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Martedì 4 marzo, a Bruxelles, si è tenuto l'incontro della commissione europea in cui Ursula Von Der Leyen ha proposto un piano il cui fine è quello di ripristinare l’apparato bellico militare dell’Unione Europea, che prevede di mobilitare circa 800 miliardi di euro per la difesa dei propri confini, in quanto l’urgenza sarebbe quella di essere pronti ad un ipotetico, ma improbabile, attacco da parte della Russia. Degli 800 miliardi, circa 150 servono per fornire un sostegno immediato all’Ucraina, a causa del taglio dei fondi e della condivisione dell’intelligence americana; inoltre sono state proposte cinque condizioni per raggiungere una trattativa di pace per cessare il conflitto Ucraina-Russia:
- l’UE ha dichiarato che non ci saranno negoziazioni sull’Ucraina, se quest’ultima non sarà presente al tavolo delle trattative, essendo ovviamente il Paese coinvolto in primis che ne ha risentito maggiormente;
- si chiede una pace definitiva e duratura, quindi non si parla di tregue;
- l’Ucraina vuole avere una garanzia di sicurezza solida e credibile per evitare un ulteriore attacco da parte della Russia;
- la pace deve rispettare l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale ucraina;
- l’Europa deve partecipare direttamente alla negoziazione, infatti la sua opinione non era mai stata presa in considerazione dall’ex presidente statunitense Joe Biden.
Questo piano rappresenta un chiaro tentativo di riaffermare un’autorità, quella europea, che ormai è sempre più totalmente alla mercé degli Stati Uniti, in maniera tra l’altro volontaria. Questo significativo cambio di rotta suscita legittimamente dubbi sia sulla politica internazionale adottata precedentemente sia sulla nuova, che si definisce nella volontà dell’Europa di mitigare, anzi di porre definitivamente fine alla guerra in Ucraina, com’è giusto che sia, anche se, al contempo, solleva degli interrogativi sulla coerenza dei principi applicati invece a conflitti diversi; infatti il sostegno della comunità internazionale alla “resistenza” ucraina, che è sempre stata presentata come legittima difesa, si contrappone alla maniera con cui invece è stata e viene tutt’ora gestita la questione palestinese.
Mentre l’Occidente si impegna costantemente a fornire gli strumenti per supportare la difesa ucraina, tramite armamenti avanzati e ingenti quantità di denaro per sostenere le spese militari, la resistenza palestinese, invece, viene sempre etichettata come “terrorismo”, nonostante si tratti di una vera e propria lotta contro un sistema coloniale che continua a negarne l’esistenza. Il progetto israeliano, dalla Nakba del 1948 ad oggi, è sempre stato fondato su pulizia etnica ed apartheid e appoggiato da una politica di genocidio che prevede lo sradicamento di un intero popolo. L’ipocrisia e il carattere selettivo dell’Unione Europea e degli Stati Uniti sono evidenti anche per quel che riguarda le sanzioni imposte a coloro che compiono crimini di guerra; per esempio, la Russia, siccome ha invaso l’Ucraina violando il diritto internazionale, a febbraio ha ricevuto il sedicesimo pacchetto di sanzioni che va a colpire i servizi forniti all’intero Paese, come quello finanziario, commerciale, ecc. Al contrario, i crimini compiuti dal governo israeliano nei confronti della popolazione palestinese, nonostante le continue violazioni dei diritti umani e le numerose accuse ricevute da parte della Corte Internazionale di Giustizia, vengono spudoratamente appoggiati dall’Occidente, che incoerentemente disattende i propri valori supportando e ,addirittura, giustificando le azioni dell’esercito israeliano, non riconoscendo ai palestinesi, diversamente dagli ucraini, il principio del diritto all’autodifesa e il diritto alla resistenza contro l’occupazione, sancito e ribadito dalla Risoluzione ONU 37/43 del 1982, secondo cui viene riconosciuta ai popoli oppressi la possibilità di difendersi attraverso ogni mezzo necessario, nonostante la popolazione palestinese non disponga degli stessi strumenti concessi invece agli ucraini.
Fa rabbrividire la disonestà intellettuale con cui i governi occidentali cercano di camuffare la realtà; questo è dovuto al semplice fatto che, con Israele, hanno in comune la stessa mentalità colonizzatrice, secondo la quale non condannano mai, ma aiutano lo stato illegittimo, terrorista e genocida di Israele a perpetuare il proprio piano che, come obiettivo, ha la pulizia etnica; inoltre ciò è possibile grazie a chi non si informa, a chi non grida e a chi non vuole combattere contro il sionismo. Con quale coraggio l’Occidente continua a proclamare la difesa dei diritti umani e i valori della democrazia, se permette a uno Stato (=Israele) di procedere con un genocidio metodico? I valori dell’Europa non escludono di appoggiare un Olocausto? La comunità internazionale non ha paura di essere giudicata dalla storia per una seconda volta? Perché si ha l’esigenza di creare una bipartizione amico-nemico, buoni e cattivi, ucraini e palestinesi, perché la Russia è stata sanzionata nell’immediato, mentre le azioni di Israele vengono legittimate: basti pensare ai bombardamenti su Gaza che vengono definiti “operazioni militari mirate”, anche quando colpiscono civili, scuole e ospedali, cioè sempre, o all’occupazione definita “autodifesa”. La questione palestinese dimostra la dinamica già evidenziata nel celebre saggio della filosofa Hannah Arendt, “La banalità del male”, per cui il Male si radica e si perpetua non solo attraverso atti crudeli, ma soprattutto tramite la loro normalizzazione: ovvero la violenza sistematica, l’apartheid, la pulizia etnica, e quindi la violazione dei diritti che dovrebbero essere garantiti ad ogni essere umano del mondo, vengono giustificati come atti necessari. D’altro canto, la responsabilità individuale dei militari israeliani si dissolve nell’obbedienza a ordini emanati dai piani alti (anche se spesso penso che siano privi di una coscienza), e in questo modo, gli Stati Uniti, l’Europa e il resto del mondo legittimano l’esistenza e le atrocità compiute da Israele, perché sono banali individui inseriti all’interno di un sistema infernale. Questo meccanismo, come sottolinea Zygmunt Bauman in “Modernità e Olocausto”, è tipico dello Stato Moderno, che si serve dell’apparato burocratico, ponendo una distanza tra chi compie e chi subisce il Male, in questo modo chiunque è in grado di compierlo e quindi il genocidio in Palestina viene portato avanti senza alcuna riflessione etica, del resto come tutti i genocidi che sono avvenuti e che avvengono nella storia.
L’unico aspetto positivo che porta speranza è che la resistenza palestinese si manifesta quotidianamente attraverso la sopravvivenza dello stesso popolo, che continua a lottare per la propria identità, in nome del diritto all’autodeterminazione, senza mai arrendersi, nonostante anni e anni di oppressione. La comunità internazionale, la stessa che in passato ha celebrato la fine dell’apartheid in Africa, di cui era responsabile, oggi ha scelto la complicità, dimenticandosi che la storia si ripete, e che quindi nessun regime totalitario è destinato ad esistere a lungo. Israele sicuramente non sarà l’eccezione, e il popolo palestinese continuerà a sfidare un sistema marcio che cerca di negarne l’esistenza. La Palestina vive, perché il suo popolo resiste e la sua cultura, per fortuna, si è diffusa soprattutto tra i giovani di oggi, che alle manifestazioni in solidarietà ai palestinesi indossano la Kefiyyah, o a quelli che leggono i testi di Mahmoud Darwish. Chissà se un giorno vedremo l’assassino di Netanyahu in una nuova Norimberga, dopotutto sarebbe molto ironico e assurdo visto che il tribunale era per chi sterminava gli ebrei, non per chi ne ha fatto un modello da replicare.
“[…] che i perseguitati d’un tempo si siano trasformati in oppressori è per noi il fatto più drammatico[…]”
- Italo Calvino
Autore
Manal Rhanine