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La città eterna, quella che non dorme mai e in cui la storia ti travolge a ogni passo, ieri ha fatto da sfondo all’ennesimo episodio che racconta bene il rapporto sempre più fragile tra politica e mondo accademico. Nel pomeriggio, alla “ammirevole” kermesse di Atreju organizzata da Fratelli d’Italia – giunta ormai alla ventottesima edizione – si è tenuto un panel dedicato al dialogo tra politica e università, con la ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini e altri ospiti. Un dialogo che, da quando si è insediato l’attuale governo, sembra però assottigliarsi sempre di più: tra tagli all’FFO, risorse per la ricerca che si riducono come un rubinetto che perde acqua, contratti di dottorato e assegni di ricerca sempre più miseri e richieste degli studenti spesso ignorate, quando non apertamente derise.
Ed è proprio quest’ultimo punto ad aver incendiato l’opinione pubblica e, soprattutto, i social, rimbalzando in video e clip su testate e pagine politiche. Tutto parte da un gruppo di studenti che, durante il panel, invita la ministra a partecipare alla manifestazione contro il cosiddetto “semestre filtro”, la nuova formula per l’accesso a Medicina presentata come innovativa e capace di favorire la formazione dei futuri medici. Una formula che, alla prova dei fatti — e dei primi dati — si è rivelata un fallimento.
Di fronte alle richieste dei ragazzi, Bernini sceglie però di non ascoltare. Anzi: preferisce intonare la più stanca e ignorante delle frasi rituali rivolte a chi contesta, definendoli “poveri comunisti”. Si dimentica, forse, che quei “poveri comunisti” contribuirono a liberare l’Italia dal nazifascismo e a scrivere la Costituzione. Ma si sa: i libri di storia per molti servono solo per passare l’interrogazione o l’esame, non per capire davvero ciò che raccontano.
La scena raggiunge il suo culmine quando la ministra invita i ragazzi a “imparare ad ascoltare prima di contestare”, salvo poi bollare come “inutili” gli stessi studenti che le spiegano di come molti loro coetanei soffrano, abbiano pensieri suicidari, tornino dallo psicologo, vivano un disagio reale. Nessuna risposta concreta alle loro domande; solo il rifiuto dell’invito a un confronto diretto con gli studenti di Medicina che avrebbero voluto raccontare la loro esperienza. Del resto, il dialogo si fa solo con chi si vuole, non con chi vive sulla propria pelle le conseguenze delle decisioni politiche. “Povera patria”, cantava Battiato.
In conclusione, è inquietante assistere al comportamento di una ministra della Repubblica che, invece di ascoltare il disagio degli universitari, sceglie di screditarli con insulti e semplificazioni. Quando un rappresentante delle istituzioni risponde alla critica definendo i giovani “inutili” o riducendoli a caricature ideologiche, non solo abdica al proprio ruolo, ma mostra una grave incapacità di confrontarsi democraticamente.
Gli studenti non protestano per capriccio: denunciano un sistema che appare sempre più inadeguato, iniquo e incapace di garantire stabilità e opportunità presenti e future. Sminuire le loro preoccupazioni significa ignorare migliaia di giovani che ogni giorno affrontano costi crescenti, precarietà, ansia per il futuro e sacrifici enormi pur di costruirsi un domani dignitoso. Una ministra che deride questi ragazzi non mostra forza, ma debolezza: invece di rispondere nel merito, attacca; invece di ascoltare, delegittima.
Il dissenso non è un fastidio da mettere a tacere, ma un diritto e un segnale di malessere sociale. Ignorarlo, o ridicolizzarlo, non risolve nulla: certifica solo un fallimento politico e culturale ben più grave di qualsiasi protesta studentesca.
Autore
Pietro Intini