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Parlare d’amore è la complessa sfida di questo mensile. Il sentimento “che move il sole e le altre stelle” e su cui sono stati versati fiumi di inchiostro. Inutile nascondervi che abbiamo passato le ore a rifletterci e parlarne nell’inutile impresa di definirlo.
In questi lunghi dialoghi è risuonato l’eco di alcune parole che sono irrimediabilmente convinta non c’entrino assolutamente niente con l’amore: gelosia, possesso, dolore. Come si sono infilate nei nostri discorsi? come hanno trovato il loro posto nei nostri pensieri?
Tutto quello che chiamiamo amore tossico di amore non ha niente. Lo stalking, la gelosia costrittiva, la manipolazione e il femminicidio nascono da tante cose, hanno radici in una società patriarcale, nella cultura dello stupro e del possesso, nell'insicurezza, nell’assenza di un’educazione affettiva e la lista continua, ma mai e in nessun caso nascono dall’amore.
Allora perché quando parliamo d’amore inciampiamo in queste parole violente?
La risposta è nei giornali, nei film, nelle serie tv, nei libri che leggiamo, nelle parole che assorbiamo tutti i giorni senza rendercene conto. Mentre scrivo queste righe l’Itali piange Martina Carbonaro, una ragazza di 14 anni i cui sogni e progetti per il futuro sono stati sepolti sotto colpi di pietra.
Davanti a questa brutalità il padre dell’assassino afferma “Mio figlio era innamorato, non ossessionato da lei, vedendo che chattava con un altro, questa cosa l’ha sconvolto”: Il problema non è solo il signor Tucci che deve fare i conti con l'essere stato incapace nell’educare il figlio, nel fargli capire che Martina era una persona e non una sua proprietà, che se l’avesse amata davvero si sarebbe messo il cuore in pace e si sarebbe augurato trovasse la sua felicità altrove. Il problema più grande sono i titoli dei giornali che riprendono queste affermazioni per avere un click in più.
Il titolo di Repubblica recita: “Domenico Tucci, il padre dell’ex di Martina: <<Mio figlio era geloso, non ossessionato. Chiedo scusa>>”. Notate come ci si riferisce all’assassino come ex e non come omicida, notate come lui è Domenico Tucci, lei è solo Martina. Adesso fate un esercizio: pensate ai modi per riportare la notizia, alle mille possibili combinazioni di parole per dire che sta parlando il padre dell’assassino e che colpevole e distrutto dal dolore prova ad assolverlo e quindi ad assolversi. Noterete che citare le sue parole nel titolo è futile e superfluo, potenzialmente dannoso perché nega la verità: lui non l’amava, ne era ossessionato, la vedeva come una sua proprietà e quindi le ha tolto la vita.
Nel 2019 Il Giornale scrive: "Il gigante buono e quell’amore non corrisposto". Questo è il titolo scelto per dare la notizia del femminicidio di Elisa Pomarelli, le parole l’articolo sono ancora più disturbanti, si parte a descrivere la vita dell'aggressore e non della vita che è stata negata, il titolo è corredato da una foto che ritrae vittima e femminicida insieme come se fossero una coppia, cosa che non sono mai stata e che è un’ulteriore violenza mediatica per la donna a cui è stata strappata la vita.
Pensate sia un problema ormai superato o che riguarda solo i tentativi di giustificazione dei familiari della vittima? Aprile 2025, Vanity Fair dedica vari articoli sul femminicidio di Ilaria Sula, tra questi anche uno molto adeguato sul come gli uomini che uccidono non riconoscano le donne come persone, subito dopo ne viene pubblicato anche un altro che verteva sulla vita dell’assassino: sulle sue passioni e i suoi interessi. Ilaria Sula è solo la ragazza che è stata uccisa, viene descritto il modo in cui ha perso la vita, poche parole vengono usate per descrivere chi era quando ancora l’aveva.
Finchè continuiamo a vedere questi uomini come animali, mostri, psicopatici e non come persone con capacità di intendere e di volere contribuiamo ad assolverli, a deresponsabilizzarli. Finché continuiamo a normalizzare comportamenti che sono campanelli d’allarme sarà sempre più difficile riconoscerli. Non mi riferisco a serie tv e libri che volontariamente trattano della violenza di genere, dello stupro e del femminicidio. Mi riferisco alle commedie romantiche, ai romanzi di formazione, ai film di Netflix in cui comportamenti gelosi, possessivi e violenti diventano auspicabili in una relazione.
The kissing booth, il fabbricante di lacrime, shatter me sono solo alcuni dei casi mediatici degli ultimi anni che idealizzano comportamenti abusivi e manipolatori spacciandoli per storie d’amore. Questa tendenza si sta espandendo nei dark romance, un sottogenere che consapevolmente descrive relazioni tossiche e le romanticizza. Libri che se letti da persone giovani, come spesso succede, possono causare dei danni gravissimi nella nostra percezione dell’amore e delle relazioni.
La romanticizzazione delle persone abusive è un tema che viene trattato molto bene in You, la serie Netflix terminata quest’anno. Durante le prime stagioni lo spettatore è portato ad empatizzare con Joe, anche se è un serial killer ed un predatore sessuale. Un’esperienza divisione che porta continuamente a mettere in dubbio la percezione di quello che stiamo guardando. Solo nell’ultima stagione ci viene mostrato il suo comportamento senza il filtro del suo punto di vista, la maschera crolla e ci rendiamo conto di essere state ingannate come le ragazze che ha ucciso. La serie gioca con la consapevolezza di quanto la percezione di questi fenomeni sia distorta anche nella vita reale e arriva a prendere nota delle donne che si innamorano di questi uomini violenti, come le persone che mandavano lettere appassionate a Ted Bundy, affascinate da questo loro lato che continuiamo a raccontare come oscuro, incompreso e tormentato quando è solo violento ed abusante.
Sono arrabbiata con questo articolo perché per una volta potevamo parlare d’amore, di quello vero, che non è sempre facile e bello, ma che se è giusto non lascia ferite se non quelle del cuore quando finisce. Abbiamo bisogno di più esempi di amore sano, libero, genuino, ma finché le narrazioni di massa sono lontane dal descriverlo in questo modo dovremo fare i conti con ciò che amore non è, ma viene spacciato per tale.
Autore
Anna A. Rizzo