5
Non chiamatelo Mahatma
Gli oppositori di Gandhi
Il ‘Mahatma’, la grande anima. Viene chiamato così Mohandas Karamchand Gandhi, nato il 2 ottobre 1869 a Porbandar, nell’allora India Britannica. Si devono a Gandhi le proteste pacifiche odierne,lo sciopero della fame e il dissenso in forma di disobbedienza civile sono sue altre eredità. È celebre la marcia per raccogliere il sale - direttamente con le proprie mani - come gesto simbolico per non pagare la tassa imposta dall’Impero britannico che ne deteneva il monopolio. Il Mahatma fu da esempio a noti personaggi della storia nera come M.L. King e Nelson Mandela. Abbiamo avuto un esempio di pensiero gandhiano in Italia con Marco Pannella e le sue lotte radicali. Gandhi, detto anche Bapu, viene ricordato con la sua montatura di occhiali, la veste bianca chiamata khadi e il bastone. In Occidente viene visto come figura santa. Non è così, però, in tutto il globo e soprattutto in India. Chi sono i suoi dissidenti?
L’esperienza africana
Vari popoli africani, ultimamente, hanno voluto togliere la statua del Mahatma dalle università e dai luoghi pubblici. “Era razzista” affermano loro.
Il motivo della loro rabbia risale a quando Bapu ji ottenne come incarico di difendere dei mercanti indiani nel Sudafrica dell’apartheid. Nello specifico riguardava la proposta di togliere il diritto di voto ai pochi ricchi indiani che lo possedevano. Gandhi definì nei suoi scritti giovanili i neri del Sudafrica come kaffir, infedeli. Si tratta di un giovane Gandhi appena arrivato dall’India e che ha a che fare con il razzismo dei bianchi e i pregiudizi di classe e colore del paese d’origine. Nel contrastare il bianco suprematista cercò di dimostrare che, a differenza dei neri, gli indiani avevano un’antica civiltà.
Bhaghat Singh e i suoi compagni rivoluzionari
Se andiamo invece tra i contemporanei ed entriamo nel vivo delle fazioni politiche dell’India dell’epoca, abbiamo in primis il marxista Bhagat Singh e i suoi compagni di lotta armata. Non bastò nemmeno l’arresto e la condanna a morte per impiccagione del ventitreenne Singh per far provare espressivamente empatia da parte di Gandhi nei confronti di questo. La causa indipendentista di Bhagat Singh animò la popolazione intera, il popolo indiano vedeva in lui un eroe. Viene ricordato oggi in India come il martire della patria di cui la figura di Gandhi si è rubata i meriti dell’Indipendenza. Singh - noto per il suo saggio Why I am an atheist e altri scritti in periodo di carcere - pensava che il movimento gandhiano sarebbe finito in un compromesso, senza ottenere molto. Il rivoluzionario marxista e i suoi compagni scrissero chiaramente che non ci sarebbe stato alcun discepolo del ‘Santo Gandhi’. Lo rispettavano per il suo impatto sulle masse e invitavano rivoluzionari a imparare dalla sua capacità di connettersi con il popolo. Ritenevano, però, che gli sforzi del Mahtma fossero inutili e incapaci di portare cambiamento verso l’uguaglianza economica e sociale.
Ambedkar e i dalit (le caste oppresse)
“Gandhi non è mai stato un Mahatma; mi rifiuto di chiamarlo Mahatma”, dice in un’intervista alla BBC del 1955 un certo Bhim Rao Ambedkar,padre della Costituzione Indiana e attivista dei dalit (caste oppresse). “È stato solo un episodio nella storia dell’India, non un creatore di epoche” riferisce in un’altra intervista ancora. Ambedkar definì la filosofia gandhiana come una dottrina pericolosa. La prescrizione gandhiana per una società ideale era l’istituzione di un sistema perfetto di caste. Fino al 1922, Gandhi fu un fervente sostenitore del sistema delle caste. Trovò pure un eufemismo per le caste considerate basse: harijan (la gente di dio). Termine che viene usato da molti, ma ha un sapore di ipocrisia. Veniva glorificata da Gandhi la la casta come responsabile delle durabilità della società hindu, come forma unica di organizzazione, mezzo per fornire istruzione primaria e costruire una forza di difesa. Ma soprattutto era il principio eterno dell’occupazione ereditaria per mantenere l’ordine sociale. mise in guardia contro il gandhismo definendolo “conservatorismo all’eccesso” che “aiuta chi ha, a mantenere ciò che ha e a impedire a chi non ha di ottenere ciò che ha diritto ad avere.” Ambedkar dichiarò che la filosofia gandhiana era adatta solo per la classe agiata e privilegiata, come confermato dallo status sociale degli attuali portatori della fiaccola del gandhismo in India. Ambedkar analizza e conclude che gli ideali di Gandhi sono inadatti alle aspirazioni di una società democratica. Dal suo punto di vista unico di “intoccabile” e di filosofo, Ambedkar accusa le formulazioni gandhiane, fortemente brahminizzate (tipiche della casta superiore, brahmin è la casta dominante culturalmente appartenente ai dotti e ai sacerdoti) e conservatrici. Il conflitto fondamentale tra Ambedkar e Gandhi non è solo personale, ma incarna le profonde linee di frattura di casta che attraversano il tessuto sociale dell’India.
Gandhi fece lo sciopero della fame per i suoi ideali da persona di casta privilegiata e fu così che venne firmato il Patto di Poona del 1932 con cui Bapu ji ottenne il compromesso in cui l’avvocato dei dalit Ambedkar dovette rifiutare all’elettorato con seggi separati per le caste oppresse. Gandhi temeva una divisione tra l’elettorato induista.
L’Indian National Congress di Nehru
Braccio destro di Gandhi nel partito politico National Indian Congress e suo successore, Jawaharlal Nehru fu un socialista democratico che ebbe critiche per il suo leader.
Pur sostenendo la non violenza come strumento strategico, soprattutto nel contesto della lotta per l'indipendenza dell'India, Nehru era anche un pragmatico, convinto che la non violenza non fosse adatta a tutte le situazioni. Nehru sosteneva che, sebbene la non violenza fosse "infinitamente superiore alla violenza", avrebbe scelto la violenza piuttosto che la codardia, e avrebbe consigliato all'India di usare le armi per difendere il proprio onore, se necessario. Considerava la non violenza come uno stato dinamico di sofferenza consapevole, superiore alla forza fisica, ma riconosceva anche la necessità dell'autorità coercitiva dello Stato per mantenere la legge e l’ordine.
"Alcuni dicono che Pandit Nehru ed io ci eravamo allontanati. Ci vorrà più che una differenza di opinione per allontanarci. Noi abbiamo avuto differenze fin dal tempo in cui iniziammo a lavorare insieme ed ho già detto per diversi anni e dico così adesso che non Rajaji, ma Jawaharlal sarà il mio successore” scrisse Gandhi nei confronti del futuro Primo Ministro indiano.
L’ultradestra Hindutva di Savarkar e Godse
Vinayak Damodar Savarkar fu probabilmente il più grande oppositore ideologico del Mahatma Gandhi. Entrambi avevano studiato in Inghilterra e trascorso buona parte della loro giovinezza all'estero, ma le loro idee politiche e nazionalistiche erano profondamente diverse. Il Mahatma Gandhi promuoveva una società inclusiva per l'India. Savarkar, al contrario, non era d'accordo con questa idea. Egli guidò il movimento Hindutva, definendo come hindu ogni indiano che considerasse l'India la propria terra natale e sacra. L’Hindutva è una scuola di pensiero di ultradestra secondo cui l’induismo sia la religione unica dell’India e altre religioni come l’islam facciano parte delle invasioni mongolo-persiane del Subcontinente. Nell’inclusione di Gandhi c’era una India secolare in cui induisti, musulmani e altre minoranze condividevano armonicamente questa terra. Ottenuta l’Indipendenza nel 1947, questo sogno secolare di Gandhi si realizzò, o almeno, non ci fu una deriva ultraconservatrice Hindutva. Questo venne visto come una minaccia per gli induisti dai conservatori come Nathuram Godse, seguace di Savarkar e membro del RSS, un partito paramilitare che prende ispirazione dalla Germania nazista e a cui ha fatto parte pure l’odierno Primo Ministro indiano Modi. Godse fu sostenitore delle lotte di Gandhi, uomo per cui nutriva profondo rispetto, e partecipò ai suoi atti di disobbedienza civile nei confronti dell'invasore britannico: per questo fu anche arrestato, imprigionato e torturato. Tuttavia, dopo la Seconda guerra mondiale Godse accusò Gandhi di sacrificare gli interessi dell'India e degli induisti allo scopo di ottenere il consenso di tutte le minoranze religiose, soprattutto i musulmani. Motivo per cui il 30 gennaio del 1948 lo portò a compiere l’assassinio del Mahatma.
“La luce si è spenta nelle nostre vite e ovunque c'è oscurità. Non so cosa dirvi né come dirlo. Il nostro amato leader, Bapu come lo chiamavamo, il Padre della Nazione, non è più con noi” diceva Jawarlahal Nehru annunciando la morte di Gandhi al popolo indiano.
Oggi Gandhi, per chi lo conosce bene, fa scalpore. È una figura controversa per i suoi esperimenti sessuali in cui metteva alla prova la sua castità andando a dormire nudo con giovani ragazze nude.
Viene ricordato per le sue affermazioni giovani razziste verso i neri, ma dopo il suo ritorno in India dal Sudafrica, Gandhi nel costruire quella che forse fu stata la più grande mobilitazione di massa nella storia della lotta per l'indipendenza indiana, mantenne vivo il suo interesse per il Sudafrica e scriveva spesso dell'oppressione degli africani. Disse: “… proprio come c'è stato un risveglio in India, così ci sarà un risveglio in Sudafrica con le sue risorse di gran lunga più ricche naturali, minerali e umane. I potenti inglesi sembrano proprio dei pigmei di fronte alle potenti razze dell'Africa. Sono nobili selvaggi, dopo tutto, direte voi. Sono certamente nobili, ma non selvaggi, e nel giro di pochi anni le nazioni occidentali potrebbero smettere di trovare in Africa un terreno di scarico per le loro merci”.
Anche Mandela era ben consapevole delle affermazioni razziste fatte da Gandhi quando era giovane. In un articolo del 1995 scrisse:
“Bisogna perdonare a Gandhi quei pregiudizi e giudicarlo nel contesto del tempo e delle circostanze. Qui stiamo parlando del giovane Gandhi, non ancora diventato il Mahatma, quando non aveva alcun pregiudizio umano se non quello a favore della verità e della giustizia”.
Riguardo al suo pensiero sulle caste: “Oggi, non c’è dubbio che abbiamo bisogno di più Gandhi, e ovviamente di più Ambedkar. Abbiamo bisogno di Gandhi per comprendere come funziona una coscienza brahminizzata, indipendentemente dalle sue migliori intenzioni. D’altra parte, abbiamo bisogno di Ambedkar per forgiare strumenti capaci di decostruire e riproporre le tattiche delle forze neo-brahminiche nella lotta contro il mostro dalle tante teste che è la casta” scrive il giornalista Karthik Raja Karuppusamy.
Autore
Prince Singh Pundir