2
Sono le 18:30. Non fa nemmeno tanto caldo, il clima è perfetto per una passeggiata prima di lasciare la mia città. Indosso una maglietta, pantaloncini e scarpe da ginnastica, e con le cuffie nelle orecchie — mentre ascolto un pezzo di Lucio Dalla — mi avvio a fare la mia solita camminata: stessi luoghi, stesso tragitto, stesso passo tranquillo.
Camminando tra quelle vie in cui sono cresciuto, dove da piccolo andavo con mia nonna a comprare il pane, o entravo da solo nel bar per prendermi un bel bicchiere d’acqua fresca, inizio a sentire quel sentimento di nostalgia. Una sensazione di vicinanza a quei luoghi tanto cari, che portano con sé una parte di me.
Continuo a camminare, facendo attenzione mentre attraverso la strada. Mi soffermo a guardare una pizzeria: da bambino ci andavo spesso con mio padre a prendere le pizze da mangiare in famiglia, tra risate e mia madre che mi aiutava a tagliarla per evitare che la mozzarella cadesse ovunque.
Poi arrivo in piazza e vedo tante persone che conosco. Tra una chiacchierata e l’altra, mi ritrovo a pensare a come il tempo passi e a quanti, nel corso degli anni, abbiano lasciato questo paese fatto di trulli e vaste campagne verdi.
Proseguo nel mio tragitto e, passando per il dolce borgo del mio paese, parte nelle cuffie “Sì, viaggiare” di Lucio Battisti. E penso che aveva proprio ragione quel genio del mio amico quando diceva: “Siamo diventati grandi e le nostre abitudini sono cambiate, ma noi siamo sempre uniti.”
Un pensiero che mi fa scendere una lacrima. Perché, mentre percorro questo tragitto prima di partire, sento quel nodo allo stomaco: nostalgia di quei luoghi dove ho visto persone fare i ragionamenti più assurdi, leggere il giornale del paese o raccontare storie di vita quotidiana.
Dentro di me nasce un senso di tristezza, accolto dalla nostalgia. Mi chiedo se ho fatto bene a lasciare questa terra, se sia stata la scelta giusta seguire le orme di tanti ragazzi e ragazze che hanno lasciato la propria casa per cercare nuove opportunità altrove.
Mi fermo a sedere su delle scale per me molto importanti: sono le stesse su cui, da bambino, dopo aver fatto la spesa con mia nonna, mi sedevo a mangiare un panino e bere una Coca-Cola. Seduto lì, i pensieri del passato prendono forma, seguendo il flusso dolce della tristezza.
A un certo punto suona il telefono: è uno dei soliti call center che cerca di vendere la promozione dell’anno. Chiudo la chiamata in modo educato, con rispetto per quelle persone che, pur facendo un lavoro difficile, cercano semplicemente di vivere.
Dopo quella chiamata, mi appare su Instagram una scena di un film. C’è, probabilmente, un nonno che dice al nipote: “Non ti far fregare dalla nostalgia, vai avanti.”
In un primo momento penso abbia ragione. Come ha scritto Seneca nella sua “Brevità della vita”, la vita si vive nel presente, non nel passato.
Ma poi mi fermo un attimo. E, tra le dolci note di “Cara” di Lucio Dalla, penso che in fondo:
“Conosco un posto nel mio cuore, dove tira sempre il vento,
per i tuoi pochi anni e per i miei che sono cento,
non c'è niente da capire, basta sedersi e ascoltare.”
E così ascolto il mio cuore. Anche se ci si allontana e poi ci si ritrova, chiudendo gli occhi per un istante penso:
“Oh Noci, mia bella Noci, sei sempre tu.”
Perché, in fondo, si può girare il mondo e andare ovunque si voglia…
Ma l’importante è avere sempre un luogo da chiamare casa.
E per me quel luogo è, e sarà sempre, Noci, paesino in provincia di Bari tra quei trulli e quelle Gnostre ricche di storia e di racconti.
Autore
Pietro Intini
Potrebbero interessarti:
