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Capitolo
Le ragazze di provincia hanno sogni grandi.
È perché nelle campagne sconfinate, dove le corriere passano ogni 3 ore e non c’è neanche una gelateria, c’è tanto spazio in cui farli crescere.Questo pensava Sole con la fronte attaccata al finestrino di un regionale sgangherato, intravedendo i raggi dell’alba da dietro ai graffiti.
Il suo sogno era quello di scrivere. Da quando aveva imparato a tenere in mano una penna tutto quello che voleva fare era inventare storie, le sentiva affollarsi nella testa. Personaggi, relazioni e sentimenti che non le appartenevano prendevano il sopravvento, quando diventavano troppo assillanti li rigurgitava su carta ma non era mai più di qualche scena, una bozza, non un racconto e di certo non un romanzo e per questo soffriva terribilmente. Sentiva che le sue abilità non erano all’altezza delle storie che voleva raccontare, ma il pensiero di impegnarsi a colmare quella lacuna e riuscire comunque male nel suo intento la terrorizzava.
Non lo avrebbe mai detto a nessuno, ma in cuor suo era convinta che nessun lavoro l’avrebbe resa felice come fare la scrittrice: emozionare le persone con le sue parole, creare mondi in cui le persone potessero rifugiarsi, come tante volte aveva fatto lei nelle parole degli altri. Si sentiva una bambina lagnosa a rimuginare sulla stessa questione per la milionesima volta, senza mai prendere reali decisioni per cambiare quella situazione di stallo, in fondo lei stessa non rileggeva mai quello che scriveva, ed era terrorizzata all’idea che lo facesse qualcun altro, e se nessuno legge quello che scrivi, neanche tu, che senso ha? Quando decidiamo di far uscire i nostri sogni dai cassetti ce ne dobbiamo prendere la responsabilità, sono fragili come castelli di sabbia e se non stiamo attenti, se li prendiamo in mano quando non siamo pronti, rischiamo di rovinarli per sempre. Lei non si sentiva pronta e quindi lo lasciava chiuso a chiave nel suo cassetto, ma un’altra verità sui sogni è che se nessuno li tocca, se li nascondiamo troppo bene dal mondo, marciscono.
Sole alzò gli occhi dallo schermo e sbuffò, si rese conto che anche attraverso i suoi testi era capace solo di lamentarsi, di raccontare le sue paure e di non avere il dono di Elena Ferrante nel renderle universali. Davanti a sé aveva solo la storia di una ragazza su un treno che si lamentava, doveva arrivare qualcuno, rimescolare le carte in tavola, ma chi? Forse un ragazzo di cui la Sole del racconto avrebbe potuto innamorarsi? Certo a lei non sarebbe dispiaciuto se un ragazzo dai capelli corvini le si fosse seduto davanti, magari con un libro in mano, probabilmente di Kundera o Murakami, come avrebbe iniziato la conversazione? <<Anche io amo “l’Insostenibile leggerezza dell’essere”>> probabilmente un po’ banale e da commedia romantica dei primi anni 2000, ma una parte di lei amava crogiolarsi in quelle fantasie.
Forse sarebbe arrivata una signora anziana, le sarebbe piaciuto chiamarla Clotilde, magari avrebbe avuto il tempo di insegnarle qualcosa di preziosissimo nel tempo di un viaggio in treno, facendola scendere da quel vagone diversa da com’era salita, accompagnando l’insegnamento con un momento tenero di quelli che riempiono il cuore e fanno luccicare gli occhi, come solo la gentilezza tra sconosciuti riesce a fare. Forse sarebbe arrivato un bambino che lei avrebbe aiutato a ritrovare i suoi genitori, dando il via ad un un'avventura mozzafiato, o forse si sarebbe seduto davanti a lei un mago gigante, pronto a consegnarle una lettera che le avrebbe cambiato la vita per sempre (il regionale Suzzara - Parma era poi così diverso dall’Hogwarts Express?) Forse la Sole del racconto non avrebbe incontrato nessuno e il treno semplicemente sarebbe deragliato facendola morire prima di aver realizzato il suo sogno. La paura di quell’immagine le fece chiudere di scatto il computer come se avesse visto il treno uscire dallo schermo e arrivarle addosso per davvero. Le sembrava che il ragazzo dai capelli neri, la signora Clotilde, il bambino e Hagrid fossero insieme a lei, in attesa di essere scelti, intorno al tavolo del bar in cui si era rifugiata per scrivere quel racconto che la ossessionava. Era la prima volta che provava a partecipare ad un concorso, un passettino per realizzare il sogno che la accompagnava fin da bambina. Le infinite possibilità la paralizzavano, il mestiere della scrittrice era quello di creare mondi, alcuni lo facevano con la precisione di un architetto, altri intrecciavano trame complesse come tessitori, e lei? Che tipo di scrittrice sarebbe diventata?
La verità è che Sole, la ragazza reale dentro al bar non quella fatta d’inchiostro, su quel treno immaginario non cercava nessuno, solo una risposta: era capace di raccontare una storia? Avevano un valore le sue parole o era il momento di abbandonare quell’illusione?
Riaprì il computer.
Le piaceva guardarsi intorno e chiedersi che sogno avessero i suoi compagni di viaggio, loro non le prestavano molta attenzione, era la condizione ideale per sbirciare e inventare storie che l’accompagnassero nel tragitto per arrivare in università. Una ragazza bellissima era seduta poco distante da lei: la camicia bianca, i capelli ricci raccolti e le labbra truccate di bordeaux le davano un’aria chic ed elegante di chi non ha bisogno di sforzarsi per essere bella. Immaginava lavorasse in un museo d’arte,riusciva a vederla mentre decideva come disporre i pregiati pezzi del deposito, pronta a portarli alla luce del mondo.
Quella ragazza in realtà stava guardando la vera Sole, quella seduta al tavolino del bar che occupava il suo posto da un’ora e mezza e aveva preso solo un caffè macchiato. Iniziò a sentirsi in colpa chiedendosi se avesse dovuto andarsene o ordinare qualcos’altro. Probabilmente quella ragazza si era solo un po’ persa nei suoi pensieri mentre faceva un lavoro che evidentemente non le piaceva e non dava più peso a Sole di quanto ne avrebbe dato ad una mosca, ma una volta che la mente dell’esordiente scrittrice si era fermata sulla possibilità di star dando fastidio non c’era modo di fermarsi, non riusciva ad ignorare la sensazione di essere di troppo. Fece un respiro profondo, una persona che stimava molto le aveva detto che a volte si sentiva così perchè era troppo gentile. Nessuno ce l’aveva con lei ed era solo una ragazza che scriveva in un bar, per l’amor del cielo! Non era certo un crimine, i suoi pensieri vorticosi e le sue ansie inutili avevano ingigantito la situazione come sempre, a volte sembrava volesse scusarsi per la sua esistenza. Si chiese quanto fosse più tranquilla la vita di chi camminava senza curarsi di chi avesse intorno, quelli che non chiedono scusa se ti urtano mentre vanno dritti per la loro strada e che non sentono la necessità di ringraziare il cameriere per ogni sua singola azione. Arrossendo si mise a ripensare quando ad un concerto un ragazzo l’aveva bruciata per sbaglio con la sigaretta e la sua reazione istintiva era stata chiedere lei scusa. La sua insicurezza prima o poi l’avrebbe uccisa.
Si alzò dal tavolo, andò al bancone dalla ragazza con le labbra bordeux e chiese: <<Una svedese con la crema e i frutti di bosco per favore, grazie mille.>> Il sorriso della ragazza le diede il coraggio di chiedere: <<Cosa vorresti fare davvero?>> in fondo, se voleva renderla un personaggio a bordo del suo treno, quella curiosità diventava esigenza professionale.
La domanda bizzarra fece accendere lo sguardo della ragazza, che grazie alla targhetta aveva scoperto si chiamasse Cecilia.
<<L’artista, ma le bollette non si pagano da sole… perchè questa domanda? non pensi che alle persone possa piacere stare dietro al bancone?>>
<< Certo, alle persone, ma non a te, da quando sono entrata ogni volta che pensi che nessuno ti presti attenzione hai lo sguardo perso nel vuoto, come se non fossi realmente qui>>.
<<Vuoi sapere un segreto?>>
<<Certo>> Sole si sentiva elettrica da quella confidenzialità così genuina accompagnata dall’odore di burro e caffè che riempiva il locale.
<<Per i miei quadri ho bisogno di vita vera, di osservare come le persone si muovono, come cambiano i loro sguardi, stare in questo bar mi permette di studiarli, tu vedi uno sguardo distante ma nella mia testa è come se stessi dipingendo chi ho davanti>>
Sole capiva la fame di realtà, conoscerla era l’unico modo per raccontarla. È per questo che preferiva scrivere nei bar che a casa, locali coccola, abbastanza informali da cogliere le persone nella loro vera essenza. Anche lei ogni volta che viveva qualcosa pensava a quando e come l’avrebbe raccontata. Uno dei suoi autori preferiti diceva che il lavoro dello scrittore è quello di vivere, fare un archivio delle sue esperienze e poi andarle a ripescare, una storia che non affonda in emozioni vere, pensieri concreti e situazioni reali è rarefatta, fumosa, non serve a niente.
<<Tu cosa stai scrivendo?>>
<<io sto studiand… Sto scrivendo un racconto>> pensò che se Cecilia si era fidata abbastanza da dirle il suo sogno anche lei le doveva onestà, e non la solita bugia che rifilava a chiunque le chiedesse perché passasse così tanto tempo attaccata al computer.
<<Di cosa parla?>>
<<Ancora non lo so bene neanche io, ma c’è un personaggio che ti somiglia>>
<<Scrivi una grande storia allora, e io ti metterò in un mio quadro>>
<<Affare fatto>>
<<Ricorda che a volte l’importante è finire, non cosa pensano gli altri, dimostra a te stessa che sai farlo, il resto verrà da sé>>
<<Grazie>>
Tornò al suo tavolo ricaricata di una nuova energia, sembrava che la nebbia di pensieri che aveva in testa si fosse schiarita. Continuò a scrivere per giorni, tornando sempre nello stesso bar, ripetendosi le stesse parole: “L’importante è finire, dimostralo a te stessa” . Pensava spesso a quel breve scambio tra anime affini, narratrici della realtà, e alla sicurezza che le aveva dato. Solo dopo aver messo il punto al suo racconto e averlo inviato alla casa editrice che doveva valutarlo, si azzardò a chiedere dove fosse Cecilia, adesso che aveva raggiunto il suo scopo ne era fiera e voleva condividerlo con lei, che senza saperlo le era stata indispensabile. Il cameriere non disse niente dopo la sua domanda, Sole iniziò a pensare che non l’avesse sentita e invece, dopo un sospiro, da sotto al bancone tirò fuori una gazzetta risalente alla settimana scorsa. Le parole grandi e lapidarie sulla prima pagina recitavano: “Muore a 22 anni investita da un bus”.
A Sole cadde il giornale dalle mani, mentre le lacrime le rigavano le guance. Avevano parlato solo una volta ma in quel legame aveva trovato la ragione per portare avanti la sua storia, si era riconosciuta in Cecilia che sicuramente con più sicurezza di lei portava avanti il suo sogno, trovando l’arte anche in un lavoro che non le piaceva.
Con il cuore pesante uscì dal bar, non vi tornò mai più.
Solo molti, moltissimi anni dopo, quando i capelli di Sole erano diventati ormai bianchi e camminava a testa alta, orgogliosa di vedere i suoi libri nelle vetrine, ebbe modo di rincontrarla in qualche modo. Capitò per caso in una galleria d’arte piccolissima e all’improvviso si vide, cinquant'anni più giovane davanti al computer in un bar dai mobili in legno scuro, alle prese con il suo primo racconto. Le pennellate cariche le avevano donato una dolcezza al viso che non si era mai riconosciuta, come se prima d’ora non si fosse mai vista veramente, ma i suoi occhi si riempirono di lacrime solo quando vide la ragazza al bancone, che dietro la schiena nascondeva dei pennelli.
Non sapeva come, ma Cecilia era riuscita a mantenere la sua promessa.