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La Costituzione antifascista imbarazza la destra.
Ad ogni buona occasione il nostro presidente della Repubblica non manca di ribadire il principio fondamentalmente antifascista della Costituzione italiana, lo stesso paradigma valoriale che animò l’Assemblea Costituente, durante quell’annus mirabilis che fu il 1946. Dopo tutto, Sergio Mattarella non fa che adempiere al suo ruolo di garante, nonché difensore della Carta Costituzionale. E di tale lavoro apologetico c’è, a quanto pare, un gran disperato bisogno, dato che l’attuale governo di destra sembra ridicolmente incepparsi come un motore ingolfato, non appena parte l’attacco di “Bella Ciao”. Ricorderete, al contrario, di come nel 2019 l’ugola di Giorgia Meloni vibrasse appassionata, di fronte all’Altare della Patria, alle note de “La leggenda del Piave”. Sarebbe inutile proseguire oltre nell’elenco delle occorrenze in cui personalità politiche di spicco si siano rifiutate di dichiararsi antifasciste (dichiarazione che, oltretutto, è ufficialmente richiesta dal giuramento di insediamento che ogni nuovo governo deve firmare). Già troppi giornali hanno speso parole per narrare questa indegna mancanza; alcuni, ottimisti, hanno tentato addirittura- nella maggioranza dei casi infruttuosamente- di estorcere una mezza frase partigiana a quei neofascisti che occupano Palazzo Chigi… Ehm… Scusate… Intendevamo dire semplicemente: “deputati”... Colpa di un maledetto lapsus freudiano.
Ma torniamo alla nostra indagine di partenza, cui occorre fare una premessa.
Diversamente da quanto scritto dalle testate giornalistiche, come pure in virtù dell’originalità per cui intendiamo essere contraddistinti, ci sforzeremo di comprendere il socratico perché che sta dietro al rifiuto di antifascismo summenzionato.
Prima di condurre l’indagine, è bene chiarire che non abbiamo alcuna pretesa di affidabilità scientifica in ambito psicologico, né psichiatrico. Pertanto leggerete una nostra proposta interpretativa tra le tante che se ne possono dare, nella speranza che possa ispirarvi ulteriori riflessioni e portarvi verso altri sbocchi esegetici.
Per analizzare le concause dell’annuale imbarazzo che si crea ogni 25 aprile, occorre evidenziare che tutta la storia dei partiti nazionalisti e conservatori è costellata da contraddittorie prese di posizione ideologico-propagandistiche. Basti rammentare, a titolo esemplificativo, la grande ammirazione con la quale l’Italia di Mussolini guardava al modello culturale statunitense, naturalmente prima del ‘43, allorché gli USA entrarono in guerra come forze alleate, nemiche del regime. Il desiderio fascista non era tanto quello di emulare lo stile di vita e la cultura americana, quanto piuttosto quello di identificarsi totalmente con lo spirito occidentale, puro ed incorrotto nel suo primitivismo, di cui il popolo dello Zio Sam era figlio legittimo. Gli Stati Uniti, in effetti, erano visti come una nazione nuova e vivace, foriera di una Weltanschaaung (visione del mondo) fiammante che ambiva ad un futuristico progresso artistico, tecnologico e umano in generale. In svariate lettere Vittorio Mussolini, rampollo del Duce, esalta il giovanilismo ed il vitalismo che avvicinava l’America e l’Italia, soprattutto in luce del fatto che ambedue esprimevano una loro volontà di potenza attraverso i primati sportivi, artistici e cinematografici. Tuttavia, la bestiale e primitiva purezza yankee era, nel frattempo,oggetto di desiderio e utopia letteraria da parte di una cerchia di autori dichiaratamente ostili alla camicia nera, quali Elio Vittorini, curatore di “Americana”, la più importante antologia di racconti della letteratura statunitense mai tradotta; Cesare Pavese, traduttore, tra l’altro, del “Moby Dick” e di “Uomini e Topi”, il quale, con “La luna e i falò”, dipinge il nuovo continente come un sogno di una landa brulla ed innocente nella sua primitiva violenza; e poi Emilio Cecchi, Eugenio Montale, Pier Paolo Pasolini,Italo Calvino…
Questo caso, a nostro avviso, può bastare a spiegare quanto già il regime mussoliniano non avesse stabili colonne valoriali. Invero non fece che millantare una fratellanza spirituale col nemico, arrogandosi indebitamente il merito di contribuire al progresso mondiale tramite la sua sanguigna gioventù. In altri termini, le camicie nere costruirono la base del loro consenso sbandierando false primazie militari, culturali, morali e perfino genetiche, come si evince dall’alleanza con Hitler.
Ora, qualcuno potrebbe essere indotto a pensare che l’ipocrisia sia un elemento insito nella natura dei reazionari. Lungi da noi muovere una tale grave considerazione: vogliamo solamente riportare la difficoltà che la destra ha sempre avuto nello scegliersi i propri simboli, i propri modelli, la propria identità di pensiero.
Altri potrebbero contestare che il ventennio non ha nulla a che spartire con la destra attuale. Ebbene, costoro evidentemente non ricordano che molte delle formazioni politiche di destra hanno radici che affondano in movimenti post-fascisti. Il caso più emblematico è certamente il Movimento Sociale Italiano (MSI), sorto per sopperire alle esigenze di continuità politica di ex sostenitori del regime. Trasformatosi negli anni ‘90 in Alleanza Nazionale (AN),sotto la guida di Gianfranco Fini, si fuse con Forza Italia nel 2009, dando origine al Popolo della Libertà (PDL), per poi subire una successiva frammentazione che porterà alla nascita di Fratelli d’Italia. Ed ecco svelati gli altarini!
Tornando all’attualità e al problema iniziale, non possiamo non accorgerci che, se per molti italiani il passato fascista rappresenta un momento buio della storia nazionale, per altrettanti -ahinoi!- è quasi motivo di orgoglio. La triste testimonianza di ciò è data dalle celebrazioni anniversarie a Predappio; dai matrimoni e dalle feste nostalgiche, dove spesso, anzichè le classiche canzoni di augurio, riecheggiano le strofe di “Faccetta nera” e “Me ne frego”; dalle curve ultrà negli stadi, capeggiate da teste calde che portano tatuate svastiche e fasci littorii. E come non citare il caro saluto romano, un gesto che, in certi casi, ha trovato l’assurda assoluzione della Cassazione. Pare proprio che la propaganda del “mascelluto” -così Gadda dileggia Mussolini il “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”- faccia presa ancora dopo un secolo, principalmente perché a tutti piace considerarsi i migliori. Il Priapo Maccherone Maramaldo - altro epiteto gaddiano- è stato capace di dire agli italiani ciò che volevano sentirsi dire, e cioè che non erano l’ultima ruota del carro, bensì la punta di diamante del genere umano. Dacché cadde l’impero romano d’Occidente, e forse anche prima, le genti d’Italia hanno infatti sofferto di un cronico complesso d’inferiorità al cospetto degli altri popoli, che Dante lamenta plurime volte nella “Commedia” (nella fattispecie, cfr. Purg. VI, vv.76-78: <<Ahi serva Italia, di dolore ostello,/nave sanza nocchiere in gran tempesta,/non donna di provincie, ma bordello!>>), così come Petrarca nella canzone “Italia mia, benché 'l parlar sia indarno”, e poi Machiavelli,Foscolo, Manzoni e Nievo- per menzionare i più noti.
Risaputa è anche l’opinione che il cancelliere austriaco Metternich nutriva verso l’Italia, avendola descritta quale una mera espressione geografica, priva di peso nei giochi di potere europei del XIX secolo. Dunque è indubbiamente logico che la manifesta fierezza del fascismo abbia potuto godere di facile successo e longevità, traendo vantaggio dalle ataviche ferite morali della nostra nazione. Avendo, dipoi, inscenato una pantomima secondo cui il regime avrebbe assunto il ruolo che era appartenuto alla Roma imperiale, gloria e onore del popolo italiano, il dittatore Mussolini ha impresso alla nazione un pericoloso senso di cameratismo,ispirato all’odio e alla prepotenza verso tutto ciò che è diverso, nonché alla repressione di qualsiasi forma di dissenso. E questa base cameratesca è ancora ben visibile nei raduni leghisti di Piazza Pontida, dove al segretario Salvini basta farfugliare qualche parola razzista, ma con tono deciso e cadenzato, affinché s’alzi una fiumana di persone in visibilio, pur non avendo afferrato il significato delle suddette parole. Il cameratismo repressivo sopravvive,purtroppo, ancora oggi, e non può che cozzare con i principi democratici condivisi dal resto dell’ Unione Europea. Eppure, la repressione del dissenso ha trovato il proprio coronamento nel ddl sicurezza 1660. Ma non conviene dilungarsi in un’ulteriore digressione in merito ai nuovi provvedimenti usurpatori dei diritti, in quanto il filo del nostro ragionamento rischierebbe di perdersi.
Un altro e più sottile motivo per il quale il centrodestra aborrisce le immagini partigiane è il fatto che l’antifascismo è sempre più percepito come elemento di strumentalizzazione delle sinistre, che si avvarrebbero dei simboli della Resistenza come armi politiche contro i loro avversari. In molti, quindi,ritengono che l’opposizione abbia trovato nei canti partigiani sia un rifugio costituzionalmente protetto, sia un potente mezzo di ricatto con cui sottoporre ad un’ inquisizione mediatica le odierne forze di maggioranza. In definitiva,anziché aderire ad una posizione che viene percepita come parte della retorica della sinistra, la destra preferisce evitarla,il che, però, implica conseguentemente una sorta di simpatia per il fascismo.
Piuttosto che trovare nell’antifascismo una comune linea valoriale tracciata col sangue dei nostri nonni (come, del resto, auspicato da Alcide De Gasperi, Palmiro Togliatti, Giuseppe Saragat, Bernardo Mattarella, Concetto Marchesi e Piero Calamandrei) la politica degli ultimi anni vi ha trovato un fattore di distanza e ostilità.
Mentre Giorgia Meloni tenta di persuaderci che fascismo ed antifascismo sono concetti legati ad un atavico passato,sicché non meritano uno spazio di trattazione nel dibattito politico attuale, i 139 articoli della Costituzione tremano e la democrazia si sfalda. E allora, l’unica cosa che ci resta da fare è continuare a denunciare e far valere la nostra libertà, in qualsiasi sua forma.
Il fascismo non è una chimera: è un frutto marcio, il cui seme rischia di germogliare ancora in chi, come Vannacci, disprezza la dignità umana e i diritti civili. Ricordare il fascismo è un dovere, combatterlo è un atto di giustizia.
Autore
Niccolò Delsoldato