8
Era cominciato tutto con una scintilla.
Il mio pollice che preme sulla rotellina dell’accendino, la fiamma che con un sibilo si accende. È l’unico suono nel raggio di almeno un chilometro, l’unica luce in quella notte di primavera.
Subito dopo, i nostri visi si avvicinano e le fiamme diventano due, gemelle, ad attizzare le nostre sigarette. Sono spettri danzanti in quella radura in mezzo agli alberi che è il nostro posto speciale nel mondo, perché lì il mondo siamo solo noi.
A quel punto abbiamo quindici anni.
Fa freddo, ma pensiamo ingenuamente che quei piccoli fuochi ci possano scaldare, mentre riempiamo i nostri polmoni di fumo. Ci crediamo abbastanza da ripetere questo stesso rituale da mesi, almeno una volta a settimana, strettamente il giovedì o il venerdì sera, perché solo mio padre mi lascia stare fuori fino a tardi. È divertente concentrarsi sul fuoco, quando è proprio quello che ci ha unite inizialmente. Compagne di gruppo durante la lezione di chimica, era ovvio che il primo esperimento dell’anno sarebbe andato storto, ma nemmeno noi avremmo potuto prevedere le nostre risate quando l’angolo del quaderno di Eve aveva cominciato a prendere fuoco. Tutta la classe ci aveva guardate come se fossimo delle psicopatiche, ma i nostri sguardi incrociati, le nostre labbra all’insù avevano già creato un universo a sé stante.
La radura non era molto distante dal paese, ma era un’oasi di pace che sembrava nessuno avesse ancora trovato quando noi l’avevamo scoperta, un tardo pomeriggio di autunno.
Ora le foglie cadenti sono tornate magicamente sugli alberi e noi siamo tornate ad essere, come ogni volta, due ragazze che si rifugiano dal mondo, creandone uno nuovo.
Siamo sedute sul tronco di un albero tagliato e Eve appoggia la sua testa sulla mia spalla, è la cosa più naturale del mondo. I suoi capelli mi solleticano il collo, ma io non mi muovo, non oso allontanarmi da lei.
-Odio tutti - sospira.
-Non è possibile - le dico, e lo credo davvero.
-Ah sì? E come fai a saperlo?
-Non odi me. - Un sorriso si allarga sul mio viso, spingendo le mie guance in su.
-Ne sei proprio sicura? - Potrei giurare che anche lei stia sorridendo.
-Al cento per cento.
-Sei insopportabile, Rora. - È il suo modo di dirmi che mi vuole bene. Il mio nome in realtà è Aurora, ma lei mi ha sempre chiamato così. Segretamente, amo il modo in cui quelle quattro lettere si formano sulla sua bocca. Fa freddo, ma con lei accanto a me nessun brivido mi risale la spina dorsale. Tranne quando allunga una mano sulla mia coscia, ma quello non è un brivido di freddo.
Senza bisogno di parole, le nostre dita si intrecciano. - Molto meglio - la sento mormorare.
Siamo migliori amiche, ma a volte vorrei non lo fossimo. Il modo in cui il mio stomaco si attorciglia quando mi guarda, in cui il cuore minaccia di uscire dal mio petto quando mi sorride è fin troppo complicato per una semplice amicizia.
Siamo migliori amiche, ed è la cosa più bella del mondo. È ciò che mi ripeto quando mi sorprendo a pensare altrimenti. Perché non ho mai avuto un’amica come Eve.
Non so come succede, perché le nostre facce sono nuovamente vicine, ma ora non ci sono sigarette a separarle, le fiamme sono solo le nostre.
-Rora?
-Sì? - Non ho mai avuto la gola così secca.
-Voglio tanto baciarti.
-Mmm - è tutto quello che riesce a esprimere il mio cervello in pappa, mentre la mia testa fa su e giù.
E poi le sue labbra sono sulle mie e le sue mani mi incorniciano il volto e riesco a sentire il sapore dolce del suo lucidalabbra e non riesco a sentire altro che lei, lei, lei.
Il tronco mozzato dell’albero è troppo stretto e, muovendoci, finiamo per perdere l’equilibrio.
Ridiamo mentre cadiamo nell’erba davanti a noi, una sopra l’altra, e
Eve accende con un fiammifero le due candele ai lati del letto. Dice che servono per creare atmosfera. L’atmosfera è l’ultima delle mie preoccupazioni in quel momento, mentre la mia ragazza si sdraia sopra di me.
A quel punto abbiamo diciassette anni.
La sua testa di capelli corvini corti sprofonda nel mio petto e, mentre il mio fiato si fa corto, ci sbarazziamo degli ultimi vestiti che ancora indossiamo. Le nostre bocche si ritrovano come calamite, le dita esplorano ogni centimetro di pelle, avide del mondo nuovo che incontrano.
Intanto, le fiamme bruciano accanto a noi.
Mi perdo nel calore, nei nostri respiri spezzati, nei nostri sguardi d’intesa, nei sorrisi e nei baci, nei tanti “ti amo” sussurrati, né i primi, né gli ultimi. Ai miei occhi, la sua silhouette è la cosa più lussuosa che potrei desiderare.
La sua mente è uno scrigno di mille segreti che da due anni a questa parte continuo a cercare di decifrare. Non c’è niente che mi affascina di più della scoperta. Anche ora, le scongiuro di dirmene uno.
-Vediamo… - È stretta a me, rigira una ciocca dei miei ricci fulvi tra le dita. - Non è giusto, però, sai già tutto.
-Ci deve essere qualcosa.
-Forse sì. Non ti ho mai detto che il lago è stato uno dei miei giorni preferiti.
Sorrido, mentre guardo il soffitto, ma la mia mente torna alle increspature della superficie dell’acqua intorno ai nostri volti, quando ci siamo sdraiate a guardare il cielo, cercando di trovare nella forma delle nuvole una premonizione per il nostro futuro.
Era una gita scolastica in cui saremmo dovute stare qualche giorno in tenda. Mentre il capo delle attività spiegava come fare dei nodi sicuri, qualcosa che si sarebbe potuto rivelare effettivamente utile, Eve mi aveva spinta a sgattaiolare via.
-Su, andiamo! - aveva esclamato davanti alla distesa del lago.
-Deve essere gelido.
-Vuoi scommettere? - Aveva cominciato a spogliarsi.
Non avevo potuto fare altro che imitarla.
Avevo avuto ragione, l’acqua era fredda, ma essere da sola con lei in quel lago era una pace che non sperimentavo da molto. La radura nel bosco era stata riconvertita in un parcheggio.
-Anche se hai rischiato di affogare? - le chiedo.
-Stavo solo esplorando il fondale.
Rido di cuore.
-È vero! - Poi si gira su se stessa per sfiorarmi il naso con il suo. - Lo sai che adoro esplorare i fondali.
Bacio il suo sorriso tre, quattro, cinque, sei volte e
-Rora, hai da accendere? - mi chiede.
Avvicino il mio accendino alla sigaretta tra le sue labbra. Abbiamo appena messo piede fuori da una festa di fine anno, la terza questo mese.
A quel punto abbiamo compiuto da poco diciotto anni.
-C’è una cosa che ti devo dire.
Le faccio cenno con la testa di proseguire e mi passa il mozzicone di sigaretta.
-Mi hanno presa.
Boccheggio, mentre esalo il fumo che ho ancora in gola. So che ora si aspetta qualcosa da me. - Io… non so che dire.
-Di’ almeno che sei felice per me, ti prego.
-Certo che sono felice per te, Eve, ti amo con tutta me stessa, non potrei non esserlo. - Le passo nuovamente il mozzicone.
-Ma?
-Ma sai anche tu che questo significa che faremo l’università in due città diverse e non saremo così vicine come prima e…
-Non dicevi che l’amore vince tutto? - Mi prende la mano, intrecciando le sue dita con le mie, poi bacia il dorso della mia mano. - Io credo in noi, Rora.
Io scuoto la testa. È troppo per questa sera. - Dovremmo tornare dentro.
Dentro, ci perdiamo nel ritmo della serata, tra le luci e le ombre, i balli e le esclamazioni.
I nostri corpi si avvicinano ancora una volta, temendo il momento in cui dovranno stare lontani.
L'euforia di quelle serate accompagna i miei ricordi, anche nella complessità delle emozioni, è sempre quella che prevale, che mi riporta il profumo - o forse meglio, l’odore forte, intenso - della spensieratezza.
Non sono mai più stata così ragazza e piena di dubbi, così bambina e piena di speranze.
Negli occhi di Eve riesco ancora a vedere riflessi i miei, le nostre risate ancora combaciano. È tutto quello che mi serve.
Così, mi è facile allontanare ogni pensiero negativo dalla mente e
Non ci sono fiamme sott’acqua. Mi immergo completamente, conto le bracciate che mi separano da un muretto all’altro della corsia. E poi di nuovo. E poi di nuovo.
Quando finisco la batteria sento la voce del mio allenatore. Non lo ascolto davvero, la mia mente è occupata da altro.
A quel punto ho diciannove anni.
Mi sto allenando per una competizione, ma non mi ricordo nemmeno quale. So solo che da quando ho iniziato l’università ho gettato tutta me stessa nel nuoto perché mi tenesse a galla, ma ora non posso fare a meno di sentirmi affogare.
Riprendo fiato, mentre la voce lontana del mio allenatore mi dice il tempo. La mia mente non respira, ma torna indietro, come spesso fa, correndo ai ricordi di noi al museo il mese passato.
Ci incontriamo almeno ogni due settimane e ogni volta sembra che il tempo non sia passato. Perché siamo ancora noi, ancora Eve e Rora, ancora due migliori amiche.
Ritorno all’immagine di Eve che mi prende per mano e mi trascina attraverso le stanze del museo. Si ferma davanti al quadro di una barca travolta dalle onde e anch’io mi sento improvvisamente inghiottita da quella burrasca. O forse è solo l’effetto delle sue parole accorte, che mi illustrano il mondo dell’opera d’arte davanti a noi e mi trasportano tra le onde, ora cullandomi nella tempesta.
Eve sta studiando storia dell’arte, per lei non c’è laurea più azzeccata. Con la mia in letteratura, non so dove sarò tra dieci anni, ma sono certa che un giorno mi girerò e scoprirò che lei è diventata una grande restauratrice.
Il modo in cui sa ridare vita a queste navi sepolte mi fa pensare che forse per noi ci sia ancora una possibilità.
Subito dopo mi dico, mi sussurro dolcemente, negli angoli della mia mente, che forse saremo solo uno di quei quadri appesi a prendere polvere, un’opera d’arte di altri tempi, da contemplare a distanza. E mi consolo, che potevamo avere una fine peggiore, perché ancora non abbiamo messo il punto a questa lunga frase.
Mi immergo di nuovo in acqua e penso che rispondere a Kia non sarebbe una brutta idea, che un primo appuntamento non è altro che una nuova avventura. Ora sono pronta a intraprenderla, mentre vedo già il sole sbucare dalle nuvole e
Piove a dirotto, il giorno in cui Kia mi lascia. Non posso dire che la rottura arrivi come un fulmine a ciel sereno, perché in quel momento siamo entrambe fradicie.
A quel punto ho ancora diciannove anni.
Non c’è molto da dire, davvero, se non che eravamo due pezzi di puzzle che proprio non combaciavano e che ci abbiamo messo mesi a capirlo.
Ma è stato bello, comunque, è stato nuovo ed entusiasmante e divertente. Il mio cuore non si è spezzato, solo scottato, e si è ricordato di essere ancora vivo.
Mi sembra quasi di tenerlo per mano, mentre mi incammino verso la festa di capodanno.
La casa è in mezzo al nulla e la maggior parte degli invitati non li ho mai visto prima, così, quando la vedo, mi sembra che tutti le luci siano su di lei.
Istintivamente penso a Harry ti presento Sally, non solo perché è la commedia romantica migliore di sempre, ma perché adesso mi sembra di viverla in prima persona. Non me lo sarei mai aspettata.
Per mesi ci siamo avvicinate poi allontanate, disegnando traiettorie incidentali come trottole impazzite. È stato esilarante fino a quando ha smesso di esserlo. Poi deprimente fino a quando non lo era più. Alla fine ho imparato ad amare quell'altalena di emozioni, perché sapevo che dopo ogni basso sarei tornata in alto e cercavo di dimenticarmi che anche il contrario valeva.
Più di ogni cosa, era difficile credere che non fossimo più quelle ragazzine nella radura e che, invece, fossimo state involontariamente gettate in un mondo altro.
E ora ci scontriamo di nuovo. Non posso fare a meno di pensare che in ogni universo, in ogni filo che tesse questo tempo impazzito, siamo destinate a ritrovarci, a ripercorrere insieme la strada verso casa.
Poco prima di mezzanotte qualcuno decide che è arrivato il momento giusto di accendere solo alcune stelline scintillanti - gli universitari squattrinati non hanno molti altri pirotecnici alla loro portata di mano. Eve si getta subito all’opera e mi fa segno con la mano di raggiungerla in cortile.
Quando la scintilla finalmente divampa, e ci vuole più di un tentativo perché lo faccia, la guardiamo entrambe, catturate da quella luce così piccola e allo stesso tempo scoppiettante, che dà l’illusione di essere inesauribile. Il mondo è di nuovo sui palmi delle nostre mani.
Il countdown inizia e parte di me comincia a trattenere il fiato, perché un nuovo anno sta per arrivare e non so se ho la forza di immergermici.
Al tre Eve si gira a guardarmi, all’uno la sua faccia è anche più vicina, poi qualcuno grida “Buon anno!” e lei sorride, mi guarda le labbra e poi gli occhi e mormora: - Un bacetto no?
E così ricomincia. Lascio finalmente andare il respiro che avevo trattenuto, che forse da mesi sto trattenendo. Mi sciolgo attorno a lei, mentre la stellina continua a bruciare, costante.
Non so come o quando succede, ma cadiamo, di nuovo, e non c’è caduta migliore, con lei tra le mie braccia, il suo corpo premuto sul mio e
-Tieni premuto ancora un po’. Ecco, vedi, ora funziona.
Dopo le parole di Eve la fiamma si accende, prima sul blu, poi sfuma in un arancione tendente al rosso. È la prima volta che usiamo questo fornello.
A quel punto abbiamo ventidue anni.
È la nostra prima casa insieme. Dico così, perché ne vedo tante altre nel nostro futuro. Ora non ho più paura di immaginarlo, ho solo un brivido di eccitazione per la scoperta di cose nuove.
Gli anni dell’università sono ormai passati, dopo essere durati un’eternità e uno schiocco di dita allo stesso tempo. Mi hanno regalato tanto e la mia mente ancora indugia tra i ricordi delle notti infinite e delle esperienze più strampalate.
Eve e io ci siamo perse e poi ritrovate e insieme abbiamo cercato di togliere dal magazzino quel quadro della nostra relazione. Abbiamo tolto la polvere e i segni del tempo. Abbiamo fatto alcuni passi, poco per volta, cercando di costruirci una nuova strada, un nuovo mondo, che potesse essere ancora nostro.
La fiamma diventa un fuoco fermo, ma ancora scoppiettante, e ci appoggio prontamente sopra la padella per iniziare a cucinare.
Così la cucina diventa il nostro pezzo di mondo, dove possiamo trovarci e assecondarci senza bisogno di parole. Tutto può essere trasmesso nuovamente con un singolo sguardo.
In questo mondo, il tempo si ferma e riprende, scorre e scivola, senza regole. Non è più una dimensione rilevante, non ce ne preoccupiamo. O forse fingiamo che sia così, che non ce ne interessi, all’ennesimo rifiuto di un posto di lavoro, a ogni difficoltà e lite.
Ritorniamo all’altalena, che è sempre stata la mia giostra preferita, seppur minacciasse di farmi venire la nausea. Non c’è bianco senza nero, ma io vedo tanta luce e futuro per noi, perché tutte le volte che guardo negli occhi di Eve non posso fare a meno di vedere l’infinito.
Le uova nella padella cominciano a sfrigolare e, in quel momento, Eve mi cinge i fianchi con le sue braccia e, molto lentamente, comincia a lasciarmi dei baci sul collo.
-Smettila, così mi distrai - le dico, ma segretamente vorrei che non si fermasse mai. Infatti lei, che mi conosce più di quanto io conosca me stessa, continua a baciarmi, le mie interiora avvampano come il fornello e
Una singola linea di fumo si sprigiona dal mozzicone appena prima che spenga la sigaretta, con forza, sul posacenere.
Inalo un’altra boccata d’aria prima di ritornare in ufficio. Intanto, la mia mente sta di nuovo correndo al passato, cercando di trovare un senso, di tracciare una linea tra gli eventi. È un percorso spericolato e confusionario, ma sono determinata ad arrivare a fondo.
Tutto a causa di quella maledetta chiamata.
A quel punto abbiamo venticinque anni.
Non so come l’ex coinquilina di Eve avesse ottenuto il mio numero, ma poco importava, ora. Voleva ridarmi delle foto, pensava che fosse giusto che fossi io a tenerle, dopotutto.
-Sai, quando ho trovato le polaroid che avevamo fatto quel capodanno mi è quasi venuto da piangere a vederla così piena di vita.
-Cosa intendi?
-Immagino che per te sia stato anche peggio, dopo l’incidente. So che voi avevate una speciale… connessione.
-Di quale incidente parli, scusa?
-Ma come? Quello in cui ha perso la vita.
Boom. La macchina che colpisce l’albero. L’autista morta sul colpo.
È quello che sembra di vivere anche a me in quel momento, mentre guardo la foto dell’articolo di giornale risalente a quattro anni prima. Com’è possibile? Continuo a chiedermelo, perché la mia mente sembra andare in cortocircuito a cercare di dare un senso a quei fatti. E ad Eve che da anni dorme nel mio letto.
Ci doveva essere stato un errore. È l’unica spiegazione a cui arrivo, quella che continuo a masticare mentre finisco la mia giornata in ufficio.
E mi dico che, una volta tornata a casa, tutto si sarebbe sistemato, come succedeva sempre, con un bacio o un abbraccio. Non avevo bisogno di altro.
-Eve, amore, sono tornata - annuncio, mentre spalanco la porta.
Lei lavora la maggior parte dei giorni da remoto, per ora come consulente esterna a dei lavori di ristrutturazione di una basilica.
Non sento risposta, ma non è così strano, è spesso molto immersa in quello che fa.
Vado allora a cercarla direttamente davanti al computer, ma lo vedo spento e senza nessuno davanti.
-Eve?
Dopo qualche secondo una voce mi risponde: - Rora! Come stai?
Compare dietro di me, con una tazza di tè tra le mani.
-Finalmente! Mi stavo preoccupando.
-Ho solo finito prima, quindi ho deciso di prendermi una pausa.
-Hai fatto bene - mi avvicino per darle un leggero bacio sulle labbra, ma le sento fredde contro le mie.
-Non crederai mai a quello che mi hanno raccontato oggi…
Quasi rido mentre le racconto la storia, perché la trovo totalmente esilarante.
-Non è assurdo?
Lei si fa improvvisamente seria. Quello sguardo, quello che mi ha tenuto incatenata per anni, ora mi sta dicendo qualcosa di nuovo. E quel mondo, quello che avevamo faticosamente costruito, lo sento cominciare a spaccarsi.
Una singola lacrima mi scende lungo la guancia. Sarebbe incredibilmente romantico se non fosse devastante.
Devo, anche se non posso, accettare l’inevitabile.
-Vieni qui - la stringo a me, ed è improvvisamente freddissima, ma non oso lasciarla andare.
-Non capisco, è stato tutto solo nella mia testa?
-Non lo so, Rora, ma dopo l’incidente c’è qualcosa che mi ha imposto di rimanere. Forse era il tuo cuore. E il mio, che anche nei suoi ultimi battiti non voleva lasciarlo andare.
-Allora non andare. Sarà come se niente fosse successo.
-La mia Rora - sospira Eve. La donna dei miei sogni, la donna della mia vita. Non ci sono altre parole con cui la descriverei. Perché il modo in cui il mio cuore accelera quando sbatte le ciglia è pura magia. E la magia non si può descrivere. E la mia mente rincorre ancora i ricordi.
Ora è tutto ciò che ho.
Cominciamo a ondeggiare al ritmo di una musica che esiste solo nella nostra testa, per un tempo interminabile, che vorrei non terminasse mai.
Ma poi lo fa. E non c’è ombra di lei, ma il mio cuore è ancora caldo, perché il sentimento è ancora vero, non potrà mai non esserlo.
Cerco quella foto, la nostra prima insieme, quando eravamo così giovani da non sapere cosa volesse dire esserlo. Il vento tra i capelli e le nostre mani incrociate, è così che voglio ricordarle. Le fiamme ancora vive, da qualche parte. Quando l’accendino scatta lambiscono gli angoli dell’immagine, danzano lungo i margini.
A quel punto ho ancora venticinque anni.
Ed Eve è ancora con me, non so come, ma ne sono certa.
-Va tutto bene - mi sussurra all'orecchio, un refolo d'aria che investe il mio padiglione acustico, mentre guardo le fiamme inghiottire il mondo intero.
Autore
Clara Dall’Aglio