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Immaginate per un attimo il Giardino dell’Eden. Un luogo simbolico, al di fuori del tempo, dove le persone convivono in armonia, dove l’amore non conosce pregiudizi e le differenze — sociali, culturali, ideologiche — non sono motivo di divisione ma ricchezza. Un sogno, forse. O meglio, un’utopia a cui abbiamo smesso di aspirare. Nel 2025, in un mondo iperconnesso e tecnologicamente avanzato, ci si aspetterebbe di vedere una società più consapevole, più evoluta. E invece, ogni giorno, ci ritroviamo a fare i conti con gli stessi drammi: femminicidi, violenze, discriminazioni. A parole cerchiamo di essere più civili; nei fatti restiamo inchiodati allo stesso punto. Ci si indigna sui social, si scrivono hashtag, si illuminano palazzi. Ma la realtà è che l’odio continua a serpeggiare, spesso mascherato da “difesa dei valori” o, paradossalmente, da forme distorte di amore. In questo scenario, anche la musica — che dovrebbe essere veicolo di coscienza, libertà, unione — sta tradendo in parte il suo compito. Alcuni artisti, oggi idolatrati da milioni di giovanissimi, veicolano messaggi tossici e superficiali. Nei testi si esalta la violenza come forma di rispetto, si confonde il possesso con l’amore, si misura il valore personale in base alla ricchezza ostentata. Canzoni che sembrano più spot pubblicitari per un culto dell’apparenza che manifesti culturali. C’è una responsabilità, ed è collettiva: dei media che li promuovono, delle piattaforme che li premiano, ma anche di un pubblico che raramente si ferma a riflettere sul significato di ciò che ascolta. E così, mentre il mondo continua a ripetersi negli stessi errori, anziché muovere “un piccolo passo”, come quando da bambini si giocava alla campana nel cortile, restiamo immobili. Fermi nello stesso cerchio. A riprodurre, inconsapevolmente, gli stessi modelli distruttivi. Ci sono artisti, certo, che provano ancora a lanciare messaggi di empatia e consapevolezza. Ma la loro voce spesso si perde nel frastuono del mercato, nel volume delle hit vuote e ripetitive che dominano classifiche e algoritmi. In un’epoca in cui tutto sembra a portata di mano — diritti, informazioni, possibilità — ciò che sembra davvero mancare è la volontà di cambiare rotta e provare a fare un qualcosa di nuovo. Di ricercare, almeno idealmente, un nuovo Eden. Non per fuggire dalla realtà, ma per provare a costruirne una migliore. E allora, forse, sarebbe ora di dire davvero “Non all’amore” che giustifica il possesso, “Non al denaro” che misura l’identità, e “Sì” a un nuovo modo di stare al mondo. Dove l’arte educhi, non seduca. E dove la musica torni a suonare per unire, non per dividere.
Autore
Pietro Intini