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Ormai chi ci segue sa fin troppo bene cosa gli si presenterà davanti una volta aperto il nuovo mensile di Punto e Virgola: dalla primissima edizione di febbraio, il via alle danze è sempre stato dato da una lettera della redazione che cercasse di introdurre un tema toccato dalla quasi totalità degli articoli. E siccome ciascuna produzione editoriale sorge dall’incontro- e talvolta dallo scontro- di esigenze, interessi e riflessioni riportate nelle nostre assemblee, la funzione principale di questo testo introduttivo è quella di farvi entrare nel “backstage” di Punto e Virgola.
Coerentemente coi nostri principii valoriali, che ci impongono di tirare il freno alla sovrinformazione per oltrepassare la superficialità delle cose, poniamo al centro delle nostre edizioni una ed una sola parola, come se essa fosse il tronco di un grande albero da cui spuntano rami di altre parole, di altri concetti che danno poi vita ai singoli articoli.
Immaginate, dunque, questo giornale come un albero in fiore che abbiamo continuato ad innaffiare durante le nostre riunioni.
Non solo per approfittare del bel tempo che maggio ci ha offerto, ma proprio per trarre ispirazione dal mondo vegetale, ci siamo ritrovati a costruire e ad alimentare l’albero del presente mensile nei parchi della nostra città. Sarà stato merito del verde sullo sfondo delle nostre assemblee; sarà stato merito della sempre più stretta confidenza che abbiamo costruito nel corso dei mesi; sarà stato merito dell’inaspettato affetto di un sempre crescente numero di lettor*; non lo sappiamo con certezza, ma questa volta qualcosa ci ha mossi a coltivare non uno, ma ben due alberi. Quello dell’Amore e quello della Cittadinanza.
Son due concetti davvero ampi, impossibili da inquadrare una volta per tutte. A prima vista potrebbero sembrare piante appartenenti a specie diversissime- una alla sfera intima, l’altra a quella pubblica. Eppure, sono due nomi che denotano uno stesso desiderio: appartenere. Essere parte di qualcosa che ci accoglie, ma che richiede anche la nostra cura. Parlando per sommi capi, amare non è solo un moto dell’anima verso l’altro; è una forma di dedizione, di presenza silenziosa ma costante. Così è anche l’essere cittadini. Non bastano i documenti, non bastano le leggi: la cittadinanza vera nasce quando ci sentiamo responsabili del destino altrui, oltre che del nostro. A rifletterci bene, tanto in qualsiasi forma d’amore, quanto nell’idea di *civitas -*qualunque sfaccettatura le si voglia dare- ogni gesto, ogni parola, ogni silenzio costruisce (o indebolisce) il tessuto di comunione a cui apparteniamo -ove per “comunione” intendiamo la messa in comune, la condivisione, insomma la compartecipazione-.
Perché in fondo essere cittadini, come amare, è un atto di scambio, di rispetto e di fiducia. Perché persino la cittadinanza è un atto d’amore: verso chi ci è prossimo e anche verso chi non conosciamo.
In altri termini, non si è davvero cittadini se non si è capaci di amare.
L'amore di cui tratteremo non va inquadrato unicamente in un'ottica di coppia, né solo legato al valore della cittadinanza, ma va inteso in senso lato. Beninteso, non vogliamo scimmiottare le note sdolcinate di una love story, ma ci premeva soprattutto ribadire la necessità di amare; amare sempre e comunque; amare chi si vuole; amare cosa si vuole; amare a qualunque costo; amare la bellezza fragile delle imperfezioni, il disordine creativo, la fatica dei compromessi; amare anche quando è scomodo, quando sembra inutile.
Come ci son venuti in mente tali temi?
Forse le due orbite attorno cui gravita il satellite di questo mensile sono dovute alla grande incombenza di questi giorni: il referendum abrogativo- nella fattispecie il quinto quesito, quello riguardante la cittadinanza-.
Ci siamo resi conto di avere fra le mani uno degli strumenti più preziosi che la nostra Costituzione ci consegna: la possibilità, data al popolo, di cancellare una legge votata dal Parlamento. Non è una formalità, né un’appendice burocratica; ma è segno di una democrazia che respira e che evolve.
Da quando è stato indetto, si discute poco del referendum, se ne parla sommessamente, quasi con imbarazzo. Anzi, non se ne vuole proprio parlare! Questo silenzio non è certo in buona fede: ha tutta l’aria di un atteggiamento ademocratico e antidemocratico. Ma diciamolo pure, ché non abbiamo paura, non dobbiamo averne paura: è un vero e proprio atteggiamento fascista!
Tutte e cinque le questioni sul tavolo toccano direttamente la vita delle persone. Pertanto, il mutismo attorno a questi temi è sintomo di una democrazia stanca, quasi disamorata. Serve una scossa, un gesto di rinnovato affetto per il nostro vivere insieme. Quel gesto è andare a votare.
Votare non è solo mettere una croce su una scheda: seppur talvolta possa sembrare che il nostro voto sia una goccia in un mare, è proprio da quelle gocce che nasce l’onda del cambiamento.
Allora facciamolo, questo gesto semplice ma potentissimo. L’8 e il 9 giugno, andiamo a votare. Facciamolo per senso civico, certo. Soprattutto, facciamolo per amore.
Prima di lasciarvi agli articoli, ci piacerebbe chiudere ad anello questa lettera. Allora torniamo ai nostri alberi...
I semi da cui hanno origine vengono irrorati e nutriti da acque molto particolari: le domande. In un mondo che ciecamente ci impone dogmi ideologici, ci dice cosa fare, cosa pensare e come comportarci; in un mondo di cui già Pasolini denunciava l’impoverimento del linguaggio e – di conseguenza- del pensiero, riteniamo necessaria la messa in dubbio di tutte le false certezze propinateci dai media.
Ebbene, ci siamo chiesti che significato abbia per noi, l’amore; poi ci siamo domandati come venga trattato dai mezzi di comunicazione di massa. A tal proposito, non abbiamo potuto non constatare quanto troppo spesso questo sentimento venga accostato ai delitti più atroci. È delirante e inaccettabile che tanti parlino dei femminicidi in termini di “delitti d’amore”, che dell’amore, invece, non manifestano nient’altro che l’assenza.
Da lì ci siamo interrogati intorno al motivo per cui ancora esistano queste alienanti narrazioni sull’amore e sui femminicidi, giungendo alla conclusione che, in qualità di giornale- e quindi in qualità di mezzo di informazione- Punto e Virgola abbia il DOVERE di **lottare contro un tale folle accostamento, che continua pericolosamente a giustificare un atto immondo.
Il tutto ci ha condotti verso più larghe riflessioni sul patriarcato, sulle sue declinazioni e sulla sua origine, che abbiamo individuato nel senso lato e sempre marcio del potere.
Ora che vi abbiamo resi partecipi delle nostre intenzioni in questo senso, vogliamo bagnare anche voi con le gocce delle domande, senza propinarvi sentenze né certezze- altrimenti scadremmo al pari di coloro che pretendono di parlare dal pulpito di una fantomatica verità.
Allora non possiamo che chiedervi, con Vinicio Capossela: che coss’è l’amor?
Autore
Niccolò Delsoldato