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La soluzione dei due Stati per due popoli sembra essere un piano di pace, ma rimane un progetto coloniale per cercare di disinnescare qualche coscienza.
Nella società moderna è diventata un’espressione sinonimo di “pace” con cui l’Europa, e non solo, si illude e autoconvince di avere uno spirito critico, mentre continua a finanziare l’unica democrazia del Medio Oriente.
Il problema è che non ha mai avuto a che fare con la pace, perché semplicemente istituzionalizza e legittima l’occupazione israeliana. Questo mito nasce nel 1947, con il piano di partizione dell’ONU, un’idea redatta in Europa per dividere una terra non europea. Circa il 55% del territorio è stato assegnato allo stato di Israele, il resto a una popolazione che ha vissuto lì per secoli. Dagli accordi di Oslo del 1993 in poi la soluzione dei due stati è servita solo per congelare il conflitto, non a risolverlo, cioè, ha permesso ad Israele di legittimare l’espansione dei suoi insediamenti e agli Stati Uniti di presentarsi come mediatori di pace mentre armavano, come oggi, uno dei due contendenti della terra promessa.
“Due stati per due popoli” è una soluzione che, per quanto mi riguarda, ha uno scarso spessore morale e che continua a perpetuare quel sistema coloniale radicato nello stato israeliano (e generalmente in tutto l’Occidente); i palestinesi hanno bisogno di reali azioni politiche: il riconoscimento di uno Stato sovrano e indipendente, la rimozione dell’occupazione illegittima e la fine delle partnership coloniali occidentali con il regime di apartheid israeliano, oltre che la sua condanna di fronte a un tribunale.
La Palestina è uno stato MAI nato, ovvero lo stato palestinese che promesso per anni e che non esiste: non ha confini, non ha libertà di movimento, non controlla acqua, elettricità o spazio aereo. Da quando il termine sovranità è diventato un sinonimo di occupazione? Parlare di “due Stati” serve a rendere il conflitto più digeribile. Fa credere che esista una simmetria tra le due parti, quando invece una occupa e l’altra resiste. Non si tratta di mettere in discussione il diritto di Israele a esistere, ma il diritto di esistere a spese di un altro popolo. Le ultime settimane lo hanno dimostrato: la famosa tregua umanitaria è durata il tempo di una dichiarazione. Le bombe non si sono fermate, i corridoi umanitari vengono aperti e chiusi secondo il volere del governo israeliano. Si tratta di una tregua per riorganizzare le strategie di guerra, non per finirla. Si raggiungerà la vera pace nel momento in cui ai palestinesi verrà riconosciuta la stessa dignità che si ha nei confronti di Israele. Ed è assurdo, perché non si parla di qualche riconoscimento o privilegio, ma di diritti umani che dovrebbero essere garantiti a ciascuno individuo in quanto tale.
In realtà, tralasciando la deumanizzazione che subiscono i Palestinesi, per poter parlare di due Stati bisogna innanzitutto affrontare la radice ideologica del conflitto: il sionismo, da non confondere con l’antisemitismo. Infatti il sionismo è nato come risposta all’antisemitismo europeo, ma si è tradotto in un progetto di supremazia etnica che, per mantenere questa sua purezza, non potrebbe mai accettare l’esistenza di una Palestina sovrana e indipendente…metterebbe in crisi l’identità politica di Israele. Così la soluzione dei due Stati diventa un compromesso che garantisce l’esistenza di un solo Paese, ovvero quello israeliano. Quando i leader occidentali si permettono di parlare di “pace”, non intendono giustizia, ma stabilità: un ordine che mantenga gli equilibri geopolitici e i rapporti economici. Israele è la copia perfetta di quel modello coloniale che l’Europa ha esportato per secoli: occupare, insediare e deumanizzare le persone al fine di compiere una “missione civilizzatrice”; inoltre un altro aspetto che ha in comune con l’Occidente portatore di pace e di valori è il modello economico fondato sulla guerra, sulle armi e il profitto che nasce dall’assedio si osserva su Gaza, che ormai da anni è diventata un campo di concentramento, o meglio, una prigione a cielo aperto dove si provano i droni e si eseguono test militari solo con lo scopo di concludere degli affari in nome della libertà. Rimane quella convinzione per cui alcuni popoli esistano per essere salvati e altri per essere puniti, quella bipartizione in amico e nemico che l’uomo necessità per legittimare sé stesso e la violenza come se fosse progresso e chiamarla pace. Nonostante tutto la speranza dell’oppresso non si spegne, a prescindere dalle tregue violate, i futili accordi, un genocidio in corso e l’occupazione, c’è chi continua a credere nella giustizia.
“Le guerre finiranno e i leader si stringeranno la mano, e quella vecchia rimarrà ad aspettare il figlio martirizzato, e quella ragazza aspetterà il suo amato marito, e i figli aspetteranno il loro eroico padre, non so chi ha venduto la patria ma so chi ne ha pagato il prezzo.”
- Mahmoud Darwish
Autore
Manal Rhanine