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Ed eccomi, ancora una volta, davanti a questa pagina bianca.
Forse tra qualche ora, forse domani, magari tra una settimana – ancora non lo so – con il suo tempo, questo spazio vuoto (bianco) dirimpetto a me si riempirà di lettere, vocaboli, messaggi che, ho fiducia, sapranno dare forma e dignità al tema che abbiamo scelto per questo mensile: la Resistenza.
E no, non è una novità. Ho deciso di partire da una riflessione personale.
Mio nonno – casertano dal cuore caldo e innamorato, spirito tenace e indomito, uomo intelligente – nelle sue lettere scriveva a mia nonna che:
«Resistere al freddo rigido di Milano, e al modo ostile in cui veniamo trattati dai milanesi, non è cosa tanto difficile, quando t'abitui…».
È doveroso ricordarlo, soprattutto a chi non ha parenti che, negli anni Cinquanta, partirono dal Sud per cercare lavoro al Nord: i meridionali, allora, venivano trattati – nella maggior parte dei casi – come oggi vengono trattati gli extracomunitari (migranti): come forestieri indesiderati, come barbari incivili (rozzi, estranei).
Mio nonno prendeva pochi soldi e dormiva in una baracca buia, in fondo al cantiere in cui lavorava.
Aveva il cuore caldo e uno spirito battagliero. Non si è mai lamentato con mia nonna. Non si è mai arreso.
Eppure, a distanza di cinquant’anni, ammette senza imbarazzo, senza disagio, senza vergogna, che la sera – come ogni altra sera – dopo aver scritto una lettera a mia nonna, usciva dalla baracca, andava a sedersi sui gradini del Duomo e piangeva.
A distanza di cinquant’anni, ammette senza timore che, ad un certo punto della vita «M’ero proprio rotto gli zebedei! Non ce la facevo più a fare lo schiavo!».
E allora si è messo in proprio, insieme ai suoi fratelli «E ho trovato la libertà, Alessandro. Con sacrificio, con dedizione, con impegno. Ma l’ho trovata».
Quella libertà conquistata, per me, è ciò che chiamo una Resistenza attiva.Ed è proprio partendo da qui che sento il bisogno di dire che l’esperienza di mio nonno, in fondo, mi riguarda...
Innanzitutto perché, anche io, come lui, sono innamorato. Della vita e di tante altre cose e persone.
Anche io, come lui, spesso, piango sui gradini del Duomo.
E anche io, da tanto tempo, sto resistendo. E ora, sinceramente, non ne ho più voglia.
Non ho più voglia di resistere all’idea che là fuori non esista ancora una legge che garantisca il salario minimo: un compenso dignitoso, equo e adeguato, per il sudore sulla nostra fronte.
Non ho più voglia di resistere all’idea che non sia mai stata fatta chiarezza sulle stragi di Stato, sul rapimento di Aldo Moro, sulle trattative con la Mafia; che i fascicoli vengano costantemente insabbiati e dimenticati.
Non ho più voglia di resistere all’idea che, in Occidente, Socialismo e Imperialismo si siano davvero mescolati, e che oggi, alla destra, non si opponga più una sinistra reale e coerente.
Non ho più voglia di resistere al timore che, nella mia vita, non vedrò mai un politico protestare per giorni per qualcosa di giusto, come fece Berlinguer davanti ai cancelli della FIAT.
E invece, mi tocca assistere alle immagini della Schlein che balla scatenata sui carri del Pride — mentre ho vecchi amici che muoiono di fame, con gli ospedali che non funzionano, con la salute mentale di noi giovani che crolla, ferisce, degenera.
Sì, continuare a lottare per i diritti civili di tutti è importante — lo è sempre stato — ma continuo a chiedermi come lo stiamo facendo.
Se tutto viene ridotto a immagine, intrattenimento, consumo… che lotta è?
In un’epoca in cui la destra si fa sempre più autoritaria, sempre più vicina agli interessi delle grandi imprese e agli ideali americani, ogni sforzo, oggi, dovrebbe mirare a ciò che è concreto.
Ogni sforzo dovrebbe illuminare, non confondere.
Dovrebbe dare sicurezza, non ambiguità.
Dovrebbe comunicare responsabilità, dignità, serietà.
Perché oggi, forse più di ieri, la resistenza più urgente è quella contro l’insoddisfazione che ci viene servita ogni giorno da una classe dirigente intera, priva di spessore, di visione, di coraggio.
Io resisto scrivendo.
Lotto con le parole, che sono le mie armi. Lotto per un’idea di futuro più bello, più giusto, più umano.
Resisto, e nel farlo, tengo sempre viva la memoria di chi ha dato la vita per la nostra libertà, per questa Repubblica in cui — sulla carta — ogni cittadino ha diritto a un lavoro, a una casa, a una vita dignitosa.
Resisto ricordando la Resistenza partigiana.
Un’opera collettiva e irripetibile, che non va solo celebrata, ma conservata con cura, manutentata ogni giorno, restaurata quando serve.
Come si fa con la Primavera di Botticelli. Come si fa con il David di Michelangelo.
Perché ci sono cose che vanno custodite.
E ci sono battaglie che non possiamo smettere di combattere.
Autore
Alessandro Mainolfi