Per la prima volta a Parma, il circo varca la soglia del teatro.
Sabato 13 settembre, al “Teatro al Parco”, il palcoscenico si è trasformato in un cabaret di meraviglie, dove numeri inediti hanno intrecciato l’incanto circense con l’intimità della scena teatrale.
L’atmosfera è quella dei ruggenti anni Venti: scintillii di magia, eleganza e vertigine. Il pubblico non è spettatore passivo, ma parte di un affresco che prende vita sotto i suoi occhi. Lo ricorda subito il direttore, con parole che sono al tempo stesso monito e invito: «Niente telefonini: lo spettacolo si registra con il cuore, non con la tecnologia. I primi applausi ve li abbiamo rubati, i prossimi ce li guadagneremo. E, soprattutto, guardateci negli occhi oltre la performance: è la passione ad animarli».
Così la musica dà inizio al viaggio: la batteria pulsa come un cuore e accompagna la serata dall’alba al tramonto. Presto, le bottiglie di champagne sui tavoli si trasformano in birilli che danzano leggere tra le mani dei circensi. I corpi di altri due artisti, un uomo e una donna, invece, diventano pennellate mobili: raccontano una storia d’amore fatta di inseguimenti e distacchi, di incontri e abbandoni, attraverso acrobazie e ardite verticali. Poi il giocoliere, le cui mani magnetiche catturano e respingono palline “luminose”, in un gioco di respiri e sospensioni: sembrava che il moto degli oggetti sferici fosse attratto per necessità dalla maestria esercitata dall’artista, e non il contrario. Il momento più alto – in tutti i sensi – è però quello dell’equilibrista: una «tigre maestosa», (così l’ha definita infatti lo stesso direttore dello spettacolo) che coinvolge e quasi divora il pubblico, scegliendo due spettatori come assistenti per sfidare insieme la fune sospesa, tra risate e puro divertimento. La serata continua con i giri ipnotici della grande ruota, che l’artista anima senza sosta, entrando e uscendo da essa come se fosse parte del suo stesso corpo. Infine, tornano i birilli: tracciano cerchi nell’aria, sfidano la gravità e chiudono lo spettacolo lasciando negli occhi degli spettatori la meraviglia delle altezze raggiunte. Ma sono i piccoli errori a impreziosire l’intero spettacolo: alcuni ostentati, quasi giocosi, altri più impercettibili, ma tutti capaci di trasformarsi in segni vivi di verità. In essi si rivela la reale natura della scena: spontanea, pura, possibile. È lì che la perizia tecnica incontra la leggerezza del divertimento genuino, e da questa fusione nasce un incanto meraviglioso, capace di strappare sorrisi continui e, al tempo stesso, di generare silenzi sospesi nello stupore, perché è nel silenzio che «si sente il cuore che batte e la vita che scorre».
Quando cala il sipario, resta negli occhi la sensazione di aver assistito a qualcosa che supera la somma dei singoli numeri. Non un semplice spettacolo, ma un rito collettivo: il circo che diventa teatro, e il teatro che, per una sera, si fa sogno individuale e collettivo. È proprio il sogno, nella parte finale, a salire sul palco come autentico protagonista. Lo dichiara il direttore nel suo discorso conclusivo, e lo confermano, come in un coro silenzioso, tutti gli artisti che lo hanno accompagnato. È un inno che raccoglie in sé l’essenza dello spettacolo: senza sogni l’essere umano rimane incompiuto, incapace di dare forma al proprio destino. Solo inseguendoli, con tenacia e abbandono, l’individuo può scoprire la propria dimensione, riconoscere la propria umanità, respirare quel soffio vitale che lo lega all’Universo. Un monito che non lascia spazio alla resa: custodisce invece la forza della speranza, e affida al libero arbitrio l’arte più grande, quella di continuare a scegliere la vita come atto di coraggio e desiderio.
Autore
Clara Dall’Aglio
Samuele Castronovo
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