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Un vento di speranza soffia sul Mediterraneo. Ma a Gaza ancora non è arrivato, e la guerra continua a peggiorare nell'aria più acre, nell'odio più vero. Vere sono le macerie, vero il sangue, vera la carestia. La gente soffre più che mai. Tutto questo è confermato dalle Nazioni Unite e da diverse ONG che operano sul territorio. Secondo i loro rapporti, la popolazione non ha cibo, né medicinali, né acqua né ripari. Si stima che oltre mezzo milione di persone siano intrappolate in questa crisi, la peggiore mai registrata in Medio Oriente. Nonostante ciò, la guerra non accenna a fermarsi. Non si ferma neanche dopo le ammissioni in un rapporto interno dell'IDF che confessa di aver "fallito" e di aver "commesso ogni possibile errore" non riuscendo a fermare Hamas né a liberare tutti gli ostaggi. Sulla scia di altri Stati, Israele cerca di posticipare la propria sconfitta strategica con un altro grande assalto. Le Forze di Difesa Israeliane hanno dichiarato ufficialmente Gaza City "zona di combattimento", interrompendo le pause che permettevano l'ingresso di aiuti, sia via terra che via mare. Hanno anche istituito un blocco navale che circonda e sorveglia l'intera costa della Striscia di Gaza. Di conseguenza, il numero di civili uccisi aumenta senza sosta. I dati sono spaventosi: si contano oltre 56.000 morti a Gaza e un numero di feriti che ha superato i 100.000, con circa la metà dei decessi che riguarda donne e bambini. Nel frattempo, quasi 1,9 milioni di abitanti di Gaza su un totale di 2,4 milioni sono sfollati, lasciando un milione di bambini senza un luogo sicuro. Mentre la sabbia scorre nella clessidra di questa guerra sanguinosa, gli ultimi granelli hanno visto nascere un'iniziativa che potrebbe cambiare il corso degli eventi. Diversi Paesi occidentali, tra cui Francia, Regno Unito, Canada, Australia e Malta, hanno dichiarato l'intenzione di riconoscere ufficialmente lo Stato di Palestina durante l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite di settembre. Questa prospettiva terrorizza il governo israeliano che, come una bestia spaventata, reagisce prontamente minacciando di annettere alcune aree della Cisgiordania e di continuare il massacro a Gaza. È in questo contesto che il 30 agosto (da Genova) e il 31 agosto (da Barcellona) è salpata la Global Sumud Flotilla: la più grande spedizione marittima civile, non violenta e internazionale mai organizzata. Con l'obiettivo di rompere il blocco navale imposto da Israele e aprire un corridoio umanitario verso Gaza, piccole imbarcazioni con a bordo tonnellate di aiuti umanitari si sono messe in rotta verso il Medio Oriente. Non appena le navi hanno toccato l'acqua, il ministro della Sicurezza Nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha annunciato che saranno sequestrate e riutilizzate dalle autorità israeliane. Gli attivisti arrestati verranno trattati come "terroristi", detenuti nei carceri di massima sicurezza Ketziot e Damon, senza privilegi né sconti. Nelle sue dichiarazioni pubbliche. ha sottolineato che Israele non tollererà “arresti soft” o rientri silenziosi dei partecipanti alla flottiglia. “Dobbiamo creare un deterrente chiaro. Chiunque scelga di collaborare con Hamas e sostenere il terrorismo incontrerà una risposta ferma e inflessibile da parte di Israele”, ha affermato. In questo momento, la speranza, è un seme che non può germogliare in quella terra ferita; speriamo venga portato dal mare, nei cassoni di quegli eroi.
Autore
Alessandro Mainolfi