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La Costituzione della Repubblica Italiana si presenta, prima ancora che come documento giuridico, come un’opera di lingua. Essa non si limita a stabilire regole e principi normativi: ne sceglie le parole, ne plasma la forma, ne determina il tono. Come ha scritto Tullio De Mauro, «ha compiuto un miracolo lessicale: dire tutto con parole di tutti». È proprio questa caratteristica, linguistica e politica insieme, a fondare la straordinaria potenza espressiva del testo costituzionale, rendendolo non solo comprensibile ma anche condivisibile da un popolo intero. In questa prospettiva, l’analisi dei primi dodici articoli – i cosiddetti Principi Fondamentali – è orientata da quattro proprietà linguistiche che strutturano l’intero impianto testuale e ne rivelano il valore civile: chiarezza, precisione, inclusività e solennità. La chiarezza si manifesta in una lingua lineare, priva di oscurità sintattiche, costruita con frasi brevi (in media 19 parole) e guidata da una retorica semplice e ordinata, come sottolinea Serianni nella sua analisi sull’italiano giuridico. La precisione è garantita da un lessico rigorosamente univoco, in cui ogni parola assume un significato giuridico mirato e coerente, secondo l’impostazione teorizzata da Zagrebelsky. L’inclusività emerge dal fatto che circa il 90% delle parole appartiene al vocabolario fondamentale della lingua italiana, secondo il GRADIT curato da De Mauro, il che rende il testo costituzionale accessibile anche a chi non ha una formazione giuridica. La solennità infine, è il tratto distintivo del tono complessivo del testo: alto ma mai enfatico, civile ma non retorico, come ribadito anche dall’Osservatorio Costituzione dell’Accademia della Crusca.
Con questi strumenti, ogni articolo viene qui esaminato secondo tre livelli: la struttura logico-grammaticale, una parola chiave, analizzata attraverso le principali fonti lessicografiche italiane, e il contesto filologico-retorico in cui tale parola si colloca. L’articolo 1 si apre con una delle frasi più celebri della storia costituzionale: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo...». La parola chiave qui è “lavoro”, inteso non solo come attività produttiva, come recita la definizione della Treccani, ma come fondamento simbolico della società intera, secondo una tradizione che risale fino a Dante, come osserva il Battaglia. Il GRADIT la colloca tra le prime 500 parole per frequenza e salienza, mentre la Crusca la definisce “parola-cardine dell’intero ordinamento costituzionale”. L’espressione “fondata su”, dal forte valore metaforico, richiama un’immagine architettonica di stabilità e fondamento. L’aggettivo “democratica” non è pleonastico, ma funge da specificatore di sistema, e il predicato nominale rafforza la definizione identitaria dello Stato. Il commento filologico conferma questa centralità: il lavoro è posto come base etico-sociale della Repubblica, frutto del compromesso tra visioni ideologiche opposte, quella marxista e quella cristiano-sociale. L’articolo 2 introduce un altro elemento cardine: i diritti inviolabili dell’uomo, che «la Repubblica riconosce e garantisce». Il termine “inviolabili”, come riporta la Treccani, indica qualcosa che non può essere violato, mentre per Battaglia si tratta di un lemma raro, vicino alla sfera etica e religiosa. Il GRADIT lo situa nel contesto giuridico e costituzionale, e la Crusca lo inserisce nel “lessico del sacro laico”, a sottolineare la sua forza simbolica. I verbi “riconosce” e “garantisce”, disposti in parallelo, marcano un binomio tra teoria e prassi. Questo articolo riprende esplicitamente la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, e pone l’accento su una concezione della dignità come prerogativa che precede lo Stato e che lo Stato si limita a riconoscere e tutelare. L’articolo 3 affronta il principio di uguaglianza: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge...». La parola chiave è “dignità”, definita dalla Treccani come valore intrinseco dell’uomo. Il Battaglia ne traccia l’etimologia, dal latino dignitas, e ne sottolinea la centralità tanto nella dottrina classica quanto in quella cristiana. Presente nel vocabolario fondamentale del GRADIT, la Crusca la descrive come “parola invisibile ma fondamentale”. La costruzione della frase è simmetrica e ritmica, con l’elenco “senza distinzione di...” che apre un catalogo progressivo e potenzialmente infinito di esclusioni vietate. L’articolo si articola in due commi: uno per l’uguaglianza formale, l’altro per quella sostanziale. Si avvertono le influenze di pensatori come Bobbio, Rawls e Calamandrei.
Con l’articolo 4 si ritorna al lavoro, stavolta come diritto e strumento di realizzazione personale: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto...». Il verbo “promuove”, secondo la Treccani, indica un’azione di favore attivo, mentre il Battaglia ne sottolinea la connotazione statuale. Il GRADIT lo registra come frequente nei testi normativi, e la Crusca lo definisce “verbo agente dello Stato democratico”. Il costrutto “che rendano effettivo” introduce una subordinata finale dal forte valore programmatico. Il lavoro diventa così non solo un diritto, ma una condizione necessaria per la piena realizzazione dell’individuo nella società.
L’articolo 5 affronta l’unità nazionale: «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali...». Il termine “indivisibile”, secondo la Treccani, significa non frazionabile; è un lemma aulico, con solida tradizione giuridica, come mostra il Battaglia. Per il GRADIT ha un uso basso ma un forte impatto semantico. La Crusca lo considera “parola pilastro dell’unità nazionale”. A livello stilistico, si crea un contrasto tra “indivisibile” e “autonomie”, un ossimoro che rappresenta l’equilibrio costituzionale tra centralismo e decentramento.
Filologicamente, l’articolo rivela il tentativo di mediare tra l’eredità del centralismo post-risorgimentale e la valorizzazione delle autonomie locali. L’articolo 6 sancisce la tutela delle minoranze linguistiche: «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche». La parola “tutela” indica protezione giuridica (Treccani), con uso diffuso nel diritto canonico (Battaglia). Ha frequenza medio-alta nel GRADIT e per la Crusca rappresenta “il termine della protezione garantita”. L’aggettivo “apposite” suggerisce l’intenzionalità e la specificità della normativa. Si tratta del primo riconoscimento esplicito, a livello costituzionale, della pluralità linguistica dell’Italia.
L’articolo 7, che recita «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani», introduce il principio di autonomia reciproca. Il termine “sovrani”, nella definizione della Treccani, indica autorità suprema; secondo Battaglia, è parola dal forte valore politico e classico, mentre il GRADIT lo registra come raro ma solenne. La Crusca ne sottolinea la “dignità semantica alta”. L’inciso “ciascuno nel proprio ordine” organizza la coesistenza tra due sovranità separate. Il riferimento diretto è al Concordato, ma più in generale emerge il tentativo di bilanciare la laicità dello Stato con il riconoscimento storico della Chiesa cattolica.
L’articolo 8 estende il principio di libertà religiosa: «Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge». La parola chiave “egualmente” è definita dalla Treccani come “in modo identico”; per Battaglia rafforza il senso di parità, il GRADIT la qualifica come avverbio morale, e la Crusca la interpreta come “livellatore di dignità civica”. La combinazione tra “tutte” e “egualmente” esprime un’inclusione rafforzata, che segna il superamento del privilegio storico della religione cattolica e apre al pluralismo confessionale.
L’articolo 9, con la formula «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica», si concentra sul sapere. La parola “cultura” è definita dalla Treccani come patrimonio materiale e spirituale, con un uso che si afferma a partire dal XVIII secolo (Battaglia). Per il GRADIT è una parola ad altissima densità semantica, mentre la Crusca la definisce “matrice della cittadinanza pensante”. La costruzione triadica – cultura, scienza, tecnica – sottolinea la dimensione integrata del progresso. L’articolo è stato aggiornato nel 2022 per includere anche la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli animali: segno che anche il lessico costituzionale è capace di evolversi.
L’articolo 10 introduce un’apertura all’ordinamento internazionale: «L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute». Il verbo “conforma”, secondo Treccani, significa adattarsi a un modello, e il Battaglia ne segnala l’uso ecclesiastico e giuridico. È un verbo frequente nei testi normativi (GRADIT), e per la Crusca è “verbo dell’integrazione internazionale”. La struttura impersonale e passivante della frase accentua la neutralità normativa. L’articolo rappresenta un risarcimento simbolico dopo la chiusura autarchica del fascismo. L’articolo 11 contiene un’affermazione di valore assoluto: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa...». Il verbo “ripudia” significa rifiutare con forza (Treccani), con echi biblici e giudiziari secondo Battaglia. È raro nell’uso comune ma ha forte potenza etica, come osserva la Crusca, che lo definisce “verbo morale assoluto”. Posto all’inizio della frase, dà alla formulazione una forza ideologica evidente. Il lessico è etico e non neutro, esprimendo una dichiarazione esplicita di pacifismo. Infine, l’articolo 12 chiude i Principi Fondamentali con un simbolo visivo e identitario: «La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano...». “Tricolore” è, secondo Treccani, la bandiera nazionale; ha una forte ricorrenza patriottica (Battaglia), è un simbolo visuale e linguistico secondo il GRADIT, e la Crusca lo definisce “icona lessicale dell’identità”. La costruzione visiva di questo articolo utilizza il linguaggio per descrivere un segno grafico condiviso. La Costituzione si chiude dunque con un’immagine unificante, accessibile e storicamente riconoscibile.
Conclusioni
In conclusione, la Costituzione italiana parla con parole semplici, ma straordinariamente dense di significato. La sua forza non risiede solo nel contenuto giuridico degli articoli che la compongono, ma anche — e forse soprattutto — nel linguaggio con cui tali articoli sono stati formulati. Ogni parola, ogni frase, ogni costruzione sintattica è il frutto di una scelta consapevole, meditata, ponderata. I padri e le madri costituenti non hanno soltanto scritto un testo normativo: hanno dato voce a una visione del mondo, a un'idea di convivenza civile, a un sogno di democrazia incarnato nella lingua.
Ogni articolo rappresenta, quindi, non solo un enunciato giuridico, ma un gesto linguistico carico di significati simbolici e culturali. Le parole della Costituzione non sono fredde formule astratte: sono vive, concrete, accessibili, scelte con l’intenzione di parlare a tutte e a tutti, non solo ai giuristi. Questo stile sobrio e insieme profondamente umano è una dichiarazione di principio: la legge fondamentale dello Stato deve essere comprensibile a chiunque, perché appartiene a ogni cittadino, e perché ogni cittadino deve potersi riconoscere in essa.
Dietro ogni articolo si nasconde un’idea precisa di società, un’etica della responsabilità, un modello di cittadinanza attiva. Il lessico costituzionale è semplice, ma mai banale; diretto, ma mai povero. Non indulge nella retorica, eppure sa essere solenne. È una lingua che non divide, ma unisce, che non impone, ma propone. È una lingua che tutela, accoglie, protegge. Una lingua che fa dello Stato non un potere lontano, ma una casa comune, costruita sulla dignità della persona, sull’uguaglianza, sulla libertà, sulla solidarietà.
Così, possiamo affermare che l’Italia ha fondato se stessa non soltanto sui valori che proclama — il lavoro, la democrazia, la giustizia sociale, i diritti inviolabili dell’uomo — ma anche sulle parole che ha scelto per proclamarli. Perché in quelle parole c’è già tutto: la tensione morale, la direzione politica, la visione culturale. In quelle parole c’è un popolo che, uscito da una dittatura e da una guerra devastante, ha voluto riscrivere la propria storia a partire da ciò che contava davvero: la persona, la libertà, la responsabilità collettiva.
In questo senso, la lingua costituzionale può essere considerata la prima, autentica istituzione repubblicana. Prima ancora dei parlamenti, dei tribunali, degli organi dello Stato, c’è la parola che dice chi siamo, cosa vogliamo essere, e come intendiamo vivere insieme. È attraverso quella parola che la Repubblica si è riconosciuta e fatta riconoscere. È da quella lingua che dobbiamo ripartire ogni volta che ci domandiamo cosa significhi davvero essere cittadini.
Autore
Alessandro Mainolfi