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Mio caro Niccolò, nessuno capiva.
Quando scrivevo nel cuore di luglio la politica era sempre la stessa solfa. Avevo i piedi sempre sudati e i libri li avevo letti tutti, se non fosse stato per queste idee, mi sarei annoiato a morte…
La casa era sempre lì, più grande che in inverno e circondata dal viola massiccio dei petali. Sì, è vero, m’annoiavo, ma c’era un gran profumo! e i pomeriggi, goccia a goccia -teneva il conto una fontana di pietra al di là della collina: (c’ho parlato) mi ha detto che 64.800 gocce fanno un’estate- si consumavano in cielo, tra il filare frettoloso delle nuvole sgonfie e azzurre e poi gonfie e grigie. Ricordo che una passava e diceva all’altra: “Muoviti! Si va a sud! là c’è la tempesta e, qualcheduna, da est, dice: C'è anche qualcosa che si possa prendere!”.
La sera, in giardino, bevevo vino. Rosso, sensuale e attento, l’occhio di quella nuda nitticora che dall'albero mi osservava mentre leggevo ad alta voce le mie riflessioni: mammamia che ricordi! Quell’uccellaccia schifosa si faceva delle gran risate a sentirmi leggere e io mi offendevo a morte:
«Quindi, spiegami bene, tu vorresti dire una cosa senza dirla? ma questa è proprio buona! da perderci le penne! Tu sei un asino, mica un uomo!”
Io controbattevo irritato e con la barba sporca:
«Badabene bella Nitticora, e stai attenta a quello dici! Se l’essere è nulla come l’ente, e il nulla è l’unica cosa che li accomuna, allora l’unica verità assoluta, l'unico modo di scrivere, è qualcosa che sia essere, ente e nulla nella stessa sostanza. Un giorno, anche tu, scoprirai la follia e allora pagherai il prezzo d’aver canzonato un folle credendo, erroneamente, di essere sana.»
Altro trattamento mi riservavano le poiane, che stavano sulla quercia in fondo al podere a pregare, sempre distanti dal mondo , sempre abbracciate, con ali vivaci ma fragili; quasi, mi ricordavano i primi anni di matrimonio con mia moglie Annabella. In quel periodo, come scriveva Epicuro, eravamo uno per l’altra un teatro abbastanza grande.
Altro trattamento mi riservavano le poiane, che stavano sulla quercia in fondo al podere a pregare, sempre distanti dal mondo , sempre abbracciate, con ali vivaci ma fragili; quasi, mi ricordavano i primi anni di matrimonio con mia moglie Annabella. In quel periodo, come scriveva Epicuro, eravamo uno per l’altra un teatro abbastanza grande. E quindi parlavamo per ore, guardandoci negli occhi, della stessa cosa. E mangiavamo sui divani di casa. E ballavamo piano la sera, davanti al letto, prima di salutarci. Poi.. Orrido! Orrido! Orrido quello che ti è successo! (Era lei a dirlo). Credo che adesso non abbia più importanza… Dopo l’estate ho deciso di andare a Nord. Camminavo nei boschi di abeti rossi, tra le foglie di aghi appuntiti. Inutile dirti che che ho coltivato, da subito, un’amicizia distante ma sincera con i vari scoiattoli, tarantole e passeri della zona. Più andavo avanti a camminare, e più credevo che la natura fosse l’unica soluzione: ancora mi domando: e se domani abbandonassimo tutti le nostre case? se tutti ci spogliassimo delle nostre vesti e maschere? se domani tutti venissimo nel bosco? se domani vivessimo per ciò che sentiamo, senza limiti, senza riflessioni, senza convenzioni, cosa accadrebbe? Penso sarebbe un mondo assai più crudele… ma sicuramente più autentico.
Autore
Alessandro Mainolfi