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– Non so rispondere. Non so dire se ero felice. Ma poi, cos'è la felicità? Io sicuramente non avevo problemi.
Non dico che non ci fossero difficoltà, ce n'erano, ma si stava bene. Giravo tutto il giorno insieme ad altri quattro che l’agenzia per cui lavoravo aveva assoldato per “ritrarre l'Africa in ogni sua forma”. Non ci siamo riusciti secondo me; avevamo una casa e cercavamo di aggiungere materiale all’opera del nostro maestro brasiliano, si chiama Genesi, sicuramente l’hai vista esposta da qualche parte. Siamo stati là per quasi un anno e siamo diventati amici, credo; non li sento più, di questo mi dispiace, ci penso spesso.. Uno dei quattro si chiamava Franz, l’unico tedesco nero che io abbia mai conosciuto. Lui diceva sempre di essere felice in Africa. Credo non sia mai tornato in Europa.
Lo sguardo fisso nel vuoto. Si versò una tazza di caffè bollente e aggiunse: – Non avevo problemi in Africa. Ma penso che essere un uomo senza problemi non sia la stessa cosa che essere un uomo felice. Tu? Tu sei stato felice là?
– A volte, quando mi davano la paga… ma poi non si può essere sempre felici, secondo me, meglio essere sempre sulla cresta dell’onda; quando frequentavo l’università mi sentivo felice un giorno ogni due mesi… vadano a farsi fottere!
– Però almeno era un giorno memorabile! sicuramente meglio di questo gelida apatia.
Il vento era forte, il sole alto imperava nel cielo e forte scagliava i suoi raggi contro la neve della montagna che li respingeva sul vetro fotocromatico del capanno; che diventava totalmente nero. Guido e l'Altro controllavano i tempi d'esposizione della macchina fotografica in una stanza praticamente vuota (un tavolo una sedia e un cavalletto) e sorseggiavano il caffè.
Passarono alcuni minuti e rimasero in silenzio. Quando per un lungo tempo si rimane con qualcuno non si sente mai il bisogno di correre per arrivare alla fine di una conversazione; siamo solo noi due e ci prendiamo tutto il tempo che ci serve per riflettere sulle prossima cosa che vogliamo dire. Proprio per questa ragione, nella nostra vita, se ci pensi, le conversazioni più virtuose e memorabili le abbiamo vissute quando si sono presentate in queste due circostanze: avevamo moltissimo tempo a disposizione, ed eravamo solo due interlocutori attivi. Lo so, non dico niente di nuovo.. anche Epicuro lo scriveva: «Siamo uno per l'altro un teatro abbastanza grande». Però io lo lessi da Seneca che se ne stava da solo e ogni tanto scriveva a Lucillio, e alla fine è impazzito.
Dunque, i due riflettevano sulla felicità e sull'Africa, e solamente dopo un po' di tempo l'Altro chiese: – Di soldi ne avevate? e il clima com’era? E' vero che si muore dal caldo in Africa?
E senza dare il tempo di rispondere, gettando gli occhi fuori dal vetro e digrignando la bocca, aggiunse facendo una smorfia:
– Io non riesco ad adattarmi a questo gelo di merda.
– Se è per questo, nemmeno io. Ma credo nessuno in realtà. rispose Guido – L'Himalaya è la cosa più difficile della mia vita. Comunque, in Africa non facevo quasi mai i conti di quanto avevo in tasca. Il clima poi è molto più dolce di come si crede. Specialmente dove ero io; la sera arrivava un vento tiepido e piacevole. Infatti, dopo cena uscivo di casa con una sedia di plastica bianca sotto il braccio. Mi allontanavo dal villaggio camminando per un lungo tratto di strada e la posavo a terra, circa a cento metri dagli alberi che segnavano l’ingresso della giungla.
– E cosa facevi là? Chiese l'altro, con un po’ di sconcerto.
– Mi sedevo. E ascoltavo per ore i suoni che venivano da ogni parte della giungla.
Sotto un cielo stellato, dietro a quell'antica barriera di rami intrecciati, la consonanza dei versi feroci delle belve, degli stridii aspri e monotoni dei rapaci, dei miagolii, del frinire costante delle cicale e del vento maestoso tra le fronde degli alberi arrivava alle orecchie di Guido come il suono di un’orchestra perfetta; egli era l'unico, minuscolo e commosso spettatore davanti a quell'infinita rassegna musicale di Dio.
– Un francese che stava lì con noi mi diceva: «imbecille, nemmeno hai il dubbio che esca un leopardo e ti sbrani?!» Non voleva andassi là, da solo. Di animali ne ho visti ma non è mai successo niente di grave. aggiunse Guido.
– Ma tu avevi paura? rispose l'Altro.
– In realtà no, mi sentivo bene, mai avuto paura. Il francese forse aveva ragione ma a me onestamente non è mai successo niente..
Forse non la provò, la paura, poiché non conobbe mai la forma intera dell’ancipite giungla, come d'altronde ogni cosa anch'essa aveva in sé il bene e il male; Guido ne seppe solo la parte fantastica e meravigliosa, tanto da non credere alle storie di uomini divorati dai leopardi. Nonostante i possibili pericoli, davanti a quell’antica architettura naturale lui si sedeva tutte le sere e, chiudendo gli occhi, immaginava la vita che abitava quelle profondità e lo scopo per cui era stata creata: esistere, vivere in pienezza e poi sì, morire un giorno; e il suo cuore non aveva paura.
All'improvviso. Come chi viene posseduto da qualcosa, l'Altro interruppe bruscamente la conversazione gettandosi sulla macchina fotografica. E indicando con l'indice fuori dal vetro gridò: – Guarda là Guido! Guarda là!
Ma Guido già stava guardando. Era apparso, di fronte al capanno dove erano appostati ormai da giorni senza vedere alcun animale, un bianco e rarissimo esemplare di leopardo delle nevi. Si era spinto molto più in alto di quanto fanno solitamente quegli animali. Era bellissimo, ed era un secolo che non se ne vedeva uno! Stava seduto sopra una cima, e avvolto da un vento di neve sembrava un'antica divinità emersa dalla profondità dei ghiacciaio, ora intenta ad osservare la montagna che aveva creato.
– facciamo la casa, disse
e allora il ghiaccio si alzò.
L'Altro regolò rapidamente la macchina fotografica, la inserì nel cavalletto e incominciò a ritrarre l'animale in una raffica di 'click'.
Il leopardo rimase fermo lì per quasi un’ora. Poi, probabilmente risvegliato dalla fame, si allontanò lentamente, svanendo nel bianco. Le fotografie di quel pomeriggio sarebbero diventate virali in tutto il mondo, ma sul loro bordo avrebbero avuto una sola firma, quella dell’Altro.
Dal momento in cui si voltò, Guido, rimase pietrificato, immobile. A causa del brusco movimento il racconto dell’Africa che si stava sviluppando con calma nella sua mente cadde ed il vuoto che lasciò fu colmato repentinamente dall'immagine di quel felino. Insieme al ricordo degli alberi, il suo Essere interiore precipitò nella profondità di un pensiero che non riusciva a finire: “come posso essere così? e chi là fuori è come me? come posso non essermi accorto di essere stato felice? e mai nella vita? e se poi mi perdo ancora? Non voglio svegliarmi un'altra volta e non sapere chi sono ma accadrà di nuovo perché solo ora mi sono ritrovato come fossi tornato a casa mia una volta in mille anni dopo una guerra e dopo un viaggio lungo nel deserto oscuro e la casa prima era gialla ma ora è grigia e ha le finestre rotte e i tavoli scassati e con la polvere sopra e ovunque copre la possibilità di tenermi qui come la neve entrata dalle finestre che copre totalmente le fotografie e i miei vecchi mobili che oltre all’infanzia mi ricordano chi sono e quindi ora posso avere un colloquio con me sì il cuore mi da il ritmo e anche i pensieri e capisco finalmente che la felicità c'entrava con me e solo con me stesso benché il mondo vuole che io mi concentri su come appaio e su quello che ottengo mq chi sono? in principio ero la terra e il suolo e la natura che mi circonda e quel bara che mi diede vita ma adesso non lo so cosa provo mentre descrivo un’emozione naturale e universale che anche un felino prova quando emerge da un ghiacciaio per guardare il monte in cui vive e quindi capisce che non vuole rincorrere quella carriera che mi ha fatto finire qua in questo gelo? ma poi perché sono qui? E quanto tempo è che non ti parlavo? io volevo soltanto riposare il corpo là sotto quell'albero e sentire l'erba e vivere lontano da qui in quell’Africa passata dov’è rimasto Franz esattamente dove parlavamo e sentivo i pescatori sul molo lanciare la rete e sentivo caldo ma ero felice e lui rideva di gusto e di me che gli dicevo che andavo presto sull'Himalaya a cercare fortuna che fortuna? questo posto fa schifo! la fortuna te la da Dio diceva Franz e la felicità è un'emozione pura infatti io non la riconoscevo perché ero impuro fino a pochissimo tempo fa prima che l'Altro mi esaurisse e mi prendesse alla sprovvista con quel gesto per cui mi sono accorto di quanto è lontano il posto in cui vorrei essere e dalla vera felicità! voglio stare sotto un albero a riposare! forse è possibile se solo mi ricordo chi sono ma prima devo sapere da dove vengo? voglio chiedermelo ora e ricordarmi che vengo dalla campagna e da una bufera di eventi dentro cui il mondo pianse perché non sapeva dove andava come me che dirò che non voglio andare da nessuna parte per ora infatti voglio rimanere qui su questo monte e pensare che quel felino di fronte a me contempla la maestà della montagna e non sa come io non so quanto tempo è che non non parlo ai miei genitori? mi commuove vederlo in mezzo a quel freddo rimanere immobile..
– Calma Guido, cos'hai? Mi senti?!
Voglio rimanere immobile anche io. Voglio chiudere gli occhi. Voglio sentire che sto vivendo ma per farlo eternamente devo meritarlo; e che sento. Che bambino ero prima che Tu ti mettessi in mezzo? Voglio credere ancora una volta. Voglio amarti. Voglio essere felice. Voglio pensare che là fuori molte cose durano, che Dio esiste, che voglio credere che resteremo; e io ne faccio parte di tutto questo, e di questo mi meraviglio. E tutto mi sembra dolce. E voglio solo prendere il sole come se l'è il leopardo in questo racconto, e anche la neve e il gelo. Voglio tornare in Africa. Il francese può avere paura della giungla ma io no.”