4
C’è una data che fa vibrare corde antiche e tuttavia inascoltate: il 15 aprile. È il giorno in cui nacque Leonardo da Vinci, figura che incarna un modo italiano di pensare: unire il cesello e la visione, la scienza e la bellezza. Da qualche anno, questa data è stata eletta a Giornata del Made in Italy. Una festa laica del saper fare, una celebrazione delle quattro A – abbigliamento, alimentare, arredamento, automazione – e del genio manifatturiero italiano.
Ma se Leonardo fosse qui, forse – o sicuramente – solleverebbe un sopracciglio. E con quel suo sguardo che pare contenere un’epoca intera, direbbe che una cosa è il prodotto, altra è l’ingegno. E che l’ingegno, prima ancora delle mani, si esprime con la lingua.
La lingua, già. Quella cosa viva, capricciosa, mobile, che ci precede e ci fonda. La lingua che ci permette di pensare ciò che sentiamo, e di dire ciò che pensiamo. Non a caso è sempre stata considerata il vero laboratorio nazionale, l’opera collettiva da cui scaturisce tutto il resto. Eppure, proprio questa lingua pare oggi vivere una stagione di abbandono. La si dà per scontata. La si relega ai margini. Un sistema culturale che non difende la propria lingua ha smarrito la propria missione.Un Paese che spegne il faro della lingua smette di educare per iniziare ad amministrare.
Lo ricordava Tullio De Mauro:«La lingua è l’ambiente di vita della mente. Se quell’ambiente si degrada, tutto il pensiero si degrada».
La lingua non è un retaggio: è una possibilità. È l’inizio di ogni mestiere, di ogni pensiero, di ogni progetto. La lingua è ciò che ci tiene insieme. Se la si smantella, si smantella la democrazia, perché è ciò che consente l’accesso al discorso pubblico, alla partecipazione, alla cittadinanza.
E allora sì, bisogna chiederselo con franchezza:a cosa serve celebrare il Made in Italy se lasciamo morire ciò che lo ha reso possibile?Che Paese stiamo diventando, se difendiamo la forma e abbandoniamo la sostanza?Se celebriamo Leonardo, ma tagliamo le ali a chi ne custodisce l’eredità più profonda?
Lo scriveva Bruno Migliorini:«Una lingua trascurata è una patria che si allontana. Una lingua abbandonata è una patria che si perde».
Forse basterebbe ripartire da lì.Da una parola dimenticata.Una parola italiana, magari.Che dica che siamo ancora in tempo.
Autore
Alessandro Mainolfi
Antonio Mainolfi
Niccolò Delsoldato