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L’Occidente è sempre riuscito a trasformare ogni conflitto in questione morale, ignorando la storia che l’ha causato. Si commuove di fonte alle immagini dei partigiani italiani che hanno combattuto contro l’occupazione nazifascista, ma si indigna quando un popolo occupato nel Medio Oriente ricorre alle armi. Come sempre, cambiano i periodi e le zone geografiche, ma non i meccanismi della dominazione.
L’errore della narrativa occidentale non è definire Hamas un’organizzazione armata, si tratta di un dato di fatto. L’errore è non riuscire a definirlo il prodotto finale di settant’anni di colonizzazione, espropriazioni, apartheid e bombardamenti che hanno trasformato Gaza in un campo di concentramento a cielo aperto. Bisogna chiedersi, cosa può arrivare a creare un contesto di occupazione militare illegittima prolungata? Basti pensare agli algerini contro la Francia, quando il FLN (Fronte di Liberazione Nazionale) veniva etichettato come terrorista o banalmente ai partigiani considerati come banditi. Tutto questo solo per raccontare la violenza degli oppressi come ingiustificabile e quella degli oppressori come ordine pubblico. L’Europa, e non solo, condanna la “violenza palestinese”, ma dimentica che la sua libertà e i valori, sui cui in teoria dovrebbe fondarsi, sono nati proprio da questo, ovvero dall’aver processato i gerarchi nazisti e dall’aver abbattuto la mostruosa macchina del nazifascismo. La resistenza armata europea è storia, memoria, invece quella palestinese è terrorismo. Che differenza c’è? Chi occupa e chi è occupato? Questo mostra l’ipocrisia e la doppia morale dei paesi occidentali e soprattutto capovolge tutta la retorica del famoso diritto internazionale, che riconosce ai popoli sotto occupazione il diritto alla resistenza, anche armata, quindi all’autodeterminazione.
Riconoscere Hamas come parte di una resistenza armata nata da un regime di apartheid non significa approvarne i metodi e nemmeno adottarne l’ideologia, ma solo riconfermare un principio storico e politico, ovvero quando un popolo per decenni vive sotto assedio, sotto un regime che perpetua pulizia etnica, violenza e attacchi sistemici, la nascita di movimenti armati ne è solo una conseguenza. L’Occidente ha bisogno di etichettare Hamas in primis come organizzazione terroristica solo perché riconoscere la resistenza palestinese significherebbe riconoscere un genocidio che continua a sostenere.
Dal 7 ottobre 2023 ad oggi il mondo sembra essersi diviso in chi parla di terrorismo e chi parla di “resistenza armata”, pagandone le conseguenze. Che Hamas abbia commesso atti di violenza e stragi è un fatto. Che Israele abbia da sempre commesso e risposto all’ultimo attacco con una guerra totale che cerca di cancellare l’identità di un’intera popolazione, o semplicemente bombardato ospedali, case e scuole, assassinato bambini, donne, anziani, medici e giornalisti, sono altri fatti…più legittimi? Un’altra domanda, chi è che ha il potere di decidere quando un partito deve essere etichettato come terrorismo o resistenza? O meglio, quali sono le condizioni per cui Hamas può essere definito come forma di resistenza armata? Basta pensare alle condizioni in cui vivono i Palestinesi: occupazione militare, assedio totale, apartheid, mancanza di sovranità e di libertà, genocidio, assenza di futuro. Questa risposta non ha intenzione di assolvere nessuno da ciò che ha compiuto, ma quando a un popolo viene negata ogni forma di espressione politica e sociale, la resistenza armata, per quanto uno possa reputarla giusta o sbagliata, diventa l’unica lingua possibile. Ma questo Israele e gli Stati Uniti non lo considereranno mai perché, se Hamas fosse anche solo parzialmente fatto passare come resistenza contro un sistema di oppressione fatto di alleanze politiche e militari, la credibilità dell’Occidente crollerebbe, più di quanto lo sia già adesso.
Se domani Hamas sparisse, Israele terminerebbe l’assedio? Restituirebbe le terre strappate ai palestinesi? Ritirerebbe gli insediamenti illegali? Oppure troverebbe un altro nemico da definire terrorista pur di non rispondere alla domanda più scomoda, ovvero come si garantisce la libertà a un popolo che non ha mai avuto uno Stato? È facile parlare di “non violenza” quando l’unico diritto riconosciuto a un popolo è quello di sopravvivere.