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Ambientazione dark fantasy, simbolismo, esplorazioni e viaggi in universi costituiti da tinte cupe, da una narrazione capace di generare miti in un mondo ambiguo e dominato dal mistero. Sono questi gli ingredienti principali del genere videoludico soulslike, che deve il suo nome dalla saga di Dark Souls, apripista col suo grande successo di una categoria destinata a una grande fortuna.
Nel corso degli ultimi quindici anni, questo genere ha trasformato profondamente il modo in cui immaginiamo, raccontiamo e attraversiamo i mondi fantastici. Nati come “semplici” opere videoludiche, i videogiochi del genere souls sono diventati veri e propri universi narrativi in grado di dialogare apertamente con la tradizione della letteratura fantasy. Da essa traggono estetiche, simboli e modelli, restituendo al tempo stesso una nuova sensibilità che sta influenzando numerosi autori contemporanei. In un dialogo circolare, la letteratura fantasy fornisce ai soulslike l’immaginario di base, mentre i videogiochi modificano la modalità con cui certi mondi vengono raccontati nella recente narrativa.
L’eredità più evidente proviene dalla grande tradizione mitopoietica moderna inaugurata da J. R. R. Tolkien: essa trova nei videogiochi souls una nuova vita, specialmente nel modo in cui essi costruiscono e presentano il loro universo narrativo. Come nel testo tolkeniano The Silmarillion, la storia del mondo preesiste all’opera: nei videogiochi, però, questa non viene mai offerta in forma compatta, bensì disseminata in frammenti, oggetti, rovine e minime descrizioni. Ed è proprio nelle omissioni, nel mosaico instabile di una storia minata da vuoti che si inserisce un principio centrale per i soulslike: l’idea, cara già ad Umberto Eco in Opera aperta (1962), secondo cui il lettore-giocatore diviene co-autore, direttamente partecipe alla vicenda. Egli è quindi chiamato a ricostruire ciò che viene suggerito, ma mai spiegato. Tutto si svolge lungo il corso di una serie di eventi, che il giocatore deve mettere insieme per creare quella che poi verrà percepita come una narrazione.
Si tratta di una tecnica di worldbuilding (“costruzione del mondo”) meno esplicita, più immersiva, dove le informazioni non vengono trasmesse univocamente dall’alto ma scoperte seguendo indizi e tracce.
La tendenza a spingere la dimensione del sovrannaturale fin quasi al cosmico, invece, è decisamente figlia della produzione di Lovecraft, nella quale aleggia un costante senso di orrore cosmico. Bloodborne, iconico videogioco creato da FromSoftware, è ambientato in un contesto estremamente lovecraftiano: in un cupo e oscuro inizio Ottocento, il giocatore si immerge in un mondo popolato da creature contorte e terrificanti.
Questa poetica dell’assenza ha influenzato la letteratura fantasy recente, che sempre più spesso narra di storie frammentate, incorpora documenti, reliquie e frammenti di dialoghi come parti narrative, richiedendo al lettore un ruolo attivo nel capire il mondo. Insomma, un'inversione di rotta rispetto ai modelli epici talkeniani “spiegati”, coerenti ed enciclopedici. Diversi autori della scena grimdark e post-tolkeniana adottano oggi strutture narrative che rispecchiano perfettamente la logica dell’esplorazione videoludica: è il caso di Mark Lawrence, i cui romanzi presentano ambienti corrosi dal tempo, personaggi spezzati e architetture che raccontano più di quanto i protagonisti comprendano.
Questa estetica della decadenza così tipica dei soulslike ha alimentato nel tempo anche una crescente attenzione verso figure antieroiche, post – eroiche. I protagonisti non sono più i cavalieri retti e valorosi delle narrazioni classiche, bensì individui che vagano, persi, tra resti di civiltà perdute, mossi da motivazioni fragili o contraddittorie. Sono prevalentemente personaggi che non salvano il mondo, piuttosto lo subiscono.
Uno dei punti di contatto più significativi tra i due ambiti è la narrazione ambientale. Nei soulslike viene a delinearsi una modalità per cui è lo spazio stesso a raccontare storie. Rovine, architetture, resti, oggetti e materiali sono elementi semiotici a tutti gli effetti: parlano senza bisogno di dialoghi o monologhi esplicativi. La prosa fantasy influenzata dai soulslike, dunque, evita l’infodump per affidarsi, piuttosto, a suggerimenti e allusioni. E in questo contesto, trova spazio il gusto per l’estetica dell’ambiguità: il male non è mai assoluto, il bene non è mai chiaro ed il mondo è come una ferita aperta. Questa sensibilità si ritrova oggi in quella narrativa fantasy che privilegia il mistero al chiarimento.
Siamo di fronte a una vera convergenza culturale. La letteratura fantasy ha offerto ai soulslike i grandi archetipi, le estetiche del meraviglioso e dell’orrore, la profondità del mito e la potenza dell’immaginazione. Dal canto loro, i soulslike hanno restituito alla letteratura una nuova sensibilità: la dignità narrativa del frammento, la potenza dell’interpretazione come atto creativo. Oggi il fantasy contemporaneo pare segnato da questo doppio binario, che lo indirizza sempre più verso una narrativa “post – soulslike” plasmata dal mistero, dalla decadenza e dalla suggestione di mondi incomprensibili che chiedono non di essere compresi, bensì attraversati.