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Il 15 maggio del 1993 viene istituita, dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, la Giornata Internazionale della Famiglia. Perché non sfruttare l'occasione per scrivere di unione e conflitti. Di radici, zavorre e risorse, come nel libro di Ameya Gabriella Canovi, "Di troppa (o poca) famiglia", un libro che parla a tutto tondo di cosa si cela dietro i rapporti familiari; e a raccontarci, con la lente d'ingrandimento, cosa succede dentro e fuori le quattro mura di casa, se ne occupa una psicologa, specializzata nello studio delle relazioni e della dipendenza affettiva. Vorrei parlare di Famiglia, ma di quella vera. Non di quella televisiva, da Truman Show. Due genitori, un fratello e pochi parenti, il mio unico porto sicuro. Insieme a chi non c’è più, come i nonni, miei grandi insegnanti di vita. Mi hanno insegnato ad amare. Con l'amore, l'amicizia, che è famiglia, ma ci ho messo un po' per capirlo. Almeno tutta l'adolescenza. È normale sentirsi diversi, sbagliati, incompresi. Prima o poi arriva una scossa, un momento in cui capiamo chi siamo, il momento di autodeterminarsi, tanto da avere un posto nel mondo. Ma come scrive nel suo libro la dottoressa Canovi: "la vita è costellata di avanzamenti e retrocessioni", Noi, oscilliamo, come le famiglie, che sempre secondo la psicologa, si adattano e si riconfigurano. E talvolta si frantumano. Sta a noi restare a galla, nonostante le disgrazie: come la perdita di una persona cara. Bisognerebbe essere un po' come i genitori di Alessandro Venturelli, che non mollano, -non penso lo faranno mai-. Le indagini riaperte da ottobre dell'anno scorso proseguono e devono proseguire. Alessandro vive, nonostante non si trovi da quattro anni, perché il dolore che unisce i due genitori è una fiamma che non si è mai spenta. Come il desiderio di riabbracciarlo. La Famiglia del Mulino Bianco non esiste. O meglio, esiste, ma solo dal 1976, attraverso uno spot televisivo che ritrae una famiglia “ideale” e tradizionale. Niente di più.Credere ad una famiglia perfetta, dove i problemi non esistono, distacca le persone dalla realtà, permette di nascondersi, di vivere con i paraocchi. E’ legittimo avere paura di affrontare quello che c’è là fuori. Non è giusto far finta che sia normale. Oggi, tutto è diventato più grande di noi, in un mondo social, dove tutto viene condiviso; niente è più custodito. Valori che non sono più una forza ma una debolezza, legami che si sgretolano a colpi di click, cosa ci rimane? Dentro allo schermo rimangono solo delle facce pulite, dei ritratti che camuffano l’amore, la famiglia, la ricerca della felicità. Niente è più vero di ciò che viviamo, di ciò che è radicato in noi. Tutti combattiamo le nostre battaglie quotidiane, vestiti dai dubbi, lavati dalle false speranze. Com’è possibile soffermarsi all’apparenza, credendo al mondo felice che ci vogliono vendere. E’ troppo facile, non spingersi oltre.Basterebbe alzare la testa, per vedere in quale direzione stiamo andando. Oltre i social. Più nel sociale. Basterebbe leggere un giornale una volta ogni tanto, per rendersi conto di come si stia scivolando verso una totale perdita di umanità. Sentiamo parlare di fatti drammatici tutti i giorni, di chi uccide chi dovrebbe proteggere, di chi distrugge famiglie e tutto ciò che ha creato. Ci raccontano di figli che scappano da crude realtà, o che muoiono per strada, alla luce del sole, al buio, dentro edifici abbandonati, dove la vita come un soffio finisce; tragedie, tutti i giorni a ripetizione. Neanche a casa si è più sicuri, neanche di chi ci si fida, si è sicuri. Basterebbe ascoltare le storie delle vittime. Che non ci sono più, che l’hanno scampata, che lottano o hanno lottato e che forse un giorno potranno parlarne, di quanto sia importante la vita. Recentemente a San Secondo Parmense in provincia di Parma, un uomo tenta di uccidere la moglie e poi si schianta contro un Tir e muore, ferendo altre due persone. La donna non era da sola, ma due angeli custodi, due dei suoi quattro figli, di 6 e 8 anni che la vedono sanguinante a terra, chiedono aiuto, disperatamente; E le salvano la vita. Non basta fingersi la famiglia del mulino bianco per vivere meglio, perché quest’ultima non esiste, è solo un’apparenza, ma i problemi esistono e sono tanti. Bisogna trovare solo il modo migliore per conviverci e farsi aiutare. Con le sue storie e la sua perfetta analisi, la dottoressa Ameya Gabriella Canovi dimostra questo. Il suo libro “Di troppa (o poca) famiglia” tocca diversi punti, in cui noi tutti ci possiamo ritrovare. Consiglio caldamente questa lettura.