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Si sente sempre blaterare che il problema dell’Italia è dato dal fatto che siamo preda di un governo populista e sovranista. A parte l’uso ormai inflazionato di questi termini, usati molto spesso a sproposito, questo governo agisce ormai con una sovranità limitata. Basti pensare al fatto che il Governo Meloni, come quello di Draghi, ha sempre seguito come un cagnolino le indicazioni degli USA, che a governarli fosse Biden o Trump. Basti pensare al fatto che il nostro Ministro degli Esteri è riuscito a dire, riguardo l’attacco israeliano alla Global Sumud Flotilla, che il diritto internazionale vale “ma fino ad un certo punto”. Basti pensare al fatto che la Presidente del Consiglio, non ha detto una parola per difendere i cittadini e i parlamentari italiani colpiti da droni israeliani al largo delle coste tunisine. Basti pensare che il nostro ministro della Difesa, si augurava che i nostri concittadini della Flotilla venissero “solo arrestati”; temendo, evidentemente, che un paese alleato potesse avere l’idea di uccidere dei cittadini e dei parlamentari di un loro alleato storico. Immaginate se si fosse trattato di un paese ostile.
Per capire meglio la differenza tra un suddito e un alleato, sono andato a ripescare un magnifico discorso di Dominique de Villepin, Ministro degli esteri del governo francese all’epoca della presidenza di Jacques Chirac, del 14 febbraio 2003, tenuto davanti alle Nazioni Unite. De Villepin, con questo discorso, annunciava il rifiuto della Francia ad intervenire nella guerra in Iraq, scatenata dagli Stati Uniti grazie all’invenzione di fantomatiche armi di distruzione di massa, mai trovate poi dagli ispettori ONU.
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“Ci sono due opzioni: l'opzione della guerra può apparire a priori la più veloce. Ma non dimentichiamo che dopo aver vinto la guerra, dobbiamo costruire la pace. E diciamocelo: sarà lungo e difficile, perché sarà necessario preservare l'unità dell'Iraq, ripristinare la stabilità in modo duraturo in un Paese e in una regione duramente colpiti dall'intrusione della forza. Di fronte a tali prospettive c'è l'alternativa offerta dalle ispezioni, che permette di avanzare giorno dopo giorno sulla via di un effettivo e pacifico disarmo dell'Iraq. Alla fine, non è la scelta più sicura e veloce?
Nessuno può quindi affermare oggi che la strada della guerra sarà più breve di quella delle ispezioni. Né si può affermare che potrebbe portare a un mondo più sicuro, più giusto e più stabile. Perché la guerra è sempre la sanzione del fallimento. Potrebbe essere questa la nostra unica risorsa di fronte alle tante sfide attuali? Concediamo quindi agli ispettori delle Nazioni Unite il tempo necessario per il successo della loro missione (…)
Un tale intervento potrebbe avere conseguenze incalcolabili per la stabilità di questa regione martoriata e fragile. Rafforzerebbe il sentimento di ingiustizia, aggraverebbe le tensioni e rischierebbe di aprire la strada ad altri conflitti (…)
Dieci giorni fa, il Segretario di Stato americano, Mr. Powell, ha parlato di presunti legami tra Al-Qaeda e il regime di Baghdad. Allo stato attuale delle nostre ricerche e informazioni condotte in collaborazione con i nostri alleati, nulla ci consente di stabilire tali collegamenti. D'altra parte, bisogna prendere la misura dell'impatto che un'azione militare attualmente contestata avrebbe su questo piano. Un simile intervento non rischierebbe di aggravare le fratture tra le società, tra le culture, tra i popoli, fratture di cui si nutre il terrorismo? (…)
In questo tempio delle Nazioni Unite, siamo i custodi di un ideale, siamo i custodi di una coscienza. La pesante responsabilità e l'immenso onore che ci spetta devono indurci a dare priorità al disarmo in pace.”
Da notare la fermezza e il coraggio con cui smonta le falsità del Segretario di Stato USA, Colin Powell. Falsità ammesse, parecchi anni dopo, dallo stesso Powell: “Lo rimpiangerò sempre. È stato un terribile errore da parte nostra e della comunità dell’intelligence… Vorrei che fosse stato diverso, vorrei avere più tempo. Forse se avessi avuto un’altra settimana o due il mio istinto avrebbe capito tutto o sarebbe stato in grado di fare un ulteriore controllo, ma non ho avuto tempo. Ma non sto cercando una scusa”.
Ma anche l’Italia, nella sua storia, è stata capace di andare contro il volere degli Stati Uniti.
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Nel maggio del 2019, il governo dell’autocrate venezuelano Nicolas Maduro fu vittima di un tentato colpo di stato da parte di Juan Guaidò, presidente dell’assemblea nazionale, supportato e finanziato dalla CIA. La maggior parte dei governi occidentali riconobbe legittimo il riconoscimento di Guaidò quale nuovo Presidente del Venezuela. Gli unici paesi a non volere riconoscere un governo golpista furono l’Italia, all’epoca guidata da Giuseppe Conte, e lo stato del Vaticano.
Il Premier spiegò le ragioni del mancato riconoscimento: “il governo non riconosce Guaidò quale presidente non solo per ragioni di ordine giuridico-formale, ma anche perché consapevole del rischio di contribuire alla radicalizzazione delle rispettive posizioni, favorendo la spirale di violenza. Non siamo rimasti tuttavia passivi", aggiunge: "Ci siamo attivati su vari fronti, a partire da quello internazionale, promuovendo una soluzione pacifica con libere elezioni presidenziali, condannato fermamente qualsiasi escalation di violenze e abusi, l'Italia è parte attiva del Gruppo di Contatto, e non siamo stati fermi neanche sul piano degli aiuti concreti nei confronti della popolazione".
Ma ormai l’Italia, nello scacchiere geopolitico, si vede costretta ad interpretare in commedia il ruolo dello Sciuscià, che lustra le scarpe del padrone senza neanche alzare la testa per poterlo guardare in faccia.
Ma gli oppositori della Meloni, politici e giornalisti, non capiscono che finché continuano a darle della “sovranista” e della “populista”, invece di contrastare la sua politica con proposte chiare e lineari, non le faranno perdere neanche un voto?
Autore
Riccardo Maradini
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