4
L’Altro di Pippo Pollina
Dialogo con l’autore
Le sedie, al Punto di Parma, sono tutte occupate. Pippo Pollina imbraccia la chitarra e le prime note di Sambadiò riempiono la sala: la musica apre la strada a parole, memoria e storie. Questo e tanti altri momenti hanno animato la serata di condivisione e curiosità che ha catturato il pubblico durante la presentazione del primo romanzo di Pollina, L’altro, lo scorso 10 novembre.
Pippo Pollina, noto soprattutto come cantautore, procede da anni la sua esplorazione degli stili narrativi. Con L’altro un romanzo di formazione, porta sulla pagina letteraria un viaggio che unisce impegno civile, attenzione sociale e un interesse crescente per il rapporto tra identità collettiva e individuale. L’intero libro ruota attorno alle vite di due uomini, Leonardo - detto Nanà - e Frank, che scorrono in parallelo ed apparentemente non si incontrano mai, ma che si intrecceranno infine in modo inevitabile. La narrazione si dipana in un arco temporale che va dalla caduta del Muro di Berlino fino all’attentato delle Torri Gemelle: un orizzonte storico ampio, che accoglie migrazioni, identità in bilico, potere mafioso ed impegno civile.
In un pomeriggio che ha unito musica, letture e riflessioni c’è stato modo di immergersi a pieno in un mondo dominato dalla mafia, c’è stato modo di parlare a lungo con Pollina e da questa conversazione è tratto il dialogo qui riportato.
Pippo, perché “L’altro”? Chi è l’altro? È “altro” inteso come distante, opposto, sconosciuto? Oppure è “l’altra” parte di sé che ancora non si conosce?
Questa domanda ha una duplice risposta. Visto che questa è la storia di due personaggi, descritti parallelamente, c’è questa sorta di specchio dei due personaggi, Frank e Nanà, che percorrono le loro strade come rette parallele ma un bel giorno si incontreranno e si conosceranno.
E poi l’altro è quella parte di noi stessi che non si è manifestata. Io penso sempre che noi non siamo soltanto il risultato delle sperienze che abbiamo fatto e delle scelte che abbiamo operato, ma siamo forse anche e soprattutto il risultato di quelle esperienze che non siamo riusciti a fare ma che avremmo tanto desiderato. È come dire che c’è un’altra persona che scorre accanto alla nostra ed è quella pregna di quelle scelte che non abbiamo fatto. Esiste dunque questa dimensione “psicologica” dell’altro che non è soltanto riferita al dualismo che caratterizza questo romanzo.
Come abbiamo detto prima, tu hai scritto musica nella tua vita, sei e sei stato sempre soprattutto cantautore, e la musica mi pare sempre un elemento ricorrente, anche all’interno de L’altro. Come mai, dunque, questa inversione di rotta verso la scrittura in prosa, verso un romanzo?
La forma – canzone è una forma breve, di tre o quattro minuti, carica della sua drammaturgia, ma si configura sempre come una fotografia, come un racconto breve. Ad un certo punto, però, questa forma mi stava stretta. Avevo l’esigenza di spaziare, di raccontare senza limiti una storia, dilatandola su due, trecento pagine. Io sono sempre stato un grande lettore e ho sempre avuto una certa fascinazione verso i romanzieri, verso la loro capacità di dilatare un racconto o un’idea su trecento pagine pur mantenendo la tensione necessaria perché il lettore prosegua nel viaggio. Mi sono chiesto spesso come facessero. E proprio domandandomi questo, complice anche la pandemia che ci teneva chiusi in casa, ho pensato fosse l’occasione per realizzare questo mio sogno. È sempre stato tale, non mi ero mai cimentato in un impegno del genere perché non mi ritenevo in grado di farlo. Così ho cominciato a scrivere e mi sono fatto appassionare, tanto che quotidianamente passavo dieci, dodici ore in scrivania (saltando anche qualche pasto) senza nemmeno rendermi davvero conto del tempo che passava. Dopo tante ore di scrittura, spesso avevo concluso appena una pagina a furia di tagliare, modificare e rimodellare. Ma è stato un gran piacere per me: è bello ricordare come, alla fine di quelle giornate di lavoro, mi leggevo con sommo piacere, ad alta voce, quella paginetta. È stata una bellissima sensazione. Quello che ricordo più di tutto è proprio il senso di piacevolezza che avvertivo, a fine serata, nell’aver prodotto quella pagina, striminzita ma che per me significava tanto.
Entrando ora nel romanzo vero e proprio, trovo interessante capire che cosa ci sia davvero di Pippo in Nanà e in Frank, in questi due personaggi che sono costruiti così bene da sembrare vivi, reali.
Io credo che ogni scrittore introduca nel proprio romanzo degli elementi biografici. Mi sono spesso sforzato di intuire questo anche attraverso le opere dei grandi scrittori. Infatti, devo riconoscere che qui e lì introduco all’interno dell’opera un ricordo, un aneddoto di cui sono stato testimone ed altri piccoli elementi che ho vissuto in prima persona o che mi sono stati raccontati. Dunque certo, qualche cosa c’è, ma la storia portante non è biografica.
Parlando ora di mafia: in L’altro, molto spesso si parla di come la mafia muti costantemente nel tempo, anche nel corso della decina d’anni che copre il tempo del romanzo si percepisce. Dunque, se dovessi scrivere un Nanà oggi, che Nanà sarebbe? Cosa ci sarebbe di diverso? Che ambiente sarebbe quello in cui è calato questo protagonista?
Ci sarebbero certo delle grandi differenze. Il mondo, rispetto a quando il romanzo è stato ambientato, a partire dal 1988 fino al 2001, sono cambiate tante cose. Ad esempio, l’avvento di Internet ha rivoluzionato completamente il nostro modo di comunicare, o ancora l’attentato alle Torri Gemelle che ha innescato uno “scontro di civiltà” che ancora oggi riverbera ampiamente e si fa sentire.
Oggi Nanà non sarebbe certo lo stesso: il Nanà allora trentenne sarebbe sicuramente un ragazzo forte di una società piena di tecnologia che prima non era tale. Alla fine degli anni Ottanta non potevamo contare su tutti i dispositivi che oggi influenzano fortemente la nostra vita e la pilotano. Sarebbe certamente un Nanà che si confronta con le sue problematiche con un bagaglio nettamente diverso. Oggi, addirittura, sarebbe un uomo di sessantacinque anni, forte di tutte le esperienze fatte e si confronterebbe con questa nuova società con degli strumenti in più, che gli servirebbero per decodificare la nostra vita odierna in modo più compiuto.
Pensando ora alle pagine del romanzo, è inevitabile notare la figura dello zio Rocco, personaggio per certi versi ambiguo, che incarna una sorta di saggezza antica ma strettamente devota alle dinamiche di potere che governano la Sicilia degli anni Novanta. Insieme, però, dimostra anche una certa forma di affetto sincero seppur distorto nei confronti dei suoi nipoti. Ecco, qual è il limite tra protezione e dominio in una situazione del genere?
Io credo che Rocco Conigliaro sia la rappresentazione di una relazione estremamente contraddittoria coi suoi due nipoti. Rocco è un mafioso, che non ha avuto figli e per questo vede in Leonardo e in sua sorella Francesca i figli che lui non ha avuto. Suo fratello, Enzo Conigliaro, era già morto da un po’, e per questo Rocco si sentiva responsabile dei suoi ragazzi, anche se era cosciente che loro fossero diversi da lui, soprattutto Nanà. Questo zio è la rappresentazione di una cultura arcaica, che scompare pian piano, ed è anche il prodotto di una cultura tipica di quegli anni, un mafioso vecchio stampo. Rendendosi conto che il nipote non è della sua stessa pasta, nel tentativo di proteggerlo, non riesce a tenerlo fuori da certe logiche. Sarà questo a creare il principio del problema principale di Nanà. Ad un certo punto della storia, egli apre il suo ambulatorio sul corso principale del paese, ma perché lo fa? Da una parte, sa che la famiglia ci tiene; dall’altra, perché lo zio, grazie ad una serie di “favori”, riesce ad accaparrarsi questo posto tanto ambito da altri medici del paese. Tutto questo, però, ha un costo: e chi lo paga? Anche Nanà dovrà confrontarsi con questa cambiale, che sarà costretto a pagare, anche se lui non è né affiliato con famiglie mafiose né condivide questo tipo di mentalità. Si trova piuttosto ad essere prigioniero, tra l’incudine e il martello per usare una metafora. Lo zio gli concede di aprire l’ambulatorio, lui era indeciso, ma non riesce comunque a sottrarsi a questa situazione, e alla fine cede. Questo atteggiamento remissivo, tipico di una certa generazione e di una “certa Sicilia” che non vedeva un altro futuro, finisce per essere una scelta drammatica, che lo porterà sull’orlo del baratro da cui riuscirà fortunatamente a salvarsi.
Questo, se vogliamo, è anche il dilemma di una condizione familiare in cui si vive e che ti pone di fronte a scelte laceranti davanti alle quali qualsiasi “movimento” ti mette in grave difficoltà.
A tal proposito, poco fa abbiamo sentito lo zio Rocco dire: “La cattiveria è una cosa normale, come la pioggia e la fame. Anzi, è l’istinto che ti salva dalla rovina”. Sulla scia di queste parole e del personaggio che le pronuncia, quali sono il limite e il rapporto tra morale e sopravvivenza in un contesto come questo? Questa frase è davvero un modo di difendersi o è più un modo per giustificarsi davanti alle scelte che compie?
Rocco Conigliaro crede profondamente a questo discorso. Crede che un pizzico di cattiveria nella vita sia non soltanto importante, ma perfino necessaria, perché nel grande dramma dell’homo lupus il modo per difendersi è anche saper tirar fuori gli artigli. Mostrare questa cattiveria non è necessariamente negativo. Come lui stesso dice nel suo discorso, non segni un gol senza la “cattiveria”. Per cui, siccome è questo ciò che conta, un po’ di cattiveria è giustificata nella vita se non si vuole soccombere e diventare vittime. Lui si rende conto che Nanà non è della sua stessa pasta e non è disposto ad entrare come affiliato nella famiglia mafiosa della “onorata società”, dunque sa bene che non potrà mai forzarlo troppo. Cerca dunque di trovare delle giustificazioni per far comprendere al nipote ciò che è necessario fare.
È possibile, quindi, seguire un’etica senza che questa diventi debolezza?
Questa è la grande bugia di Cosa Nostra, che sostiene di avere una sua etica: non è vero niente. È soltanto legata all’accumulo del potere e del denaro. Tuttavia, si trinceravano (almeno fino all’avvento dei cosiddetti Corleonesi) dietro un apparato di regole quali il non coinvolgere donne e bambini. Su queste regole, falsamente giustificavano tutte le loro malefatte. Esiste quindi, in teoria, un’etica mafiosa, che non è mai stata davvero osservata da nessuno e che viene sfruttata ogni qualvolta serve farlo: si tratta solo di scuse.
Pippo, solo un’ultima domanda. Ti chiederei di lasciarci scegliendo un’immagine o una frase dal romanzo che ne riassuma l’essenza, che sia emblematica per descrivere L’altro e la realtà che vuole rappresentare.
C’è un personaggio al quale sono molto legato nel romanzo: Don Calogero. Compare all’inizio quando Nanà va a prendere un caffè al bar. Don Calogero è il proprietario del bar di Camporeale dove, ogni giovedì sera, quattro amici (tra cui Nanà) vanno a giocare a carte. Ecco, lui è la grande anima di questo paese: è anziano, conosce tutte le storie del paese, è un uomo saggio cresciuto in un ambiente difficile pur riuscendo a tenersene lontano. È quel padre che questi quattro ragazzi non hanno avuto, e il suo bar è il centro del paese dove tutto succedeva.
Ad un certo punto, Nanà e Don Calogero si trovano in una condizione per la quale non si vedranno più per molti anni; l’uomo riesce, però, a fare avere al giovane una lettera, che riassume perfettamente l’essenza del romanzo a parer mio.
Caro Nanà,
affido questa mia lettera ai poliziotti dell'antimafia, fiducioso che riusciranno a fartela avere. Spero che tu, Francesca e Carmelino stiate bene. Qui molte cose sono cambiate. Dopo l'arresto di Ignazio Tacco il suo locale è stato sequestrato dai carabinieri e così tutta la clientela è ritornata a servirsi da noi. Antonio lavora dalla mattina alla sera e ha addirittura assunto un cameriere perché da solo non ce la faceva. lo, invece, invecchio giorno dopo giorno e anche se cerco di rendermi utile, sento che è arrivato il momento di farmi da parte. In fondo, quasi tutta la gente che conoscevo non è più a questo mondo e, dall'alto dei miei ottantasei anni, mi dico che ho dato quello che potevo. Devi sapere, caro Nanà, che qui siamo fieri di te. Con il tuo coraggio non hai salvato soltanto una vita ma hai dimostrato che è arrivata l'ora di ribellarsi alle ingiustizie. L'onorata società, come la chiamavamo noi, non esiste più da tanto tempo. Questi sono soltanto dei criminali che non conoscono il valore della vita e del rispetto. I soldi, caro Nanà.
I soldi hanno accecato la vista a chiunque facendoci dimenticare da dove siamo venuti e con quali principi siamo stati allevati. Speriamo che le cose cambino presto ma io non ci credo più di tanto. Non passa giorno in cui non parliamo di te. In cui non ci ricordiamo di quelle serate felici e spensierate trascorse a giocare a carte e a discutere sul nostro piccolo e, forse, insignificante mondo. Ma in fondo, non sono proprio le cose semplici che ci riempiono di bellezza e di amore? lo ti ho voluto bene come un figlio Nanà, e alla fine della mia vita sento il dovere di ringraziarti. Tu e gli altri ragazzi mi avete fatto sentire importante, scegliendo di passare parte della vostra gioventù in mia compagnia. In compagnia di un vecchio che, tutto sommato, poteva offrirvi solo un buon caffè. Non so quanto tempo mi rimane ancora ma la mia speranza è che possa essere sufficiente per poterti, un giorno, riabbracciare. È l'ultimo vero desiderio che mi sento di chiedere a questa vita. Ti abbraccio affettuosamente.
Tuo, Don Calogero
Al termine delle domande, cala in sala un silenzio denso di pensieri.
Quello che emerge chiaramente da questa intensa conversazione è che L’altro non è un romanzo che cerca il colpo di scena: vuole interrogare, inquietare, far riflettere. Pollina non offre risposte assolute, quanto piuttosto direzioni. Una consapevolezza emerge netta: la storia di Nanà e Frank parla del passato, ma il suo messaggio riguarda tutti noi anche oggi. Perché la mafia non è solo un fenomeno storico: è una presenza che incide sulla società e sulle identità. E il dialogo tra sé e l’altro è e rimane tema aperto, urgente e condiviso.
guarda il video dell’intervista completo su youtube