2
“Oggi è sabato e forse è un giorno speciale “, diceva Pino Daniele in una sua celebre canzone. Per me, lo è sicuramente da qualche anno, da quando ho iniziato a frequentare le scuole superiori e il sabato significava non andare a scuola. Da allora, è cominciata una routine che rispetto sempre. Con il passare del tempo, anche se alcune persone care non ci sono più, cerco di mantenerla viva, come uno spartito di Beethoven o Mozart che uno studente di pianoforte non smette mai di studiare al conservatorio.
Dov’eravamo rimasti? Ah sì, al sabato: quel giorno in cui ci si può rilassare, divertire, organizzare una gita al mare o un’escursione. Per me è speciale. Qualche sabato fa, mentre mi apprestavo a seguire la mia solita routine, mi trovai davanti all’edicola per comprare il giornale a mia nonna. Avevo i soldi in mano, come un mendicante in cerca di qualche spicciolo per comprare l’acqua.
Entro, e tra i tanti titoli in bella vista, ne noto uno in prima pagina: un articolo contro i giovani, definiti “incivili”. Incuriosito, inizio a leggere. Voglio capire cos’altro si dice su di noi, ragazzi di oggi – non quelli di Miguel Bosé, quelli erano gli anni ‘80, quelli che volevano riprendersi il mondo dopo il ‘77.
Mi scuserà il lettore se divago, ma – come si suol dire – il meglio deve ancora venire.
Dicevamo… Dopo aver letto l’articolo, il giornalaio mi chiede se volessi acquistarlo. Alzo lo sguardo, ancora assorto dalla lettura e stupito da come l’articolo fosse pieno di accuse ma privo di soluzioni concrete. Rispondo di no, che prendo solo il solito giornale per mia nonna.
Uscendo dall’edicola, mi incammino tra le vie del mio amato paese – quello in cui ognuno di noi custodisce nel cuore le proprie “chiavi”. Mi fermo su una panchina, sotto un alberello, per riprendermi dal caldo afoso che sta divampando in questi giorni. Accanto a me siede un signore, probabilmente un pensionato. Anche lui sta leggendo il giornale: proprio quello dell’articolo. Lo osservo con la coda dell’occhio, pronto a sentire le solite frasi di rito: “Non c’è più religione”, “Ci vorrebbe il servizio militare obbligatorio” …
E invece, con mia sorpresa, chiude il giornale, mi guarda, sorride e mi dice – nel dialetto della nostra terra – qualcosa che mi lascia spiazzato:
“Ecco qua, la solita storia. Sempre lo stesso modo di prendersela con i giovani… ma molti si dimenticano che sono stati ragazzi anche loro.”
Resto colpito da quelle parole. Iniziamo a parlare. Discutiamo di come, in fondo, ogni generazione abbia criticato quella successiva. Di come spesso i “grandi” non si sforzino di capire i giovani, di ascoltarli o aiutarli a diventare uomini e donne del presente e del futuro. È un ciclo che si ripete, come in una caccia al tesoro in cui, alla fine, il tesoro sembra non esserci, perché si ritorna sempre al punto di partenza.
Ciò che mi colpisce di più nel discorso di Giuseppe (nome di fantasia, per rispettare la sua privacy) è l’amarezza sincera con cui ammette che sperava che con il passare del tempo le cose sarebbero cambiate.
“Pensavo che negli anni si sarebbe costruito un nuovo modo di comunicare tra giovani e adulti… e invece siamo stati noi adulti a smettere di capire. Non è colpa di internet o dei telefonini. È che abbiamo smesso di ascoltarvi.”
Parole forti. Parole vere.
E allora sì, forse sta proprio a noi giovani continuare a farci sentire, con rispetto, ma con determinazione. Dobbiamo farci ascoltare, affinché nessuno resti indietro, e tutti possano salire – metaforicamente – sulla barca di Noè, verso nuovi orizzonti. Perché non siamo incivili. Siamo il risultato di come siamo stati cresciuti, educati, ascoltati.
Mentre la nostra conversazione si avvia alla conclusione, mi viene in mente una frase di una canzone:
“L’utopia è rimasta, la gente è cambiata. Ora la risposta è più complicata.”
Ma subito dopo mi dico: no, la risposta non è complicata. Siamo noi che ce la complichiamo. E allora, a noi giovani spetta l’onore – e l’onere – di prenderci il mondo. Di aiutare chi si è perso. Di provare a renderlo, questo mondo, un posto migliore.
Sarà pure utopia… Ma intanto, beviamo: il tempo è tutto da bere. E partiamo, affinché le ragazze e i ragazzi di oggi e di domani possano finalmente liberarsi da quella macchia che – da secoli – sporca e ostacola ogni nuova generazione.
Autore
Pietro Intini