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“Questa proposta di riforma potrebbe privare il pubblico ministero dello status e della garanzia di indipendenza esterna che la Costituzione attualmente assicura, attraverso il principio di unità della magistratura, il quale implica un insieme comune di garanzie per giudici e pubblici ministeri e un unico Consiglio superiore”.
E a dirlo non è una “toga rossa” o un oppositore della Meloni, ma Margaret Satterthwaite, cinquantaseienne giurista statunitense, che dirige il Centro di ricerca sulla giustizia globale alla New York University e, dal 2022, Relatrice speciale delle Nazioni Unite sull’indipendenza di giudici e avvocati. È la stessa posizione del Consiglio d’Europa, che, dal 2000, raccomanda agli Stati di “consentire a una stessa persona di svolgere successivamente le funzioni di pubblico ministero e quelle di giudice”: è il modello italiano che l’Italia getta a mare. Inoltre, il passaggio da corpo giudicante a corpo requirente è già oggi ostacolato dalle leggi Castelli-Mastella del 2006 e Cartabia del 2021: infatti ogni anno solo lo 0,2% dei magistrati cambia funzione.
Ma questa destra illegalitaria sta cercando testimonial autorevoli per il SÌ alla riforma della separazione delle carriere. Ma, purtroppo per loro, finora sono stati in pochi a schierarsi apertamente per il SÌ: Cesare Salvi, Benedetto Della Vedova, Giovanni Pellegrino, Giulio Gallera, Augusto Barbera, Ortensio Zecchino, Pier Camillo Falasca, Anna Paola Concia, Ernesto Galli della Loggia e Tiziana Maiolo. L’unico testimonial autorevole e conosciuto del Sì è Antonio Di Pietro, da sempre contrario alla separazione delle carriere: “La separazione delle carriere è il primo passo per trasferire la magistratura inquirente sotto controllo dell’esecutivo… Non sono le carriere, ma i comportamenti che fanno la differenza. Anche un PM e un avvocato possono trovarsi imputati perché si son messi d’accordo” (4.2.2000). “Voterò no al referendum per separare le carriere” (15.5.2000). “Il centrodestra vuole separare le carriere per mettere sotto controllo dell’esecutivo la magistratura. È il vecchio piano di Licio Gelli, poi ripreso dal libro rosso di Previti” (24.3.04). “Berlusconi lasci stare Falcone, è come il diavolo che parla dell’acqua santa. I problemi della Giustizia sono la mancanza di fondi e di personale, non la mancata separazione delle carriere. Così si vuole solo sottomettere la giustizia al potere politico e segnare la fine della certezza del diritto” (21.8.08).
Ed è per questo che stanno cercando di far dire ai morti quello che non hanno mai pensato: Nordio e Meloni usano continuamente Paolo Borsellino, come esempio di magistrato favorevole al progetto Piduista. Borsellino si starà rivoltando nella tomba, in quanto nella sua vita ha sempre predicato l’esatto opposto. L’11 dicembre 1987, come riportato nel libro Paolo Borsellino, oltre il muro dell’omertà. Scritti su verità, giustizia e impegno civile (Edizione Bur, maggio 2022), riferendosi alle novità del nuovo codice di procedura penale, al nuovo e “gravoso” ruolo del PM e alla necessità di trovare “incentivi” per i magistrati affinché scegliessero quella funzione, Borsellino fa una riflessione: “Le ricorrenti tentazioni del potere politico, quali ne siano le motivazioni, di mortificare obiettivamente i magistrati del PM, prefigurandone il distacco dall’ordine giudiziario, anche attraverso il primo passo della definitiva separazione delle carriere non incoraggiano certo i ‘giudici’, che tali tutti sentono di essere, a indirizzare verso gli uffici di Procura le loro aspirazioni”.
Lo conferma, il 25.2.2004, un magistrato appartenente alla stessa corrente di Paolo Borsellino (Magistratura Indipendente):” Borsellino divenne procuratore a Marsala dopo essere stato giudice istruttore e giudice civile. Probabilmente in alcune indagini di mafia queste competenze gli sono servite”. Sapete chi era? Alfredo Mantovano, oggi sottosegretario a Palazzo Chigi.
Lo stesso Carlo Nordio, nella sua precedente vita, nella quale ha svolto le funzioni sia di PM che di giudice, nel 1994 firmò un appello contro la separazione delle carriere. L’appello era il seguente: “I sottoscritti Magistrati della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia aderiscono al comunicato dell’Associazione Nazionale Magistrati in quanto contrari alla divisione delle carriere dei Magistrati con funzioni requirenti e con funzioni giudicanti”.
Infatti, il vero scopo di questa riforma lo ha ammesso lo stesso Nordio, tra uno spritz e l’altro: dopo aver giurato “mai il PM sotto l’esecutivo”, spiega che “il governo Prodi cadde perché Mastella fu indagato per accuse poi rivelatesi infondate” (Falso storico). E poi: “questa riforma avrebbe agevolato Berlusconi, che subì numerosi processi e fu vittima di un accanimento giudiziario. Schlein non capisce che questa riforma gioverebbe anche a loro, nel momento in cui andassero al governo”. Quindi è una riforma per garantire l’impunità a tutta la classe politica.
Ma vediamo meglio alcuni aspetti demenziali di questa proposta di legge: in primis diventa incerto il destino della Scuola superiore della magistratura, l’ente che cura la formazione e l’aggiornamento professionale delle toghe: se non verrà sdoppiata, certamente subirà una profonda ristrutturazione. Attualmente, i vincitori del concorso svolgono la prima parte di tirocinio sia in Procura, sia nelle varie sezioni dei Tribunali, per conoscere le diverse funzioni in vista della scelta del primo incarico. Con la separazione questo non accadrà più: le due categorie impareranno due lavori diversi e non comunicanti.
Il CSM viene triplicato: ci sarà un Csm per i giudici (10 laici + 20 togati), uno per i PM (10 laici + 20 togati) e un’Alta corte disciplinare (6 laici + 9 togati). I togati saranno scelti col sorteggio secco, cioè a caso, fra i magistrati disponibili. Invece i laici, cioè quelli nominati dai partiti, usciranno da un sorteggio finto, estratti da un listino di persone votate dai partiti in Parlamento: più corto sarà il listino, più il sorteggio sarà un’elezione, anzi una lottizzazione. Ma anche i costi si moltiplicano: oggi un consigliere guadagna 240 mila euro all’anno, più rimborsi spese per altri 50 mila euro. Domani sarà tutto triplo, perché pure l’Alta corte avrà i suoi consiglieri. Si triplicheranno personale, autisti, segretari, pure l’ufficio studi. Il Csm oggi costa 43 milioni, 5,9 per i consiglieri, 27,8 per il personale, 8,3 per beni e servizi, 2,2 per gli assegni ai laici, 1,2 per indennità seduta, 1,3 per rimborsi delle missioni. Nonché 700 mila euro per l’assicurazione sanitaria. I preziosi addetti all’ufficio studi costano 1,2 milioni. I buoni pasto per tutti ne succhiano 300 mila. Acquisto e manutenzione di attrezzature elettroniche per 860 mila, 3 milioni per aggiornare i pc. Biglietti, hotel, catering per dibattiti da 800 mila euro. Tutto triplicato, e siamo oltre i 150 milioni, da cui sono fuori i tre nuovi palazzi perché è inimmaginabile la contiguità fisica tra i due Csm e l’Alta corte. Pure i palazzi di giustizia andrebbero sdoppiati perché, se il PM incontra il gip, potrebbero circuirsi a vicenda.
Un punto delicatissimo della nuova disciplina riguarda i ricorsi: mentre ora le decisioni della Sezione disciplinare del Csm possono essere impugnate in Cassazione, contro le sentenze dell’Alta corte si potrà fare appello solo alla stessa Alta corte, che deciderà in secondo grado “senza la partecipazione dei componenti” che si sono espressi in primo. Insomma, un magistrato sospeso o radiato non potrà mai rivolgersi a un giudice indipendente per far riesaminare il suo caso, ma solo a un organo nominato per due quinti dalla politica. Norma definita “preoccupante” dalla relatrice Onu Margaret Satterthwaite.
C’è però chi è contrario a questa riforma. Sentite le parole di questo deputato: “Voteremo tutti contro l’emendamento per la separazione delle carriere. Stiamo facendo di tutto per evitare che passi”. Sono state pronunciate il 29.10.1997 da Sergio Mattarella, all’epoca capogruppo del Ppi alla Camera. Speriamo si ricordi che il suo ruolo è quello di difendere la Costituzione.