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Cittadini italiani in Bosnia
Il turismo di guerra non è un fenomeno nuovo: vari teatri di guerra hanno attratto viaggiatori con l'obiettivo di provare l'esperienza del cosiddetto "dark tourism". Ciò consiste nella visita di zone soggette a tragedie passate, ma ci sono persone che provano un certo "fetish" nella manifestazione della sofferenza umana. In questo caso il teatro interessato è stato la Bosnia degli anni 90, 100.000 morti e milioni di sfollati. Qui certi soggetti hanno cercato esperienze davvero macabre. Il fenomeno dei "safari di guerra" ha assunto una forma particolarmente inquietante con la scoperta che alcuni cittadini italiani sono stati coinvolti in queste esperienze turistiche. Secondo le denunce emerse nel 2020, diverse agenzie turistiche italiane avrebbero organizzato viaggi in Bosnia, offrendo ai turisti la possibilità di "esplorare" le zone di guerra e visitare luoghi ancora segnati dalla violenza. Le attività proposte includevano escursioni nelle zone di conflitto, attraversamenti di terreni minati, visite a postazioni di cecchini e persino ricerche di resti bellici, come ordigni inesplosi.
Implicazioni
Come riportato in precedenza nel 2020 sono emerse prime segnalazioni secondo cui tra i viaggiatori in Bosnia che partecipavano a questi tour orrendic'erano anche cittadini italiani tra il 1993-95. Tali "servizi"promettono spesso alti livelli di adrenalina ed eccitazione, facendo leva sui desideri più oscuri degli amanti del brivido desiderosi di sperimentare in prima persona i resti di un violento conflitto. Mentre alcuni di questi individui, a quanto pare, non erano consapevoli della gravità delle loro azioni, altri erano attratti dal fascino del pericolo o dall'emozione di entrare in una "vera" zona di guerra. I tour si svolgevano in genere in ex campi di battaglia come Sarajevo, Srebrenica e le colline circostanti, teatro di pesanti combattimenti durante la guerra. Mentre alcuni turisti potevano considerare queste aree semplicemente come un pezzo di storia da esplorare, la gente del posto e i sopravvissuti alla guerra le vedevano come luoghi di indicibile tragedia. Per loro, questi luoghi erano luoghi di lutto e memoria, non spettacoli di intrattenimento.
Gli strascichi del turismo di guerra
Lo scandalo dei "safari di guerra" ha acceso un dibattito più ampio sulle motivazioni di tali amenità. Per molti, l'idea di pagare per visitare luoghi di così immensa sofferenza è come trattare una tragedia umana al pari di mero intrattenimento. In Bosnia, dove molte persone portano ancora le cicatrici della guerra, la presenza di turisti stranieri, soprattutto quelli che partecipano a questi tour "avventurosi", è profondamente dolorosa. L'industria del turismo locale ha lavorato duramente per ricostruire l'immagine del Paese come destinazione pacifica, incentrata sulla storia e sulla cultura. Tuttavia, l'avvento di questi tour moralmente discutibili offusca questo sforzo e mette in luce la sete globale di esperienze legate alla distruzione e alla violenza.
Il ruolo dei turisti italiani
Il coinvolgimento italiano in questi tour ha portato a un'ulteriore analisi del fenomeno nonostante l'Italia abbia una tradizione turistica in Bosnia: molti italiani vi si recarono per contribuire alla ricostruzione postbellica ma alcuni con lo scopo ignobile di portare caos: c'erano postazioni preorganizzate da cecchini serbi (in quanto antagonisti principali) in cui chi richiedeva il "servizio" trovava tutto apparecchiato: binocoli, arma carica e tanto incitamento ad uccidere. La risposta del governo italiano è stata contrastante: alcuni funzionari hanno espresso indignazione per le segnalazioni, mentre altri hanno cercato di minimizzare la situazione, insinuando che si trattasse di un incidente isolato. Alcuni dei tour operator coinvolti hanno dovuto affrontare la reazione negativa dell'opinione pubblica e si sono intensificate le richieste di normative più severe contro il "dark tourism". In seguito allo scandalo, le autorità italiane hanno avviato indagini per accertare eventuali violazioni di legge, in particolare per quanto riguarda i limiti etici del turismo, il rispetto delle comunità locali e la tutela dei siti del patrimonio culturale legato alla guerra. La speranza è quella di impedire la proliferazione di tour simili e di sensibilizzare l'opinione pubblica sull'impatto che tali tour hanno sulle popolazioni locali.
In conclusione non mi capacito di certe inclinazioni personali, viviamo in un mondo in cui tutto è in vendita, persino questo tipo di intrattenimento.
fonti
Elena Betti Chi erano i “cecchini di Sarajevo”, gente che pagava per andare a sparare sui civili durante la guerra in Bosnia
Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa Souvenirs of war: tra turismo di guerra e rielaborazione del dolore - Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa
rsi Turisti della guerra a Sarajevo, “potrebbero esserci più persone coinvolte” - RSI
Redazione Le indagini sul “Sarajevo Safari” chiamano in causa anche il presidente serbo Vucic
«Sparavano a bimbi e ragazze»: il racconto choc sui “turisti cecchini” a Sarajevo
Italy probes claim that tourists paid to go to Bosnia to kill besieged civilians