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Immaginate di essere nati e cresciuti nel quartiere popolare di una città affacciata sul mare. I rioni assolati, il vento salato proveniente dalla spiaggia, le allegre urla dei lavoratori giù al porto: tutto questo, per molti di voi, potrebbe avere il sentore delle villeggiature estive; ma per tanti altri vuol dire casa, sangue, terra.
Ora, immaginate che quel luogo totalmente vostro, l’unico a cui vi sentite veramente legati, l’unico in cui avete stretto amicizie ed amori, vi venga negato e strappato via per un semplice cruccio dei potenti, gli stessi potenti che se ne sono sempre fregati di voi, trattandovi come un inutile peso sulle casse dello Stato. Nei comizi cercano di rassicurarvi con discorsi da imbonitore, vi assicurano che il piccolo sacrificio che dovrete fare servirà per il bene collettivo; eppure, a voi comincia già a venire la puzza sotto il naso. Perché al di là di tutte le difficoltà in cui versa non solo la vostra città, ma tutte le regioni limitrofe, vi starete già chiedendo che cosa ne sarà di voi, senza un posto in cui andare, senza la certezza di rivedere più la vostra casa così come l'avete lasciata.
Alcuni, posti in una simile condizione, sarebbero forse tentati di opporsi a questo sfratto immotivato, di resistere con le unghie e con i denti ad un vero e proprio sopruso “mafioso” celato dietro la maschera della politica. Volenti o nolenti, tuttavia, alla fine sapreste già chi l’avrà vinta e sareste costretti a fare le valigie.
Ecco, l’introduzione che avete appena letto tenta di descrivere la precaria situazione in cui si trovano da mesi migliaia di nostri connazionali fra Messina e Reggio Calabria, a causa del fantomatico ed annoso progetto del ponte sullo Stretto. Potremmo quasi affermare che, a distanza di più di un secolo, si sia ravvivata la giolittiana questione meridionale, malgrado nessun governo sia mai stato capace di risolverla del tutto. La storia del Mezzogiorno, purtroppo, è sempre stata caratterizzata da promesse deluse, atti mancati, menzogne e menefreghismo da parte delle autorità statali; e ciò che sta accadendo attorno allo Stretto di Messina lo conferma ancora una volta.
Il governo Meloni ha ammucchiato così tante bugie che, se vivessimo nella fiaba di Collodi, potrebbe collegare la Sicilia e la Calabria semplicemente col suo naso ormai chilometrico, senza il bisogno di usare tonnellate di cemento per un ponte artificiale.
La prima bagolata ad esserci stata propinata riguarda il progetto stesso dell’infrastruttura, che avrebbe dovuto essere ultimato ed approvato entro il 31 Luglio 2024. Poiché non è riuscito a rispettare la scadenza, il governo ha pensato bene di confondere le acque con un decreto legge: quest’ultimo ha quindi stabilito che il ponte potrà essere realizzato “anche per fasi costitutive”, cioè attraverso singoli lotti. Questo significa che si potrà cominciare ad innalzare una tale costruzione colossale e complessa anche in mancanza di un progetto completo e definitivo, prescindendo da tutti i dovuti controlli e le relative certificazioni. Dunque si rimane nella più grande incertezza: quanto verrà a costare? Quali materiali si useranno? Quanto dureranno i lavori? Boh! Il pericolo maggiore è che, costruendo per singoli lotti, alla fine le tessere di questo ponte-puzzle non si incastrino bene tra loro, per cui si sarebbe costretti a lasciare l’opera incompiuta o ad abbatterla direttamente, spendendo ulteriori risorse. Il rischio di costruire l’ennesimo ecomostro abbandonato a causa di problemi in fase di realizzazione è quanto mai alto, e una cattedrale nel deserto in mezzo ad una delle tratte più importanti del Mediterraneo non gioverebbe di certo, sia in termini economico-commerciali, sia in termini ambientali.
Inoltre, la mancanza di un progetto unitario fa sì che non siano nemmeno stati preventivati tutti i costi, per cui potremmo trovarci di fronte ad una spesa ben maggiore di quei 14,7 miliardi di euro previsti.
Con la lievitazione dei costi e tutta la marasma di gare d’appalto per questi progettini e progettucci, vuoi che la criminalità organizzata non riesca ad infiltrarsi nella gestione dei fondi?
L’alone di mistero che orbita attorno al ponte riveste anche il bilancio occupazionale. Direttamente dal pulpito del “paese dei balocchi”, le false promesse fioccano a bizzeffe, tanto da garantire 2500 operai occupati tutto l’anno per sempre. Sennonché, anche qui il governo non si dimostra molto capace nei calcoli, in quanto da un lato il lavoro sarebbe garantito esclusivamente per otto anni (il periodo previsto di ultimazione del cantiere);dall’altro la cifra destinata dal progetto alla generazione netta di nuova occupazione è di 540 milioni - una somma che, se ci basassimo sullo stipendio annuo lordo medio in Italia (ovvero 30 284 euro), basterebbe a malapena a coprire la retribuzione di 2229 operai. Allora, i casi sono due: o il governo avrebbe, ancora una volta, sovrastimato i dati per fini propagandistici, o, addirittura, si proporrebbe di offrire agli operai un salario inferiore a quello medio. In entrambi i casi, la cosa certa è che sono state completamente trascurate tutte quelle attività che un progetto così invasivo costringerebbe a sospendere, se non a chiudere. Si tratterebbe di un’indefinita quantità di pescatori, traghettatori, ristoratori e altri lavoratori legati all’economia portuale che verrebbe abbandonata a sé stessa.
E non dobbiamo dimenticarci, poi, di tutti quei residenti che saranno presi a pedate e cacciati dalla loro casa! Anche in questo caso, il governo Meloni ha deciso di ricoprire di zucchero una medicina che si rivelerà senz’altro più amara del previsto, considerato che le conseguenze di tali espropri investiranno l’intera Penisola, oltre che, in primo luogo, il Sud Italia: in una terra che da anni sta subendo un grave e progressivo abbandono, soprattutto da parte delle nuove generazioni, gli espropri previsti per la realizzazione del ponte potrebbero catalizzare anche un processo di sradicamento culturale, costringendo molti a lasciare la Regione natia e a trasferirsi al Nord.
Ma spieghiamo meglio. La destra nazionale, promotrice cocciuta del progetto, ha assicurato che gli espropri per l’apertura dei cantieri riguarderanno al massimo 450 edifici, aggiungendo, con finto afflato popolare, che ci si premurerà di intaccare esclusivamente le ville, le case di villeggiatura, le seconde case; insomma, gli immobili dei più ricchi situati in una ristretta area tra Capo Peloro (Messina) e Villa San Giovanni (Reggio Calabria). Ma, come spesso accade nel Bel Paese - dove a nascondere e a mentire siamo maestri - la realtà è stata volutamente minimizzata: se guardiamo ai documenti indicanti gli espropri, troveremo un elenco di circa 2600 pagine, e ci renderemo conto che i lavori colpiranno zone residenziali ben maggiori; quartieri popolari; siti dall’indubbio valore culturale e paesaggistico; aziende e borghi marinari. Si tratta di luoghi in cui parecchia gente vive da generazioni ed ha coltivato un forte legame affettivo, donde verrebbe strappata completamente. Com’è logico, a farne le spese maggiori saranno gli appartenenti alle fasce di reddito più deboli, cui non è data alcuna certezza: né per quanto tempo dovranno lasciare l’alloggio, né se un giorno potranno avere indietro l’immobile, né se lo ritroveranno nelle medesime condizioni in cui lo hanno lasciato, né se sarà loro garantita un’alternativa abitativa per tutto il periodo dei lavori, né se sarà loro concesso un indennizzo e, di conseguenza, in base a quali criteri verrà valutato l’ammontare dell’eventuale risarcimento.
Ad essere stato sottostimato - se non addirittura tralasciato - è l’enorme danno ambientale che un colosso artificiale verrebbe a creare in un’area dalla grande concentrazione di biodiversità, ricca di flora e fauna protetta. La negligenza di chi conduce il progetto non ha limiti, siccome pare proprio che non sia stata applicata la normale procedura di valutazione ambientale strategica da condursi per ogni intervento sul territorio, a maggior ragione se effettuato su due zone di protezione speciale e undici zone speciali di conservazione!
Per non parlare, poi, della delicata problematica sismica, di quella idrogeologica, di quella inerente all’erosione delle coste e agli incendi. Anziché provvedere affinché in Calabria non accadano più alluvioni simili a quelle dello scorso anno, o affinché la temibile SS106 - gergalmente ribattezzata, non a caso, “Strada della morte”- non mieta più vittime, affinché più nessuna voragine causata dai dissesti idrogeologici inghiotta automobili (come accadde lungo la SS208 a Lamezia), il ministro Salvini si compiace di veicolare tutti i fondi europei per un progetto che non è altro che uno “spot pubblicitario”. Il ponte, infatti, non solo prosciugherebbe tutte le risorse per sanare le lacune infrastrutturali calabresi e siciliane - di sfuggita facciamo cenno alle difficoltà di approvvigionamento idrico e all’incalcolabile spreco di acqua, dovuti alle danneggiate e scarse reti di distribuzione idrica; per non parlare delle praticamente assenti reti ferroviarie che (non)collegano il Mezzogiorno - ma sarebbe un’opera del tutto inutile, che di fatto non porterebbe alcun vantaggio, quand’anche venisse eretta: il ponte non serve a nulla, se poi ci si ritrova in un’isola che è attraversata da un unico binario di pochi chilometri, che non permetterebbe neppure di raggiungere l’alta velocità (secondo i parametri europei, l’alta velocità prevede picchi di almeno 300 km/h, mentre la linea siciliana consentirebbe di toccare a malapena i 200, anche dopo la realizzazione del ponte), e su cui non sarebbe possibile neppure installare un trasporto merci competitivo, dal momento che la lunghezza massima dei treni su tutta la tratta siciliana in relazione alla capacità dei binari di incrocio e precedenza non sarà sufficiente.
Arrivati a questo punto, tanto si potrebbe dire a proposito delle tante migliori alternative al ponte sullo Stretto, finalizzate a colmare il divario socioeconomico e superare gli squilibri territoriali tra Alta e Bassa Italia; tuttavia sarebbe una troppo lunga e dispersiva trattazione, da portare avanti in questa sede. Pertanto passeremo direttamente alle conclusioni.
Senza servizi di qualità in tutti i campi, senza interventi di sviluppo, né investimenti sulle energie rinnovabili, il Sud continuerà ad andare incontro alla più grave recessione. La Magna Grecia, terra un tempo attrattiva per la colonizzazione e ricca di prospettive, verrà destinata ancora di più allo spopolamento, al degrado ambientale e all’impoverimento.
E allora, alla fine di questa disastrosa carrellata di problemi e fuffe varie, è proprio il caso di dire, usando qualche licenza poetica: Cristo si è fermato a Messina.
Autore
Niccolò Delsoldato