https://st.ilfattoquotidiano.it/wp-content/uploads/2016/01/mario-mori-675.jpg
Intanto, nel corso della Seconda Repubblica vengono approvate, con maggioranze bipartisan di centrodestra e centrosinistra, numerose leggi favorevoli alla Mafia e facenti parte del Papello di Riina: • Il 13 luglio del 1994 viene emanato il decreto Biondi, che consente a gran parte dei condannati per corruzione di ottenere gli arresti domiciliari durante il giudizio. La norma, inoltre, modifica una parte dell’art. 275 c.p.p. in cui la pericolosità di chi commetteva reati per Mafia non fosse presunta ma valutata di volta in volta dal giudice, così da verificare se sussistessero esigenze cautelari. In seguito alle proteste dei magistrati e dell’opinione pubblica, il decreto venne poi ritirato, ma approvato, leggermente modificato, solo un anno dopo sotto il governo Dini con i voti contrari solo della Lega Nord e dei Verdi. • il 1° agosto del 1996, i senatori del partito Centro Cristiano Democristiano Melchiorre Cirami e Bruno Napoli presentano un disegno di legge che prevede una serie di benefici per quei mafiosi che avessero ripudiato Cosa Nostra senza accusare altri appartenenti all’organizzazione: è il modello della dissociazione tanto caro a Riina. Esattamente il quinto punto delle richieste avanzate da Cosa Nostra nel “Papello” del 1992. • Il governo D’Alema arriva persino ad abolire l’ergastolo per il reato di strage, ma poi sarà costretto alla retromarcia a causa delle proteste delle vittime di Mafia. • Vengono chiuse le due Alcatraz italiane, Pianosa e Asinara, sotto il governo Prodi, per volere del Ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick, per restituirle al loro ruolo di oasi naturali (una botta di ambientalismo inusuale nel paese dell’Ilva di Taranto). • Il Ministro dell’Interno Napolitano nel 2001 promulga una legge contro i pentiti di Mafia: li obbliga a raccontare in soli 90 giorni tutti i loro delitti, spesso commessi in anni e anni di carriera criminale.
https://www.gedistatic.it/content/gnn/img/lastampa/2023/09/25/224046214-07bb48d1-82fa-477f-8ad2-694aa6f3e0db.jpg Ma torniamo ai fatti: Il 31 ottobre 1995 il pentito Luigi Ilardo, infiltratosi in Cosa Nostra, riesce ad ottenere la fiducia di Bernardo Provenzano, con il quale era da tempo in contatto, e riesce a fissare un incontro con il boss. Il colonnello dei carabinieri Riccio, che gestiva l’infiltrato, comunica subito ai superiori, tra cui il colonnello Mori, che intanto era stato promosso capo del ROS, che vi era la concreta possibilità di catturare Provenzano, ma questi sembrò disinteressato alla notizia. Durante l’incontro tra Ilardo e Provenzano, infatti, fu disposto soltanto un servizio di osservazione dei luoghi ad una certa distanza dal casolare e non avvenne alcun arresto. Quando l’autorità giudiziaria di Palermo chiese che Ilardo iniziasse una collaborazione formale con i magistrati, Mori spinse affinché questo collaborasse esclusivamente con Giovanni Tinebra, raro esemplare di giudice favorevole alla dissociazione e allievo prediletto di Corrado carnevale, e non con Caselli, con il quale invece era disposto a collaborare Ilardo. Ma la collaborazione non avvenne mai perché il 10 maggio 1996 Luigi Ilardo fu ucciso. Nei mesi successivi il colonnello Mori insistette per non redigere un rapporto conclusivo su quanto era avvenuto, in particolare sulle vicende connesse al mancato arresto di Provenzano. Chissà come mai. Ecco le dichiarazioni della figlia di Luigi Ilardo, Luana Ilardo, davanti alla Commissione parlamentare antimafia: “Il 28 ottobre 1995, mio padre telefonò a Riccio facendogli intendere che quell’appuntamento tanto atteso con il capo di “cosa nostra” era stato concordato. L’indomani stesso Riccio notizierà telefonicamente Mori per riferirgli le importanti novità. Nel verificare che questi rimase del tutto indifferente senza nemmeno convocarlo a Roma, Riccio di iniziativa sua, la mattina seguente, lo raggiunse immediatamente presso la sede dei Ros nella capitale. Lunedì 30 ottobre, confermò di persona a Mori e al maggiore Obinu che il giorno successivo Ilardo si sarebbe recato in località Mezzojuso per incontrare il Provenzano. Riccio, preso da grande entusiasmo, propose immediatamente a Mori di procedere a quel servizio di arresto utilizzando una cintura con rilevatore GPS. Una cintura che doveva essere chiesta all’ambasciata americana, come aveva già fatto in passato Riccio. Il colonnello Mori rifiutò immediatamente la sua proposta, rispondendo che avrebbero operato solo i Ros ma che, non disponendo del materiale tecnico necessario, si sarebbe soltanto effettuato un pedinamento dell’Ilardo e che sarebbe stato sufficiente che Riccio riferisse anche a voce a lui e al maggiore Obinu quanto acquisito informalmente da mio padre, senza redigere alcuna relazione scritta. A Riccio poi vennero spiegati “l’organizzazione del servizio, le posizioni che avrebbero occupato i militari i quali si sarebbero limitati a svolgere solo un rilievo fotografico senza predisporre nessun altro tipo di intervento. Come predetto da mio Padre alle ore 8 del mattino, gli uomini di Provenzano, Ferro Salvatore e Lorenzo Vaccaro, si presenteranno all’appuntamento per essere raggiunti poi da un terzo uomo, Giovanni Napoli, che lo condurrà fisicamente a bordo della propria auto Ford Escort alla masseria dove si nascondeva il latitante. Conferma di tali avvenimenti saranno i 29 scatti fotografici effettuati dagli operatori del Ros, appostati al bivio di Mezzojuso. Dopo molte ore di attesa, Riccio non avendo nessuna comunicazione dell’Ilardo, che rimase con il Provenzano per ben 8 ore, fece rientro verso Catania e per strada il colonnello disattendendo quanto disposto da Mori precedentemente, si fermerà presso un autogrill per telefonare al dottor Pignatone e concordando con questi un appuntamento per il giorno seguente per informarlo di quanto stava accadendo. La stessa sera il Riccio incontrò mio padre che gli confermò l’avvenuto incontro con Provenzano” e fornendo tutto il materiale utile per individuare la masseria, oltre a numeri di telefono e di targa dei fiancheggiatori del boss. Successivamente Ilardo farà ben tre sopralluoghi con Riccio per individuare l’ovile, ma i carabinieri del Ros, la punta di diamante delle investigazioni contro i boss, non riuscivano a trovarlo, nemmeno quando Riccio fornì loro precise coordinate. Nonostante le dettagliate informazioni sul luogo dove si trova Provenzano, nei giorni successivi non successe niente, non venne predisposta alcuna intercettazione, né si procedette al presidio della masseria dove si trovava il cosiddetto “capo dei capi”. Un arresto, continua Luana Ilardo, “che avverrà solamente 11 anni dopo, dei quali 6 trascorsi dal Provenzano nella stessa masseria indicata da mio padre e altri cinque in una masseria lì accanto, dove poi lo arresterà la polizia”.
https://qds.it/wp-content/uploads/2022/04/luana-ilardo-e-salvatore-borsellino.jpg
Ilardo poi verrà ucciso proprio per impedirgli di collaborare. Ovviamente, Provenzano poteva supporre che già in quell’incontro Ilardo fosse un informatore dei carabinieri, per cui secondo la logica avrebbe dovuto cambiare immediatamente nascondiglio. Invece restò lì per anni. Evidentemente era sicuro che nessuno lo sarebbe andato a cercare, come così è stato. Per quale ragione tanta sicurezza? Che rapporto c’era tra lui e i vertici del Ros?
Autore
Riccardo Maradini
Potrebbero interessarti:
Dello stesso autore:

