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Nella società iper-visibile, tra social, controllo, ed esposizione costante, l’atto più radicale non è mostrarsi, ma scomparire.
Evaporare, diventa allora gesto politico e filosofico: rifiuto dell’esposizione, negazione dell’ego e della performance.
Lo scrittore francese Pascal Quignard parlava spesso della tentazione del ritiro radicale, negli anni precedenti al 2000, quando ci si preparava all'iperconnessione, fu proprio questo saggista parigino a scrivere di un musicista che esce dalla vita di corte per dedicarsi alla musica e alla natura.
"Lasciare la musica del mondo" significa allontanarsi dal rumore, dalle parole e dai costrutti, avvicinandosi all'essenza musicale: nel piacere nei boschi senza sentieri, nella vita laddove nessuno s'intromette...
Les Petits traités di oggi, invece, rappresentano la possibilità di un’uscita silenziosa, determinata da altre cause: somiglia più ad una fuga dal sé; questo gesto ha un'affinità con l’evaporazione.
Ci viene chiesto di essere connessi, performanti; ma veniamo invisibilizzati se non siamo conformi, obbedienti a un consumismo che divora ogni tentativo di rivalsa.
Il desiderio di sparire è multiforme, ha innumerevoli nomi, strategie di fuga. In Giappone è "Jōhatsu" ossia "evaporare". Sembra la trama di un romanzo di Murakami: agenzie di fuga notturna Yonige-ya ti consentono di lasciare la famiglia, il lavoro, la casa, il nome. È un modo per scampare a scandali, debiti, fallimenti, esistenze insopportabili. C’è chi scappa da stalker, culti religiosi, violenza domestica. Alcuni chiedono interventi di chirurgia per il volto per poi rifugiarsi in quartieri periferici o luoghi isolati.
Se dalla Terra del Sol Levante, sparire diventa quasi una missione per ricominciare, negli altri stati una delle vie più intraprese per sottrarsi senza morire è la droga.
Asia meridionale, Europa e America sono i maggiori consumatori di droghe che agiscono come depressori del sistema nervoso centrale; sedazioni come tentativo chimico di disaccordarsi dalla musica collettiva, dalla società che ci circonda.
Qui l’evaporazione diventa quasi un “ritiro acustico”, una dissonanza che si trasforma in silenzio assoluto, in una morte apparente.
Ecco che in questa chiave, il consumo di droga appare come strumento di evaporazione e di sospensione dell'Io: non tanto come trasgressione o ricerca di piacere, ma come volontà di dissolversi. L’assunzione di eroina, morfina, fentanyl e la dipendenza ad esse connessa, non viene letta come fuga in un altrove festoso, ma come sospensione della presenza.
È il desiderio di rarefarsi, di perdere consistenza, come vapore che lascia la materia.
In questo senso la droga non è euforia, ma ascesi rovesciata: non verso un cielo trascendente, ma verso un’assenza radicale. Potremmo definirla una forma di auto-johatsu interiore: il corpo resta, ma l’io evapora.
In questo scenario, la morte si presenta come la soluzione finale in cui il corpo si disfa, il respiro si interrompe, ma ciò che resta non è un atto esplosivo, bensì un lento svanire tra i riti chimici di auto-dissoluzione.
Esiste un antidoto al pensiero del filosofo romeno Emil Cioran che all'apice del suo nichilismo aforismò che: "vivere è ciò che si fa in attesa di trovare il coraggio di evaporare” ...
Vivere non è attendere di svanire, e il coraggio non è evaporare, ma incarnarsi fino in fondo, rischiare, errare, amare, costruire e distruggere. L’esistenza non è un corridoio verso il nulla: è un campo di forze da attraversare, e in ogni gesto deciso essa diventa affermazione, non attesa né inganno.
In questa era di ologrammi e pulsione di morte, chi è rimasto sveglio gridi più forte, perché nel grido c'è un'intenzione di vita.
Autore
Mariavittoria Dotti