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Dopo l’articolo di Selvaggia Lucarelli sulle cosiddette “Sorelle di chat”, Carlotta Vagnoli, Valeria Fonte e Flavia Carlini, si è scatenato un vespaio di polemiche riguardo al fatto se fosse lecito o meno pubblicare delle chat private.
So che Daniele, mio grande amico e persona a cui voglio bene, scriverà un articolo contro la liceità di questo fatto; e ne sono contento, perché il dibattito è il sale di Punto e Virgola. Ma cos’è successo in sintesi? Queste chat sono diventate di pubblico dominio grazie al fatto che, da marzo 2024 a gennaio 2025, i dispositivi di Valeria Fonte e Carlotta Vagnoli sono stati sequestrati a seguito di due denunce nei loro confronti: quella di A.S., un uomo che, a seguito di pesanti accuse di essere “un abuser” da parte delle due femministe, avrebbe tentato il suicidio. E da Serena Mazzini, l’esperta di social media, che a giugno 2024 fu accusata dalle stesse persone presenti in quella chat di aver partecipato a un gruppo Telegram con 70 membri al cui interno – così sostenevano – si facevano dossieraggi, Revenge porn, bodyshaming soprattutto nei loro confronti. Peccato che dei contenuti di quella chat non esisteva neppure uno straccio di prova. E secondo il PM di Monza Rinaldi, Vagnoli e Fonte “molestarono” due persone (Mazzini e A.S.) “mettendo in atto una campagna denigratoria e offensiva”. Chiuse le indagini, ora sono accusate di stalking.
Nelle chat di Vagnoli, Fonte e Carlini c'è di tutto. Da Michela Murgia accusata di «evadere il fisco» per poi «santificare il Ssn quando si è ammalata» (le stesse persone che piangevano come viti tagliate al suo funerale) a Cecilia Sala che dopo il rapimento avrebbe «dato la voltata alla sua carriera, e ora vai di podcast». C'è anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, definito «vecchio di merda», e Liliana Segre, «quella vecchia nazi», oltre a Paolo Mieli («Odio tutti gli ebrei»), Roberto Saviano, Carlo Calenda, Fabio Fazio e la stessa Selvaggia Lucarelli. Ma non sono finiti qui i bersagli: vi è la giornalista Simonetta Sciandivasci, che per Carlini diventa “Scendicazzi”, i giornalisti Valerio Nicolosi e Oggiano, Francesco Costa, Marco Travaglio, Cathy La Torre (“stupida”, “sul baratro”) e persino le attiviste/femministe (Francesca Bubba, Giulia Siviero, Eddi Marcucci) e i Tlon (Maura Gancitano e Andrea Colamedici) chiamati “Gancinbocca e Colamerda”. “Dobbiamo radicalizzare, attaccare, accusare”, dice Vagnoli. “La cancel culture è l’arma più potente che il femminismo abbia avuto negli ultimi dieci anni”.
Un linguaggio non proprio consono a quelle che si definiscono le “paladine” dell’inclusività e del politicamente corretto. La stessa Carlotta Vagnoli, in un incontro con oltre 300 studenti delle scuole superiori della Toscana che fanno parte del progetto “TrasFormare”, disse: “In tutte le scuole in cui vado trovo curiosità su questi temi, che pure spesso sono sottovalutati e assenti dall’offerta formativa. L’importante è capire le dinamiche che ci sono dietro il discorso d’odio, purtroppo abbastanza diffuso nel nostro modo di comunicare, specialmente fra i generi.” E lei ne sa qualcosa. Flavia Carlini, oltre ad essere un’influencer e una femminista convinta, è anche vicepresidente dell’Intergruppo parlamentare per i Diritti fondamentali della persona; per dire che siamo sempre in ottime mani.
Ma, giunti a questo punto, il lettore potrebbe porsi alcune domande: per esempio, come ha fatto Selvaggia Lucarelli ad aver accesso a materiali secretati fino a decisione del GIP? Ma un cittadino non ha diritto di esprimersi liberamente nelle proprie chat private?

A queste persone si potrebbe rispondere che il mestiere del giornalista è quello di violare il segreto, se la notizia è di interesse pubblico (se Woodward e Bernstein si fossero preoccupati di non violare il segreto istruttorio, non sarebbe scoppiato lo scandalo Watergate e in America ci sarebbe ancora Nixon). La stessa Vagnoli ha risposto poi sui social: “Le chat non sono state inserite negli atti utili all’indagine perché ritenute ininfluenti. Il reato di antipatia non mi risulta nel Codice penale. Tutte le persone che mi stanno sulle balle lo sanno molto bene da tempo. Che gossip!”. A parte il fatto che molti loro bersagli nelle chat erano persone che combattevano le loro stesse battaglie, e verso le quali hanno sempre mostrato in pubblico una faccia gentile: loro stesse hanno dipinto per anni Michela Murgia come una “santa, perseguitata e ostracizzata dalla destra cattiva”, per poi riempirla di vituperi. Detestano soprattutto la cara amica di Murgia, Chiara Valerio, su cui infieriscono raccontando particolari intimi sulla sua vita sessuale e su presunte cattive abitudini di chi le sta accanto. E non dimentichiamoci che tutto questo nasce da un’inchiesta che, se sarà ritenuta credibile dai giudici, riguarda reati gravissimi come lo stalking e il ricatto. Naturalmente per noi sono tutti innocenti fino a sentenza definitiva, ma ricordiamo anche che un giornalista non ha come compito quello di accertare dei reati, qualora vi siano, ma di raccontare dei fatti, che siano rilevanti o irrilevanti penalmente. Per esempio, andare tutti i giorni a pranzo e cena con mafiosi non è reato, ma se un politico dovesse essere beccato da un giornalista in tale compagnia, quello sarebbe uno scoop. In questa vicenda viene fuori, poi, la doppiezza di queste “femministe”, che, nel privato, si rivelano l’esatto contrario dell’immagine pubblica che hanno costruito. I metodi di Vagnoli&C. sembrano mirati a eliminare direttamente il nemico, e stupisce che a farlo siano persone note per le loro prese di posizione contro l’odio, l’hate speech e per le battaglie femministe.
Concludo l’articolo citando le parole di Cecilia Sala: “Ci siamo fatti spiegare i diritti umani da quelli che godono quando l’Iran rapisce una giornalista. E augurano la morte al Presidente della Repubblica italiana perché cita la giornalista nel discorso di Capodanno. Ci siamo fatti spiegare le molestie dagli indagati per stalking. Il bodyshaming da quelli che non fanno altro. Il femminismo da quelli che descrivono le donne che lavorano come “scendi-cazzi”. E il razzismo da quelli che “odio tutti gli ebrei”.
Chi è Flavia Carlini, l’attivista e autrice che porta la voce dei cittadini in Senato
Dall’Intergruppo Parlamentare sui Diritti Fondamentali della Persona al libro "Noi vogliamo tutto", Flavia Carlini unisce cittadini e istituzioni.
www.google.com
Chi è Flavia Carlini, l’attivista e autrice che porta la voce dei cittadini in Senato
Dall’Intergruppo Parlamentare sui Diritti Fondamentali della Persona al libro "Noi vogliamo tutto", Flavia Carlini unisce cittadini e istituzioni.
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Autore
Riccardo Maradini
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