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Cos’è un comunicatore? Se vogliamo definire comunicatore chi riceve piena approvazione e consenso da parte del pubblico, allora il fotografo Oliviero Toscani, uno dei più importanti comunicatori nel panorama globale dell’ultimo ventennio, non rientrerebbe in questa categoria. È dunque cruciale, prima di leggere quanto scritto, rivalutare il concetto di comunicazione, ponendolo sotto una lente macroscopica capace di vederne il senso letterale nei suoi minimi particolari. Se vogliamo intendere come comunicatore colui che si presenta con intenzioni di pura divulgazione, colui che non raccoglie, ma che semina, allora possiamo prendere in esame la figura di Oliviero Toscani.
A Ponzano, il 7 gennaio del 2000, all’alba del nuovo millennio, viene pubblicata la nuova campagna pubblicitaria di Benetton. Toscani decide di affidarsi per la realizzazione degli scatti alla dissonanza semantica, un concetto fondamentale nelle sue opere, fulcro della loro funzione comunicativa. Essa prevede un semplice gioco di frizione: due campi semantici, all’apparenza inconciliabili, vengono accostati l’uno all’altro. Ed è in questa tensione che nasce la campagna We, On Death Row.
Ventisei ritratti di prigionieri nel braccio della morte negli USA. Ogni scatto viene corredato di nome e data di esecuzione del detenuto. Una campagna che per ovvi motivi non passa inosservata. Viene pubblicata su Billboard e sulle riviste principali in Europa, Asia e America, innescando un dibattito mediatico globale. Chi non ha lasciato sicuramente indifferente sono state le famiglie delle vittime e i governi, lanciando diverse accuse riguardo al fatto che la campagna “glamurizasse” o umanizzasse troppo i criminali. A causa delle numerose controversie, nello stesso anno il sodalizio Toscani-Benetton si interrompe, e il fotografo è sostituito dal suo collaboratore Paolo Landi.
Analisi figurativa e plastica
I colori appaiono spenti e poco saturi, dominati da tonalità grigiastre e verdastre, che ricalcano simbolicamente l’idea di marciume e decadimento. Utilizzando la tecnica fotografica della profondità di campo ridotta, i soggetti in posizione centrale sono perfettamente a fuoco, mentre lo sfondo rimane sfumato. Lo sguardo dell’osservatore viene direzionato grazie allo spazio negativo che focalizza l’attenzione sul volto dei protagonisti, enfatizzandone l’umanità.
I prigionieri sono ripresi a mezzo busto in diverse posizioni: c’è chi viene ripreso frontalmente, chi di tre quarti e chi di profilo. Ciò che però non subisce alcun tipo di variazione è lo sguardo, acme di questi scatti, che rimane fisso e diretto verso lo spettatore. Se lo «sguardo è sempre visione e visuale» (Pinotti; 2024) è necessario dunque prendere in considerazione in questo rapporto chi osserva, tanto quanto cosa osserva. Giunti a questo punto viene naturale porsi una domanda: chi è allora il vero osservatore? È lo spettatore che osserva l’immagine o è l’immagine stessa ad osservarlo?
Come teorizzato da W. J. T. Mitchell (2005), uno dei massimi studiosi di visual culture, le immagini non sono passive, ma sono dotate di agency, capaci quindi di agire direttamente sullo spettatore. Vengono considerate dunque come esseri viventi dotate di desideri e volontà, vogliono qualcosa da noi, che siamo i loro osservatori. Lo sguardo placidamente diretto dei soggetti produce un’interpellazióne attiva: lo spettatore non può restare neutrale, ma è costretto coattivamente a confrontarsi con il proprio disagio e turbamento emotivo.
Nell’area inferiore degli scatti, sotto al viso dei prigionieri, è possibile leggere la headline dell’annuncio che recita Senteced to Death – Condannati a Morte. Toscani non lascia alcun margine di fraintendimento all’osservatore e grazie all’apparato testuale ci dichiara esplicitamente chi sono i protagonisti dei ritratti. Ciò viene comunicato non solo dal significato letterale, ma anche dalla rappresentazione grafica della frase. Il font utilizzato è privo di grazie e le proporzioni sono condensate, in questo modo viene garantita maggiore densità visiva. Il peso tipografico scelto è imponente e perentorio, riflettendo e amplificando il peso concettuale della frase. La parola Death della headline introduce sulla destra il body copy che riporta diverse informazioni personali dei protagonisti, la più rilevante: la data di esecuzione della sentenza di morte. A completare la composizione vi è l’inconfondibile logo Benetton, la cui presenza genera un forte contrasto semantico.
Analisi critico-interpretativa
La natura indessicale della campagna è strettamente legata alla realtà della pena di morte negli Stati Uniti. Mentre Oliviero Toscani scattava i ritratti, in 38 stati degli USA la pena capitale era legale, con stati meridionali come il Texas e l’Oklahoma particolarmente attivi nell’applicazione. Così come l’etica gioca un ruolo significativo nella valutazione di questa norma giudiziaria, altrettanto rilevante è il suo ruolo nella modalità con cui il tema viene trattato. All’apparenza, Oliviero Toscani non si è posto alcun problema a riguardo. Eseguendo un’attenta osservazione, possiamo invece comprendere come la campagna sia stata costruita con l’obiettivo di sfidare le norme dell’etica sociale. Nel momento in cui il logo commerciale, elemento identificativo dell’agente comunicativo e merce di scambio, viene sovrapposto ai ritratti si produce un forte scarto semantico e culturale. Questo tipo di pubblicità rientra nella categoria dello shock advertising, dove l’uso di immagini fortemente provocatorie, in grado di suscitare reazioni come lo shock, favorisce il processo di memorizzazione. Vengono innescati cortocircuiti di senso e fraintendimenti capaci di mettere a disagio, invece di creare consenso: un inquietante incanto a cui non ci si può sottrarre.
La scelta dei protagonisti e la composizione fotografica sfidano l’osservatore a porsi delle domande capaci di suscitare delle controversie: è eticamente giusto utilizzare il volto di condannati a morte per sponsorizzare un brand? Se si ritiene che sia giusto applicare la pena di morte, perché dovrebbe essere sbagliato mostrare il volto dei condannati? Ed infine: quale messaggio intende trasmettere questo annuncio pubblicitario?
Per trovare risposta a queste domande bisogna partire dallo studio fatto dalle visual studies. A lungo si sono poste la questione se l’immagine funzionasse solo come “voce” che umanizza e spinge alla riflessione, o se fosse un mero oggetto consumato dal mercato pubblicitario.
Nel saggio Davanti al dolore degli altri la scrittrice Susan Sontag analizza criticamente come le immagini, grazie alla loro funzione di agency, siano capaci di stampare l’orrore della morte nella mente degli osservatori. Spiega come queste non siano mai neutre, ma capaci di plasmare la risposta emotiva e morale dello spettatore. Lo sguardo calmo dei condannati non rappresenta l’atto violento dell’esecuzione, ma l’umanità dei soggetti. Analizzando il fenomeno dell’ipersaturazione, Sontag osserva come l’esposizione continua di queste immagini di sofferenza possa avere degli effetti contrastanti: da un lato stimolano la riflessione e l’empatia, mentre dall’altro ottengono l’effetto contrario, anestetizzando lo spettatore, riducendo la sua capacità di reagire.
«To take a photograph is to participate in another person's mortality, vulnerability, mutability. Precisely by slicing out this moment and freezing it, all photographs testify to time's relentless melt. » (On Photography, Sontag, 1977).
Lasciato culturale
Come osserva il filosofo italiano Andrea Pinotti, un tempo la rappresentazione figurativa si manifestava in funzione della realtà, mentre ora è la realtà stessa a diventarne la riproduzione (Il primo libro di teoria dell’immagine, 2024, p.155). I ritratti dei condannati a morte non si limitano a documentarci una realtà già data, ma strutturano la percezione della pena capitale. Toscani ci offre una costruzione intenzionale di un’immagine eticamente e culturalmente potente.
Oliviero ci lascia il 13 gennaio del 2025, cedendo un’eredità significativa sullo studio della pratica del brand come fonte di critica sociale. Se oggi le marche sono definibili come «soggetti dalla natura totalmente comunicativa» (Codeluppi, 2019) è anche grazie al suo operato. La sfrontata gestione delle campagne pubblicitarie ha rafforzato la funzione narrativa dei brand. Ora non è più il prodotto dell’azienda a dare fiducia, ma la sua capacità di raccontare una storia e costruire un’identità attraverso la differenziazione. Toscani è stato uno dei primi in Italia a cogliere questo cambiamento.
Il suo obiettivo non è mai stato solo quello di vendere capi di abbigliamento. Lo guidava, invece, la volontà di trasformare la comunicazione commerciale in un linguaggio culturale. Un linguaggio capace di valicare i recinti della narrazione etica, pungendo l’epidermide dell’esperienza individuale e collettiva.
Bibliografia
Codeluppi, V. (2019). Il capitalismo estetico. Studi culturali. https://www.jstor.org/stable/26840944
Mitchell, W. J. T. (2005). What do pictures want? The lives and loves of images. Chicago: University of Chicago Press.
Pinotti, A. (2024). Il primo libro di teoria dell’immagine. Torino: Einaudi.
Sontag, S. (1977). On photography. New York: Farrar, Straus and Giroux.
Sontag, S. (2003). Davanti al dolore degli altri. Milano: Mondadori.
Autore
Aida Ceci