Viviamo in un'epoca senza precedenti. I giornalisti dovevano guardarsi le spalle nelle zone di guerra, ora vengono aggrediti ai consigli di classe, nei campus, nelle loro case. C'è uno stupro nella casa del capo della polizia del Colorado e qualcuno ruba tutte le copie del giornale che ne osa parlare. A un funzionario di Las Vegas non piace l'immagine mediatica che gli viene data, così va a casa del giornalista e lo accoltella sette volte. Una conduttrice della BBC si licenza e si nasconde, dopo che il suo stalker complotta per ucciderla. Queste sono le tre storie più condivise sul nostro sito. La verità è incendiaria. Ed è sotto attacco.
Questo discorso è estratto dal fantastico dialogo tra il presidente della compagnia televisiva e la direttrice del programma mattutino. Esso rispecchia totalmente la serie di cui parlerò in questo articolo e, ancora di più, questa bellissima quarta stagione.
The Morning Show è un drama prodotto da Apple TV+ e ambientato nell’arena quotidiana dell’informazione televisiva. Al centro della narrazione c’è il canale UBN, un network che riflette da vicino i meccanismi del giornalismo contemporaneo. Ciò che contraddistingue questa serie televisiva dalle sue simili sono due principali aspetti:
- nella serie televisiva si affronta il dietro le quinte di quel che vediamo ogni volta in televisione: talent-presenter, redazioni, equilibri di potere, scandali, l’influenza di gruppi mediatici e politici, la mutazione del pubblico e dell’audience a cui corrispondono risposte veloci e precise: l’incredibile frenesia del mondo dell’informazione;
- il secondo aspetto è la brutale onestà con cui vengono trattati i temi di attualità: che per te il COVID fosse l’apocalisse o i vaccini un modo per installare chip di Bezos nel tuo organismo, essi sono prima di tutto una notizia e ti verrà data nel modo più condivisibile possibile, nel mondo con cui vorrai sentirtela dire… finché non arriva l’etica della serie stessa.
Le prime stagioni hanno toccato temi come lo scandalo #MeToo, la cultura aziendale tossica, la carriera femminile negli ambienti mediatici, la credibilità dei network, l’ambizione. Fin dall’inizio la forza della serie è stata la sua ambientazione nel mondo contemporaneo: non un passato rievocato, non un futuro fantastico, ma un presente in cui i temi dell’informazione - potere, rappresentazione, etica, audience - sono al centro della riflessione.
Con la quarta stagione, la serie sembra intensificare questa vocazione: l’azienda non è più soltanto un network che vacilla per scandali interni, ma un ecosistema in mutazione - tecnologia, intelligenza artificiale, deep-fake, imprevisti globali - che costringe il giornalismo ad interrogarsi in modo più radicale. In questo senso, la stagione 4 vuole essere non solo un altro scandalo aziendale, ma un momento di discontinuità: ciò che accade oggi nell’informazione globale, nell’era digitale, cambia le regole del gioco. La serie ce lo mostra: ora, più che mai, l’informazione è chiamata a porsi domande sulla propria etica lavorativa.
Da questo punto in poi l’articolo conterrà spoiler di carattere generale e non specifico, di conseguenza valuta se sei interessata/o a continuare la lettura!
Analisi dei temi nella quarta stagione
- Intelligenza artificiale, deep-fake e verità malleabile: il tema con cui si avvia la quarta stagione è l’IA e delle sue implicazioni, sia nel campo dell’informazione, sia nella sfera personale. La serie mostra come la manipolazione digirale - i deep-fake a cui è sottoposta Alex, l’alterazione dell’immagine e dei video che possono giungere a creare fittizie prove legali, la creazione di identità false - possa minare la fiducia verso l’informazione: come sai che qualcosa può essere attendibile se non riconosci nemmeno ciò che è fake? Come puoi considerare un’analisi politica oggettiva, se non riconosci nemmeno le foto reali di una persona che conosci da quelle create con l’IA?
- crisi dei media tradizionali e la battaglia per l’audience: le emittenti televisive storiche sono in difficoltà di fronte alla rivoluzione digitale e all’iper-concorrenza delle nuove fonti di intrattenimento e informazione: da un lato lo streaming, dall’altro l’informazione informale. Già dal primo episodio facciamo la conoscenza di Brodie, un podcaster di un programma paragonabile a un nostro La Zanzara: un programma che non si occupa di svolgere il giornalismo nella sua maniera classica, ma pensa piuttosto ad esprimere un malcontento generale analizzando i temi di attualità con una chiave di lettura alternativa, che fa leva sull’opporsi al politicamente corretto. In questo quadro viene mostrato come, a prescindere dalle analisi del contenuto mandato in onda sui differenti programmi, il podcast di Brodie sia decisamente più veritiero nel modo di dialogare col pubblico rispetto al classico The Morning Show, ovvero un programma che da informazione è diventato business dello spettacolo, con branding e sopravvivenza aziendale. Ciò pone in risalto il conflitto tra giornalismo tradizionale (compiuto come missione, ma con le mani legate da dinamiche aziendali) al giornalismo informale (che non è interessato alla missione della verità, ma di un’espressione libera e non censurata).
Tutto questo porta ad un’ulteriore domanda: chi detiene il compito di raccontare la verità quando la verità stessa può essere prodotta, manipolata, replicata? In un’epoca in cui l’immagine autentica può essere costruita a tavolino, i giornalisti dovrebbero diventare guardiani non solo dei fatti, ma della credibilità e della fiducia. Il pubblico non sa più se ciò che vede è vero o se è soltanto presentato come vero. La stagione 4 sottolinea questa emergenza.
In questo contesto, la serie riflette anche la tensione tra rapidità e accuratezza, che caratterizza l’informazione contemporanea: il network UBN è costretto a reagire, a coprire incidenti, scandali, fughe di notizie, manipolazioni digitali. Il risultato è che ci troviamo in un mondo in cui “dire la verità” non basta più: bisogna controllare la narrazione, la forma, la ricezione. E la serie lo mostra attraverso personaggi che improvvisamente scoprono che la loro credibilità è un asset fragile.
La riflessione che ne trae è forte: se l’informazione è sottoposta alle logiche di mercato, può tradire la sua funzione sociale. E la serie lo mostra attraverso conflitti interni, personaggi corrotti o compromessi, desideri di potere che si mescolano con etica. Il giornalismo non solo assiste alla crisi, ma ne è parte. Dal punto di vista filosofico: la funzione critica dell’informazione viene erosa dalla velocità, dalla distrazione, dalla spettacolarizzazione.
- l’attivismo, il potere e la responsabilità: un terzo filone di tema riguarda l’attivismo (ambientale, politico) e la domanda di responsabilità individuale e collettiva. Nell’episodio 7 si tratta del personaggio di Claire, attivista in fuga accusata di un disastro ambientale legato a una piattaforma petrolifera. Qui la serie interroga quanto l’attivismo possa essere sostenuto dal sistema mediatico, quanto le storie eroiche possano essere assorbite come marchi, oppure cannibalizzate. Inoltre, cosa succede se l’attivista è anche un prodotto mediatico? Se la “denuncia” diviene contenuto?
La verità è pericolosa e quello che facciamo qui è importante; e nessun tipo di intelligenza artificiale o social media può sostituirlo. Quando un giornalista viene imprigionato è perché qualcuno vuole metterlo a tacere. Noi ci batteremo per Bradley.
Il ruolo del giornalista: immagine, modello, potere
Se la serie serve da esempio per i media contemporanei, la figura del giornalista assume un ruolo emblematico: dalla stagione 1 alla 4, la metamorfosi dei personaggi e della professione riflette il cambiamento del mondo mediale. Ora, alla quarta stagione, è utile chiedersi: qual è l’immagine che ne esce del giornalista? E meglio ancora: cosa dovrebbe essere un giornalista? Qual è il potere dell’informazione? Qual è il potere di chi la controlla?
Personaggi come Alex e Bradley incarnano l’ambizione, la crisi di identità e le ambiguità morali. Non sono personaggi negativi, ma sono estremamente umani ed estremamente sensibili alle circostanze in cui si trovano. Nella quarta stagione l’immagine è ancora più complicata. Il giornalista non solo racconta ciò che accade, ma è anche immerso totalmente in una realtà che non comprende pienamente, perché non può: il dilemma etico che circonda l’arresto di un’attivista che non si sa se sia effettivamente una terrorista; l’esigenza di correre più veloce dei propri rivali, inciampando in tecnologie che ancora non sappiamo usare; comprendere quanto il sistema che vogliamo rivoluzionare dall’interno ci abbia già trasformato a suo piacimento.
In tutto questo l’unica via che sembra essere corretta è quella della presa di posizione: ciò che ancora può distinguere un giornalista da un Brodie con un podcast che spara a zero, su ogni cosa sono i propri valori. Puoi avere tutta la libertà di espressione del mondo, ma, se non sai cosa vuoi, le tue parole non conteranno niente, quanto le tue azioni. Ciò che leggo tra le righe di questa stagione è che la presa di posizione dei giornalisti è l’unica cosa che può effettivamente difendere la verità e la libertà di poterla esprimere. Non è più solo l’informazione il centro della questione, ma è come la presenti e come la tuteli.
Non a caso la serie arriva ad affrontare importanti tematiche, come la sicurezza dei giornalisti e la paura dei regimi verso il ruolo che rappresentano.
La verità è pericolosa e quello che facciamo qui è importante; e nessun tipo di intelligenza artificiale o social media può sostituirlo. Quando un giornalista viene imprigionato è perché qualcuno vuole metterlo a tacere. Noi ci batteremo per Bradley. Trasmetteremo questa storia per tutto il tempo necessario. Questo è il day 1. Non smetteremo di parlarne finché non tornerà a casa.
Produzione cinematografica: cast, regia e livello tecnico
Per concludere, commentiamo la serie dal punto di vista strettamente produttivo: la quarta stagione conferma una serie dal budget elevato, con cast di prim’ordine e una regia attenta alle dinamiche visive del mondo mediatico. Studio televisivo, news-room, monitor, riflessi, interviste in diretta, ambienti plastici diventano metafora dello spettacolo dell’informazione. Seppur mi sia piaciuta veramente molto, spero in una conclusione dello show degno della trama costruita in questi anni, perché il rischio ora è quello di trasformare una serie di attualità che ha qualcosa da dire - e lo dice forte - ad un programma che va a franare sulla ripetitività.
Jennifer Aniston (Alex Levy) continua a essere il volto che attraversa la metamorfosi del network: la sua performance mostra stanchezza, desiderio di controllo, ambiguità morale. Reese Witherspoon (Bradley Jackson) mantiene la sua grinta iniziale, ma la serie le concede ora momenti in cui la sua fragilità emerge e la scelta di tradire una fonte la colloca in una zona grigia molto più ampia. Il personaggio di Bradley probabilmente è quello che meno mi ha convinto in questa stagione, mentre l’attrice - come nelle altre stagioni - non ha deluso. Billy Crudup, Greta Lee, Néstor Carbonell e altri attori secondari aggiungono profondità alla serie, compresi tutti i nuovi attori della quarta stagione, che mi hanno convinto. Il declino del personaggio di Stella è stato forse il punto più doloroso della serie per me, in quanto morivo dalla voglia di vedere cosa sarebbe scaturito dal crollo dell’idea che si ha di sé stessi. Mi è dispiaciuto molto che il personaggio di Greta Lee sia venuto a mancare proprio nel momento in cui raggiungeva il suo apice di profondità.