Damasco, dove Saulo lo sterminatore di cristiani si convertì nell’accecante bagliore. Damasco, dove tutto ebbe inizio. Damasco, dove il seme della predicazione al mondo gentile fu piantato. Domenica sera, 22 giugno 2025, chiesa greco-ortodossa di Sant’Elia nella provincia di Damasco. La chiesa è gremita di fedeli riuniti in preghiera per la funzione serale: giovani belli come un fiore, bambini con gli occhi speranzosi, chi era andato solamente per accendere una candela, studenti universitari, l’incontro di un’intera comunità per terminare la giornata assieme. Le parole del vangelo del giorno risuonavano ancora tra le mura dell’edificio -seguitemi, vi farò pescatori di uomini- quando, durante la funzione, tre assalitori hanno sparato contro la porta d’ingresso e le finestre della chiesa prima di irrompere. La folla orante e impaurita si è accovacciata a terra per lo più assembrandosi ai gradini dell’altare. Uno dei tre, mentre gli altri due fuggivano, si è fatto detonare con un giubbotto esplosivo mentre alcuni cercavano di spingerlo fuori tra cui i due fratelli Boutos e Geries Beshara (la messa del giorno era a suffragio dello zio della moglie di quest’ultimo). L’attentatore tira fuori dalla giacca una bomba e la innesca, Geries afferra la sua mano e con un calcio lo fa cadere a terra, Boutos lo prende dalle gambe e lo fa cadere di nuovo, ma il terrorista, mostrando il giubbotto, si fa esplodere. I loro corpi smembrati vengono scagliati in aria, laghi di sangue, calce e vetri distrutti è ciò che è rimasto: almeno 25 morti e più di 60 feriti. ACI MENA sostiene che durante la messa fossero riunite quasi 400 persone.
"Stavo predicando quando è iniziata la sparatoria." Ricorda padre Baselios, sacerdote della chiesa di San Giuseppe, adiacente a quella di Sant'Elia. "Poi sono arrivate le urla. Tutti sono caduti a terra d'istinto. La paura era indescrivibile. Un bambino, uno di quelli che hanno perso la famiglia, è corso da me dicendomi: 'Nascondimi, padre, non voglio morire'. Tutta la gente del posto è stanca, alcuni bambini non riescono più a parlare dopo l'accaduto.” Questa è la rassegnazione e l’esasperazione di una comunità che viene costantemente minacciata nonostante le rassicurazioni di protezione da parte del nuovo governo islamista che ha rovesciato l'ex leader Bashar al-Assad a dicembre. A marzo, più di 800 civili alawiti, minoranza sciita da cui proviene Assad, sono stati uccisi nelle province costiere della Siria. I residenti cristiani di Damasco hanno raccontato all’agenzia britannica “Reuters” che negli ultimi sei mesi degli sceicchi musulmani si sono recati nei loro quartieri per esortarli a convertirsi all'Islam e a smettere di consumare alcol.
Il portavoce del ministero dell'Interno, Noureddine al-Baba, ha affermato che l'attentatore della chiesa non era siriano ed era arrivato a Damasco con un altro attentatore suicida proveniente dal campo di al-Hol, nel nord-est, che ospita sfollati e parenti di membri dell'ISIS. Il gruppo Ansar al-Sunna (I seguaci del sunnismo), un gruppo attivo da anni come costola di Hayat Tahrir al-Sham (Hts), la coalizione che ha preso il potere in Siria l'8 dicembre scorso e a lungo guidata da Ahmad Al-Sharaa, autoproclamatosi presidente dello stato assediato, ha rivendicato nelle ultime ore l'attentato. Questo gruppo, formato da ex membri disillusi della coalizione militare ora al governo in Siria, ha descritto l'attentato come una "operazione di martirio" condotta da un uomo identificato come Mohammad Zayn al-Abidin Abou Othman. Ha inquadrato l'attacco come una ritorsione per quelle che ha definito "provocazioni dei Nazareni di Damasco contro la chiamata a Dio e il popolo della fede – provocazioni che si sono trasformate da suggestioni a dichiarazioni pubbliche". Il messaggio afferma che i cristiani "avevano osato profanare i fondamenti della Da’wah", ovvero la chiamata islamica alla fede, probabilmente riguardo l’attività di proselitismo nel quartiere misto durante i mesi scorsi da parte di alcuni esponenti della stessa comunità della chiesa ortodossa di Duweila. Il testo della rivendicazione se la prende inoltre con il governo di Ahmad Sharaa, accusato di aver pubblicato dichiarazioni "false" in merito alla responsabilità dell'attentato di domenica, attribuito molto rapidamente all'ISIS. Il dottor Jerome Drevon ha affermato ad Al Jazeera che negli ultimi anni il gruppo era presente principalmente nel deserto orientale della Siria, finché gli attacchi aerei statunitensi e l'espansione del governo siriano non li hanno spinti a dirigersi nelle città. “L'Isis oggi agisce meno come un'organizzazione gerarchica e più come una rete di cellule indipendenti, il che rende difficile sradicarlo completamente. Esiste un vuoto di sicurezza perché non ci sono abbastanza forze per presidiare l'intero Paese"
Saraya Ansar al-Sunna ha promesso ulteriore violenza: "Riaffermiamo – e la nostra parola è definitiva – che ciò che verrà non vi offrirà tregua. I nostri combattenti – martiri e infiltrati – sono pienamente preparati, armati e in guardia." Appena dopo l’attentato è stata scoperta dai fedeli una scritta "Il tuo turno sta arrivando" sui muri della chiesa di Sant'Elia a Kfar Bakhoum, situata nella campagna di Hama.
Il lunedì successivo all’attacco, il Ministero dell'Interno ha annunciato l'arresto di sei sospettati in relazione all'attacco, tra cui il capo della cellula. Altri due individui, uno ritenuto responsabile della pianificazione dell'attacco e l'altro presumibilmente impegnato nella preparazione di un'operazione separata, sono stati uccisi. La violenza ha sollevato interrogativi sul fatto che i nuovi governanti siriani abbiano il pieno controllo sugli elementi armati, nonostante le promesse del presidente Ahmed al-Sharaa, ex membro di Al Qaeda, di governare in modo inclusivo per tutti i diversi gruppi religiosi ed etnici.
La sera del 23 giugno la minoranza dei cristiani hanno invaso le strade con croci di legno e torce cantando: “col fuoco, col sangue, rispondiamo alla tua chiamata, o Cristo; tenete in alto le vostre croci, innalzatele verso il punto più alto, il sangue dei cristiani è prezioso”. Il 24 si sono tenuti i funerali di molte vittime trasportate su una linea di ambulanze, in bare bianche poi portate dalle braccia della folla e dei parenti rimasti e straziati, alcuni cantando il canto nuziale: “Portate la sposa, accompagnatela con gioia.”
La comunità non si è fermata, così come la Chiesa nella Storia, nonostante tutto. I giovani si sono riuniti il 26 giugno, nello sconvolgimento della loro vita, per ripulire la chiesa dal sangue dei loro familiari e amici saltati in aria, come di Maryan Issa Al-Durra, studentessa di farmacia, per ricominciare. Il 30 giugno le porte sono rimaste aperte e si è celebrata la Divina Liturgia ma le chiese erano quasi vuote in un clima di tensione, incertezza e paura riguardo alla propria incolumità. Il Ministro degli Interni ha mandato delle squadre di sicurezza per sorvegliare la chiesa dal giorno dell’attacco, inoltre dei volontari locali cristiani “Fazah Youth” vigilano sulle proprie chiese a Damasco e i loro sforzi sono lodati ma ciò non basta per rassicurare la comunità.
Il vicario apostolico di Aleppo e capo della chiesa latina in Siria, vescovo Hanna Jallouf, ha raccontato a vatican news: “Prima dell’attacco circa il 50% dei cristiani pensavano di abbandonare la Siria, oggi il numero è salito al 90%.” I cristiani si sentono sempre meno accettati nella propria terra di origine, lì dove gli apostoli iniziarono la predicazione del buon messaggio, del messaggio nuovo: della risurrezione nell’amore.
Le folle si sono riunite per pregare e chiedere giustizia, folle di fedi diverse in quel multiculturalismo di cui gode lo stato siriano e che manifestano con queste parole: “Siam tutti contro il terrorismo, siam tutti contro l’estremismo. Siam tutti siriani- cristiani e musulmani. Il Terrorismo non ha religione. Nessuna esplosione può estirpare un albero con le radici profondamente piantate da migliaia di anni”
Il patriarca ortodosso Giovanni X chiede un nuovo esecutivo che rappresenti l’intera società siriana: “Non abbiamo bisogno della pietà per i nostri morti, ma dobbiamo avere pietà di questo governo che non ci sa proteggere.”
Questo è il grido davanti ai segnali di una islamizzazione forzata e strisciante in una costante situazione di ambiguità: ad Aleppo alcuni uomini sono stati arrestati perché indossavano pantaloncini corti; il ministro del Turismo ha emanato un regolamento in cui si afferma che il bikini è permesso solo nelle piscine degli alberghi con 4 o 5 stelle, nelle altre piscine è ammesso solo il burkini; in più di un'occasione sui trasporti pubblici gli uomini devono viaggiare separati dalle donne a cui, sempre più di frequente, si vuole imporre il velo.
Secondo Paul Heck, professore di teologia e studi islamici alla Georgetown University, l'attacco a Mar Elias ricorda gli attacchi dell'Isis contro le chiese in Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein nel 2003, che miravano a screditare il nuovo Iraq come società pluralistica in cui tutti sono tenuti in grande considerazione dal punto di vista religioso, destabilizzando la società e minando la fiducia nel futuro del Paese.
La comunità cristiana è inoltre preoccupata riguardo al fatto che le autorità dello stato non abbiano definito le vittime "martiri" né invocato la misericordia di Dio su di loro. Non invocare la misericordia di Dio sui defunti implica che non abbiano alcun valore agli occhi di Dio. Se i cristiani fossero martiri, allora il cristianesimo diverrebbe vero e, nel contesto attuale della Siria, data la natura del regime e i sentimenti dei suoi sostenitori, solo l'Islam può essere vero. Al contrario, lo scorso febbraio, quando un'autobomba nella città nordorientale di Munbij costò la vita a venti cittadini musulmani, il presidente si riferì alle vittime come martiri. La comunità dei fedeli sente non solo che la società in generale non consideri i cristiani come una parte preziosa del suo bene comune ma talvolta non voluti e attaccati. Il Patriarca Giovanni X, nel suo sermone al funerale delle vittime dell'attacco, infatti, rimprovera lo Stato per non aver definito le vittime come martiri, morte "in devozione sia alla religione che alla nazione".
Questo è solo un tassello della persecuzione silenziosa e diffusa in tutto il mondo moderno negli anni. Questo è il Medio Oriente dissanguato fin dalle atrocità ottomane, un nome su tutti: il genocidio degli Armeni. I media occidentali non parlano quasi mai di queste sofferenze e persino a noi ci sembra impossibile, poiché siamo così abituati a un’idea di chiesa dal forte potere, dalla DC che governa per decenni, dalla chiesa sotto casa a cui si può dire di no anche da credenti per farsi una gitarella quando nel 2025 c'è ancora gente che muore per il semplice fatto di portare una croce al collo. I numeri parlano chiaro: 200 cristiani sfollati il 16 giugno sono stati massacrati in Nigeria da fondamentalisti fulani, nel 2024 4476 cristiani sono stati ammazzati per il solo fatto di essere cristiani e 365 milioni di cristiani sono perseguitati in tutto il mondo, secondo il World Watch List. Costoro sono i veri martiri, pur non essendo riconosciuti dai capi della nazione, costoro che portano la croce, non coloro che, in una manipolazione e distorsione del testo, credono che farsi esplodere ammazzando innocenti sia la gloria dei cieli tra le vergini. Purtroppo l’urlo del fanatismo attecchisce più facilmente nell’ignoranza e nella povertà rispetto alla mitezza della ragione: la paura si insinua nelle crepe di un mondo sempre più frammentato e polarizzabile.
Voglio lasciarvi, per terminare questo articolo, con le parole del cardinale Gugerotti rilasciate il 1 luglio a vaticannewsit: “Questo martirio costante dell’Oriente cristiano quanto continuerà a durare? Quanto dovremmo assistere impotenti? Che senso ha tutto questo? Che ideologia c’è dietro? C’è soltanto fondamentalismo religioso o c’è anche uno scopo politico dietro? La percezione che hanno è di non esser voluti, di non esser tollerati nella loro stessa terra o che qualcuno ti porti via la tua terra. Per noi cristiani è la croce, la croce è il senso di tutto questo. Perché la stessa domanda si sarebbero potuti fare coloro che vedevano il Figlio di Dio attaccato alla croce. Però Cristo è risorto. Che speranza di risurrezione, in termini terreni, non metastorici promessi dal Signore ma che speranza in termini storici abbiamo oggi? Possiamo assistere impotenti a una umanità che si autodivora, che ha il sistema immunitario a rovescio, invece di difenderla la attacca? Bisogna svegliarsi!”
Autore
Manuel Visani
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