Forse non sarò mai felice, ma stasera sono contenta
Sylvia Plath, Diari
Non piango da giorni da settimane ho pianto questo pomeriggio sembrava che il mio corpo non desiderasse altro, piangere, ed ero felice, non mi sentivo così bene dall’ultima volta in cui piansi.
La felicità, io penso, è uno schizzo disordinato di emozioni.
Per me, ad esempio, la è anche questa canzone nostalgica di Motta in cui parla della fine dei vent’anni o quel giorno in cui piansi di gioia mentre ascoltavo Preghiera in gennaio di De André perché di recente Dio aveva fatto un paradiso soprattutto per chi non aveva sorriso
I’m a rock, I’m an island
Paul Simon, I Am a Rock
La felicità ha argomentazioni uniche, non mira allo scontro
piuttosto all’approdo in una piazza di conciliazione
ad una rilettura dell’ascolto
una sutura di grazia
una riunione di vuoti sensibili
Miracolosa è l’evidenziazione dello stare, di un esserci in tali vuoti
E se quest’anno poi passasse in un istante, vedi amico mio, come diventa importante, che in questo istante ci sia anch’io
Lucio Dalla, L’anno che verrà
La felicità esiste
è tuttavia probabile che al suo seguito porti una varietà di vesti, che non ti sia sconosciuto il sentimento o il suo riconoscimento, bensì il suo nome, quello è talvolta estraneo dal momento che ti è stato quotidianamente suggerito, imboccato o imposto, senza che esso combaciasse con il tuo vocabolario.
Ora sei adesso
ascoltati tornare
affrettati a tornare alle tue punteggiature
Cecilia aveva sempre amato coccolare la piccola di famiglia. Quando era piccina e aveva gli incubi – che grida terribili nella notte -, Cecilia andava in camera sua e la svegliava. Torna indietro, le bisbigliava. E’ solo un brutto sogno. Torna da me.
Ian McEwan, Espiazione (Atonement)
Esistono altre mappe e altre definizioni
Esisteranno altre parole o parole ridimensionate di significato
ripulite dai passi estranei
I’ll be able to be who I want to be
Orlando Mollica, Want To Be
E saranno reintrodotti i tuoi desideri e il tuo odore nel processo di mescolanza
Ritrovato un corpo da stimare, un’introduzione emotiva da leggere da trattenere
un sistema solare da intingere nel latte del mattino come benedizione dell’esistere.
Millenari colori nuovamente traducibili e modelli evitabili al fine di imitare solo la segretezza di gioie intime, di confessioni con il tuo corpo.
Tutto, tutti nuovi, una nuova casa per parole senza patria e destini ricamati di mistero.
Ho una playlist musicale che si chiama Sadgasm e in essa ci sono innumerevoli emozioni, la riproduzione fedelissima di un universo ampio e colmo di sentimenti diversissimi ed io non ricordo perché la chiamai Sadgasm ma è inevitabilmente un altro modo per chiamare la vita, la mia, l’amore e la confusione, il mio cuore, perché il mio cuore è ampio ed un nome solo, per lui, non restituisce significato a tutte le essenze

Mi contraddico? Certo che mi contraddico! Sono vasto, contengo moltitudini
Walt Whitman, Foglie d’erba
Sei felice oggi? Sì lo sono, perché ho pianto.
Non ho conosciuto altre lacrime oggi che non fossero di gioia, di gioia e tristezza
possono coesistere tali fioriture?
Una lacrima è una preghiera rivolta al corpo
in quale basilica hai concesso alla tua anima di restare?
Una goccia è simile all’estinzione della rabbia
Una similitudine naturale vicina a rami che partoriscono foglie destinate a spogliarli
Hai scelto il tuo nuovo lessico embrionale?
Lavorando con i bambini, sono presto tornato ad applicare le regole di un gioco umano comune alla danza, fedele al sogno
Nel frattempo i bambini si preoccupavano sempre più per quel che riguardava le formiche
Lucio Corsi, Migrazione generale dalle campagne alle città
Tramite la presenza cosciente nell’attimo cardiaco in preghiera d’ascolto si sigla un armistizio con la confusione. Sapersi tradurre equivale a partecipare alla semina e alla botanica del sentimento. Come lo studio anatomico dell’uomo concede una rilevazione del suo procedere sulle rive del respiro; così il dare forma a dialoghi sull’invisibile sulle migrazioni dell’umore dona passaporti identitari ai moti d’onda che per solitudine nascondono i loro nomi nella schiuma dei giorni.
Ho introdotto di recente un’osservazione attenta nei colloqui con i secondi, ho capito che per partecipare con precisione di cura ai contatti con interno ed esterno, ovvero con tutto ciò che deposita ed estrae nei cortili dell’essere, è fondamentale munirsi di una lingua accessibile che ci corrisponda. Trovo irrispettoso nei confronti del sé, adottare distrattamente chiavi di lettura rigide e lenti adattive al fabbisogno altrui. La comunione partecipata con l’altro dovrebbe avvenire in ambienti dove le unicità del singolo vengono abbracciate, accarezzate, trascritte con dolcezza nei diari di un proprio sapere, sposate con i permessi di sensibilità e non sedotte frettolosamente, manipolate senza misura dalla necessità di un legame sociale.
Spesso, troppo spesso mi è capitato di rispondere alla domanda “Come stai?” tradendo la mia introspezione riflessiva.
Mi era più comodo e facile sostenere un profilo di circostanza
allestire involucri legittimati dalla norma e quindi difettosi, in dissonanza con il mio scheletro.
“Non c’è male”, “bene”, “potrebbe andare meglio, e tu?”
Sviavo subito sull’altro, paralizzavo le mie confessioni.
Esisteva nel rispondere un’esigenza di non appesantire o ammorbare ma, purtroppo, nel non approfondire, rendevo l’altro corresponsabile di un mio ripido tacere.
Non ci sono colpe in mezzo a queste dinamiche bensì responsabilità da assumersi.
Ho la responsabilità di trasmettere all’esterno la notte del pianto, la mia sonora distribuzione di respiri nel buio, di brindare alla mia fragilità fertile, di gioire del silenzio come del disastro, di contenermi e strabordare, di rimanere ed evaporare
Subito si cuce questo niente da dire ad una voce che batte. Vuole palpitare ancora, forte, forte forte dire sono - sono qui - e sentire che c’è fra stella e ramo e piuma e pelo e mano un unico danzare approfondito, e dialogo di particelle mai assopite, mai morte mai finite. Siamo questo traslare cambiare posto e nome Siamo un essere qui, perenne navigare di sostanze da nome a nome. Siamo.
Mariangela Gualtieri, Quando non morivo
E così, in reciproca alleanza con tutto ciò che si presta al vulnerabile, coloro che ci pongono quesiti riguardanti emisferi umorali, hanno responsabilità di accoglienza e salvaguardia, di empatia, di attenzione e delicatezza
Ma per favore con leggerezza raccontami ogni cosa, anche la tua tristezza
Patrizia Cavalli, Poesie
Anche in questo bar di provincia, in un Comune animato da poco più di mille residenti, un Comune polvere (termine adottato in riferimento ai comuni italiani che hanno una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti); qui, mentre aspetto di entrare in turno a scuola, ascolto le emozioni crescermi in grembo.
Mentre gli inquilini di questo luogo riducono il freddo dicembrino ad attese del dopo e la pioggia ad incentivo per rimanere, ancora un poco, nelle cronache del mattino; io tento di condurre la mia mente alla contemplazione del respiro.
Inspirare. Espirare.
Un signore ha appena accennato un saluto ad un altro entrante
“un bianchino!”
“lo vuoi liscio?”
“liscio come l’olio”
The Weeknd in sottofondo, Blinding Lights si concede alla scena con il dialetto del posto, catarro grattato in gola, orchestre di tazzine e risate restituite.
“Com’è bello il mondo dei vivi” penso “così ricco di miracoli, il mondo”.
Inspiro. Espiro.
Mi alzo, il tavolo sul quale sono appoggiato ha ancora le orme di bicchieri ed altri incontri preistorici.
“buona giornata!” dico
“grazie, buona giornata anche a te” rispondono
Fuori piove, ancora, la terra si libera dalla sete.
Inspiro la commozione del cielo, espiro la mia paura di non capirla.
Possiamo iniziare
Autore
Alberto Caprioli
