come resti di vite stanche. Alcuni personaggi dormono a terra, una donna fuma una sigaretta con lentezza di chi cerca di rimandare la realtà, mentre due giovani flirtano tra loro con leggerezza. Il silenzio, denso e immobile, viene improvvisamente inciso dall’ingresso della signora Peronella, l’anziana madre di Orgone. Piccola ma caparbia, sferza i familiari con parole taglienti e, al contrario, innalza con fervore il nome del signor Tartufo: un uomo – sostiene – capace di guidare le anime al cielo, un modello di umiltà e virtù. La scena si interrompe sulle note di Si Antes Te Hubiera Conocido, che aprono la via all’ingresso di Orgone. Il padrone di casa appare distante, come se la famiglia fosse solo un rumore di fondo. È deciso a infrangere la parola data e a favorire il matrimonio tra la figlia Mariana e il suo caro ospite Tartufo. Né il cognato Cleante, lucida voce di ragione, né la cameriera Dorina riescono a scalfire la sua ostinazione. Dorina, poi, merita un’attenzione particolare: figura brillante e determinata, si muove tra conflitti e incomprensioni come una mediatrice esperta. Sa persuadere, talvolta quanto e forse più dello stesso Tartufo. E proprio questo suo talento manda Orgone in bestia: non può controbattere alla sua dialettica e risponde con rabbia, come se la verità lo ferisse più delle menzogne.
Dopo lunga attesa, finalmente appare Tartufo, interpretato da Sinisi stesso. Il suo ingresso tardivo alimenta il dubbio: chi è quest’uomo? Colui che la famiglia descrive con sospetto o la figura quasi miracolosa che Orgone idolatra? L’ambiguità si dipana quando Tartufo tenta di sedurre Elmira, la moglie del suo benefattore. Le parole che le rivolge sono morbide, dolci come una preghiera, eppure tradiscono un desiderio terreno, astuto. Elmira resta composta: non mostra turbamento, ma i suoi gesti — uno sguardo irrigidito, un passo indietro, le mani sottratte — parlano per lei. Rifiuta, e promette silenzio solo se Tartufo accetterà di rinunciare alle nozze con Mariana.
Il piano però si spezza all’improvviso: Damide, il figlio, irrompe e scopre tutto. Corre da Orgone per raccontargli la verità, ma il padre, travolto dalla cieca fiducia nel suo protetto, non ascolta. Accusa la famiglia di una congiura contro il povero Tartufo. E quando il presunto santo finge di confessare colpe inesistenti tra lacrime ben dosate, Orgone reagisce con furia e disperazione: scaccia il figlio, lo disereda, e nomina Tartufo erede unico di tutti i suoi averi. La tensione si scioglie sulle note di Pregherò, che accompagna il cuore ferito di Mariana, ancora stretta al ricordo di Valerio, il suo promesso sposo.
Ed è proprio Mariana, con Everything I Wanted come sottofondo struggente, a trovare finalmente il coraggio di parlare. Si rivolge al padre davanti a tutti, con voce tremante ma risoluta, confessando il suo dolore. Elmira l’abbraccia, in un gesto materno che avvolge tutta la scena di una dolcezza inattesa.
L’epilogo è ormai vicino: per impedire le nozze, bisogna convincere Orgone dell’inganno di Tartufo. L’unica via è un inganno speculare: Elmira fingerà di accettare le avances dell’uomo mentre Orgone, nascosto, ascolterà e vedrà tutto. Il piano riesce. Tartufo cade nella rete e, rivelandosi senza veli, condanna sé stesso. É proprio a questo punto che Tartufo smette di essere solo una maschera della borghesia secentesca e si rivela una figura archetipica, simbolo eterno dei paradossi morali e sociali del nostro tempo. Ma il sollievo è breve: Orgone ammette di aver già donato tutto il suo patrimonio al ciarlatano. E quando i gendarmi entrano in scena, sembrano pronti a trascinare via l’ignaro padrone di casa.
Ma, in un colpo di scena risolutivo, una voce fuori campo ordina di arrestare Tartufo. L’impostore, convinto fino all’ultimo della propria vittoria, vede crollare il suo castello di menzogne. La famiglia è salva. L’equilibrio, in qualche modo, ritorna.
Lo spettacolo si conclude con un canto corale che riempie la scena, come un ultimo soffio di vita collettiva. Il sipario cala, e resta nell’aria la sensazione di aver attraversato una storia antica e attualissima, dove il confine tra verità e inganno è più sottile di quanto vorremmo credere.
